Il vecchio continente è ormai decrepito e, come tanti vecchi, purtroppo soffre di amnesia
Alessio II
Marta Sordi
Papa Giovanni Paolo II
Papa Benedetto XVI
Papa Francesco
Marcello Pera
Marcello Veneziani
Cristianofobia
La querelle della Costituzione europea
La nuova Costituzione europea ha dimenticato gli elementi più preziosi e prestigiosi dell’identità culturale europea, gli elementi che definiscono l’Europa come tale: le radici cristiane e l’eredità greco-romana (la definizione di democrazia tratta da Tucidide è stata eliminata dal preambolo). Non vogliamo commentare questa decisione: è difficile dire se quella che emerge da questo lungo travaglio, frutto di compromessi tra spinte contrastanti, è l’immagine di un’Europa senza passione culturale o di un’Europa giacobina che ritiene di trovare la linfa dei suoi valori nell’Illuminismo e nelle parole d’ordine della rivoluzione francese. Certo è un’Europa con un respiro culturale assai modesto, è un’Europa di mercanti e di banchieri, e (con tutto il rispetto per queste categorie, che pure hanno avuto delle benemerenze di fronte alla storia) questo non ci basta. Qui ci limitiamo a riferire alcune opinioni “a caldo” seguite all’approvazione del Trattato.
Noteremo anche che, passata la polemica sulla Costituzione europea e tramontata (grazie anche ad alcuni referendum che testimoniavano la sostanziale insoddisfazione dei popoli europei verso questa forma di Europa), la deriva verso un’ideologia sempre più ostile alla traduzione culturale europea, e soprattutto verso le sue radici cristiane, si è consolidata nel tempo, come appare anche da talune iniziative e posizioni prese in tempi recenti. Si veda a questo proposito il lucido e preoccupato passaggio di M. Veneziani riportato in calce.
Leggi l’editoriale di Zetesis 1/2003, che affrontava questa stessa tematica
La vibrata reazione di Giovanni Paolo II
CITTA’ DEL VATICANO – “Non si tagliano le radici dalle quali si è nati”. Con forza e visibilmente irato il Papa, parlando in polacco, ha criticato la non menzione delle radici cristiane nella Costituzione europea.
“Ringrazio la Polonia – ha detto il Papa in polacco, salutando un gruppo di suoi connazionali radunati in piazza san Pietro per l’Angelus – che nelle istituzioni europee ha difeso fedelmente le radici cristiane del nostro continente, dalle quali è cresciuta la cultura e il progresso civile dei nostri tempi”.
“Non si tagliano le radici dalle quali si è nati”, ha concluso con forza e accento esclamativo. Giovanni Paolo II sembrava parlare a braccio.
(Notizia ANSA)
Niente radici cristiane nella Costituzione
Il rammarico di Giovanni Paolo II
“Non si tagliano le radici dalle quali si è nati”. Lo dice in polacco, alla fine della preghiera domenicale, improvvisando dalla finestra di piazza san Pietro quando tutti non se l’aspettano più. Che cosa pensasse Giovanni Paolo II di una costituzione europea mutilata del riferimento alle radici cristiane dell’Europa era facile immaginarlo. Due anni e mezzo di appelli e di lavorio diplomatico per evitare la nascita di una Europa senz’anima, secondo la definizione di Giovanni Paolo II, parlavano chiaro. E se non fossero bastati c’era stato, a costituzione appena approvata, il commento del direttore della sala stampa vaticana, Joaquim Navarro Valls, che aveva espresso il rammarico della santa sede per l’opposizione di alcuni governi al riconoscimento esplicito delle radici cristiane dell’Europa. Un dito puntato contro Svezia, Finlandia, e gli ancor più colpevoli, perché paesi di tradizione cattolica, Belgio e Francia. Si tratta – aveva precisato Navarro – di un misconoscimento dell’evidenza storica e dell’identità cristiana delle popolazioni europee. Insomma un errore secondo il Vaticano, una miopia grave, appena mitigata dall’apprezzamento per l’approvazione di un articolo, il 51, a favore dello status delle chiese nelle differenti dimensioni nazionali. C’era l’attesa di una parola diretta del Papa, ma Giovanni Paolo secondo ha tirato dritto, parlando prima dei rifugiati e salutando poi i gruppi di pellegrini presenti in piazza. Un silenzio pesante e già significativo. Solo in polacco c’era ancora qualcosa da dire. Improvvisando a braccio Giovanni Paolo II ha ringraziato la Polonia, capofila dei sette paesi che non hanno risparmiato sforzi a favore del riconoscimento, per aver difeso davanti alle istituzioni europee le radici cristiane del vecchio continente. E lanciato il suo monito a tutti gli altri: Non si tagliano le radici dalle quali si è nati.
