Omelia di Bartolomeo I, patriarca di Costantinopoli,
nella festa dei tre gerarchi san Basilio, san Gregorio il teologo e san Giovanni Crisostomo, 30 gennaio 2009.
Bartolomeo I (Dimitrios Archontonis, nato a Imbro il 29 febbraio 1940), personalità di grande cultura (dopo la laurea nella facoltà di teologia di Chalki, in Turchia, ha studiato presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma e poi a Bossey in Svizzera e a München, divenendo infine vice-rettore della stessa facoltà teologica di Chalki), già vescovo di Calcedonia, è dal 1991 arcivescovo di Costantinopoli e Patriarca ecumenico. Nel testo che segue, letto in occasione della festa di S. Basilio, san Gregorio di Nazianzo e Giovanni Crisostomo (30 gennaio 2009), richiama brevemente il debito culturale del Cristianesimo antico nei confronti della cultura greca.
La Chiesa fin dall’inizio, già dal tempo degli Apostoli – che è sbagliato considerare tutti indistintamente come degli illetterati – ha accolto largamente il benefico influsso delle Lettere e della filosofia greca.
Per esempio, l’apostolo ed evangelista Giovanni il Teologo era un eccellente conoscitore della filosofia pitagorica e aggiornato sul pensiero greco attraverso il grande filosofo ellenistico Filone. La sua teologia del Logos, espressa nel prologo del suo evangelo, presuppone la corrispondente filosofia del Logos di Platone e di Filone.
L’apostolo Paolo aveva un’ottima cultura greca. Gli apostoli Pietro e Andrea avevano una straordinaria perizia nell’uso della lingua greca, come del resto rivelano le due lettere cattoliche del primo.
Lo stesso anche l’evangelista Luca, il quale per di più era anche medico. I primi testi scritti del cristianesimo, che contengono un’esposizione delle parole e delle azioni del Fondatore della nostra fede, dal punto di vista formale sono assolutamente affini a opere come i Memorabili di Senofonte, alle varie raccolte di sentenze dei filosofi greci, e ad altre opere simili. È sufficiente studiare il Nuovo Testamento per constatarlo.
Nell’antichità classica emersero diverse scuole filosofiche: l’Accademia, il Peripato, la Stoà e il Pitagorismo. L’Accademia, cioè Platone, era l’autorità teologica dell’ellenismo illuminato e predicava Dio come la somma idea. Il termine ‘teologia’ è platonico e si incontra per la prima volta nella Repubblica di Platone.
Il Peripato, cioè Aristotele, predicava come prima scienza la teologia e Dio come la forma (eidos) più alta del Tutto, come l’atto puro, il primo motore immobile. La Stoà, la scuola filosofica stoica, predicava l’unità di Dio e del mondo nella natura e che Dio è la potenza connettiva che pervade tutte le parti, la Ragione (logos) o l’Anima del mondo.
Attraverso Posidonio, poi, anche Seneca predicava che Dio è un Dio personale. Seneca predicava ancora che Dio è Padre e compagno dell’uomo e che l’uomo gli deve esprimere la sua riconoscenza imitandolo e coltivando la bontà. Inoltre la Stoà, cioè la filosofia stoica, sosteneva l’uguaglianza e la fratellanza tra gli uomini e la necessità di una conversione morale attraverso la liberazione dagli impulsi irrazionali e il conseguimento dell’impassibilità (apatheia) e della sapienza.
Il Pitagorismo conciliava scienza e religione. Praticò la vita cenobitica, con lo scopo di coltivare la virtù; insegnava l’astinenza dalla carne e dal vino; respingeva i sacrifici animali; praticava un silenzio filosofico, costumi austeri, comunione dei beni, senso di responsabilità e merito personale, e l’autocontrollo. È noto l’esame di coscienza quotidiano dei Pitagorici: «Che cosa ho omesso? Che cosa ho fatto? A quale mio dovere ho mancato?».
Il Neoplatonismo, attraverso Plotino, predicava l’Uno della divinità e le tre divine Ipostasi, e come più alta destinazione dell’uomo l’unione con Dio, attraverso una faticosa preparazione e ascesi.
In questi ambiti e nei loro insegnamenti si possono discernere in modo seminale numerose verità della teologia cristiana, come anche pratiche che sono state poi messe in atto in modo più perfetto e con un contenuto e uno scopo più profondo e più alto dalla prassi cristiana. Anche per questo non è strano che il cristianesimo abbia attirato a sé molti esponenti della Stoà, del Peripato, dell’Accademia e del Neopitagorismo.