(dal sito di Tg5)
Il documento ufficiale della Santa Sede
1) I mezzi di comunicazione sociale hanno riferito circa l’adozione per consenso, a Bruxelles, del trattato costituzionale europeo, da parte dei Capi di Stato o di Governo dei 25 Stati membri.
La Santa Sede esprime soddisfazione per questa nuova ed importante tappa nel processo d’integrazione europea, sempre auspicata ed incoraggiata dal Romano Pontefice.
2) È anche motivo di soddisfazione l’inserimento nel trattato della disposizione che salvaguarda lo status delle confessioni religiose negli Stati membri ed impegna l’Unione a mantenere con esse un dialogo aperto, trasparente e regolare, riconoscendone l’identità ed il contributo specifico.
3) La Santa Sede non può tuttavia non esprimere rammarico per l’opposizione di alcuni Governi al riconoscimento esplicito delle radici cristiane dell’Europa.
Si tratta di un misconoscimento dell’evidenza storica e dell’identità cristiana delle popolazioni europee.
4) La Santa Sede esprime vivo apprezzamento e gratitudine a quei Governi che, nella consapevolezza del passato e dell’orizzonte storico in cui prende forma la nuova Europa, hanno lavorato per dare concreta espressione alla sua riconosciuta eredità religiosa.
Né va dimenticato il forte impegno profuso da varie istanze per far menzionare il patrimonio cristiano dell’Europa in tale trattato, stimolando la riflessione dei responsabili politici, dei cittadini e dell’opinione pubblica su una questione non secondaria nell’odierno contesto nazionale, europeo e mondiale.
Dal Vaticano, 19 Giugno 2004
(dal Sito Ufficiale del Vaticano)
Il comunicato della Presidenza della Conferenza Episcopale Polacca
Accogliamo questo fatto [del mancato inserimento delle radici cristiane nel preambolo della Costituzione europea] con sdegno come una falsificazione della verità storica, una consapevole emarginazione del cristianesimo che per secoli è stato e continua ad essere la religione di una parte decisiva degli europei. Il laicismo ideologico che ha trovato la sua manifestazione nelle prese di posizione di alcuni governi europei suscita la nostra ferma opposizione e una proeccupazione per i destini futuri dell’Europa. Di fronte a questa situazione esortiamo tutti gli uomini di buona volontà a riflettere sul futuro di un’Europa costruita con l’omissione dei valori fondamentali.
Alcune affermazioni dell’allora Cardinale Ratzinger (poi Papa Benedetto XVI)
Il Cardinale Joseph Ratzinger si è detto contrario all’ingresso della Turchia nell’Unione Europa. «Nella storia, la Turchia ha sempre rappresentato un continente diverso, in permanente contrasto con l’Europa», ha dichiarato il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede in un’intervista al settimanale allegato a “Le Figaro”. «Sarebbe un errore rendere uguali i due continenti, significherebbe una perdita di ricchezza, la scomparsa della cultura in favore dei benefici in campo economico». Il cardinale è tornato poi a stigmatizzare il fatto che nella Costituzione europea non si accenni alle radici cristiane del Vecchio Continente. «Dovremmo continuare a discuterne», ha detto, «perché credo che dietro all’opposizione» di alcuni paesi a inserire un riferimento «si nasconda un odio che l’Europa ha verso sé stessa e la sua grande storia».
(da Avvenire, 13 agosto 2004)
L’opinione di alcuni cristiani impegnati …
… Giorgio Vittadini, che ha creato la Compagnia delle Opere (vicina a CL) e ora è presidente della Fondazione per la Sussidiarietà si spinge più in là: “Se ci sarà il referendum voterò contro: il problema non è il preambolo, ma tutta la Costituzione, voluta dalla massoneria internazionale e scritta da quel nazionalista imperialista che è il presidente francese Chirac. Perché non ha messo al centro l’uomo, ma solo i meccanismi che consentono di conservare il potere a un gruppo ristretto”.