Oltre a questi, vi erano gli Epicurei e gli Scettici, la cui dottrina e prassi però non aveva punti di convergenza con lo spirito cristiano, e per questo la Chiesa mantenne rigidamente le distanze rispetto ad essi. Parallelamente alle ‘scuole’ intese come correnti filosofiche, c’erano anche le scuole come istituzioni scolastiche.
Una di queste era la famosa Scuola di Atene, la quale formò due dei tre Padri oggi festeggiati, Basilio il Grande e Gregorio il Teologo, ma anche lo scrittore che, sotto il nome di Dionigi l’Aeropagita, è autore dei celebri trattati mistico-teologici, e indirettamente, attraverso il fratello Basilio, il santo Gregorio di Nissa.
La Scuola di Alessandria ci ha dato Giovanni Filopono e i sapienti cristiani di Gaza – città che tanto è martoriata ai nostri giorni. Ad Antiochia c’era la scuola di Libanio, della quale fu allievo, oltre a Basilio e a Gregorio, anche Giovanni Crisostomo. Queste scuole fornirono a insigni uomini di chiesa l’esempio per l’istituzione di analoghe scuole, ovvero oramai istituti cristiani nei quali si insegnava la ‘vera filosofia’, cioè la teologia.
Così fu creata la scuola teologica di Alessandria ad opera di Panteno, di Clemente Alessandrino e del famoso Origene, il quale in seguito ne creò anche un’altra a Cesarea, avendo come allievi là Gregorio il Taumaturgo, i Cappadoci ed Eusebio di Cesarea. Nella sua seconda fase di fioritura la scuola di Alessandria ci ha dato Atanasio il Grande, Didimo il Cieco, Esichio di Gerusalemme e Cirillo di Alessandria.
Fu anche istituita la scuola di Roma con Giustino e Ippolito, quella di Antiochia con Luciano e Diodoro di Tarso, che ebbe tra i suoi allievi migliori Giovanni Crisostomo e Teodoro di Mopsuestia; un’altra fu fondata a Gaza da parte di Enea di Gaza e un’altra in Licia da parte di Metodio.
In queste scuole venivano insegnati anche i filosofi antichi – a parte quelli che predicavano l’ateismo – poiché il loro insegnamento era apprezzato come propedeutica a Cristo. Come dice in modo caratteristico Clemente Alessandrino: «La filosofia che prima dell’avvento del Signore era necessaria ai Greci per giungere alla giustizia, adesso diventa utile per giungere al culto di Dio, servendo da propedeutica per coloro che vogliono raggiungere la fede attraverso la dimostrazione razionale. Essa infatti educava la grecità a Cristo, come la Legge gli Ebrei… è per volere divino che è venuta agli uomini» (Stromati I,5,28; 7,37).
Gli scrittori ecclesiastici e i Padri della Chiesa, fino a Fozio il Grande e fino a Nicodemo l’Aghiorita e Nectario di Pentapoli (così che non ci limitiamo a parlare solo degli antichi), hanno tratto grandissimo profitto dal sapere profano, dalla filosofia, dalla letteratura greca e dalla lingua greca, con la sua ricchezza, la sua plasticità, la sua capacità di esprimere concetti elevati ed estremamente sottili, come anche dalla poesia.
I loro testi sono disseminati di frasi, parole, termini ed elementi provenienti da Omero, Sofocle, Euripide, Senofonte, Isocrate, Demostene, Tucidide, Pindaro, Zenone, Eraclito, Platone, Aristotele, Pitagora, Cheremone, Plutarco, Luciano e altri. Alcune volte si possono individuare negli scritti patristici anche delle imitazioni del loro stile.
I poeti ecclesiastici e gli innografi imparano dai poeti antichi, sono ispirati e attingono ampiamente da loro nel metro, nello stile, nelle immagini, nel lirismo, eccetera. Lo stesso anche gli oratori ecclesiastici dagli oratori antichi, e così via.
Tutti questi elementi, come è noto, sono stati assunti come termini filosofici da parte del cristianesimo e sono stati messi a sua disposizione, ed esso li ha santificati e attraverso di essi ha espresso il profondissimo contenuto della sua dottrina.