Luigi Bobba delle Acli insiste sul fatto che “l’affermazione dell’identità non è la negazione del dialogo, anzi il suo presupposto”. Che “non si tratta di confessionalismo, ma solo di riconoscere la storia”. (…)
Mario Marazzitti ricorda che la “Comunità di Sant’Egidio ha più volte invitato a considerare l’esplicito riferimento alle radice cristiane e alla tragedia della Shoah, come a fatti decisivi per la Costituzione europea”. Ora però “sta a noi vivere in profondità quei valori spirituali e umani a cui l’Europa non può rinunciare”. Un appello lanciato recentemente durante il meeting dei movimenti cristiani a Stoccarda: cattolici, protestanti e ortodossi per la prima volta insieme, proprio alla ricerca di “un’anima per l’Europa”
(Corriere della Sera, 21 giugno 2004)
… e quella di alcuni musulmani che vivono in Italia
Khaled Fouad Allam, professore di Islamistica all’Università di Trieste
Ma c’è anche qualcosa di più profondo, che ha segnato in modo indelebile questo continente le cui frontiere culturali sono molteplici ma in cui riconosciamo un’unica essenza, che difficilmente si riesce ad elaborare razionalmente in modo univoco ma che è presente nel cuore più profondo dell’essere europeo: la passione per la libertà – ovvero le passioni democratiche – e il sentirsi partecipi di una storia comune, che ha fatto del cristianesimo il punto focale intorno cui l’Europa si è definita. È così che ci si commuove dinanzi a un Cristo di Cimabue o ci si sente incantati dalle Madonne rinascimentali, che ci si sente travolti all’ascolto di un mottetto di Bach o del Requiem di Mozart. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza quel debito. L’Europa è debitrice verso il cristianesimo: perché, che lo voglia o no, esso le ha dato forma, significato e valori. Rifiutare tutto ciò significa, per l’Europa, negare se stessa.
La questione delle radici cristiane d’Europa, in un momento in cui tutti parlano di eterogeneità delle culture e di multietnicità, suscita altre problematiche: come accogliere l’altro se si nega se stessi? Come saldare un patto fra le comunità umane se l’Europa rifiuta di riconoscersi? Le radici affondano nella terra, dove incontrano e incontreranno altre radici. Se le radici del cristianesimo affondano nel mondo ebraico e in quello greco, oggi esso incontra l’islam, domani l’Asia e l’Africa.
L’incontro è possibile soltanto se si è consapevoli delle proprie radici. Pensare alle radici d’Europa significa pensare ai possibili, a volte inediti, prolungamenti del continente. Oggi l’America, la Cina, l’Africa ci interrogano, ognuna con le proprie radici fatte di dolore e di speranza, mentre in terra d’Europa l’inquietudine ha già preso forma e si sta diffondendo. L’Europa, faccia a faccia con se stessa, è ricca di saperi ma restia ad accettarsi. Ma per me essa rappresenta l’albero d’ulivo che nel Corano, al versetto 35 della Sura della Luce, è “né d’oriente né d’occidente”.
(dall’intervento riportato in www.emilianet.it)
Magdi Allam, vicedirettore del “Corriere della Sera”Cosa pensa un islamico della richiesta di inserire le radici giudaico-cristiane nella Costituzione europea?
“Posso dire ciò che penso io, e credo sia un’opinione condivisa da chi desidera un’Europa forte anche sul piano religioso. Sono favorevole, perché soltanto chi ha un’identità forte e completa può aprirsi agli altri. Viceversa le conseguenze sono negative per tutti. In Italia ad un islamico non viene concessa la cittadinanza prima dei 18 anni, e diventare maggiorenne potrebbe non bastare. Si determina così una smagliatura pericolosa nell’identità di un individuo.”
(dall’intervista rilasciata nel corso del Meeting per l’amicizia fra i Popoli del 2004 e pubblicata su Corriere Meeting; la conversione di Magdi Allam al Cristianesimo è avvenuta in un momento successivo)
Reazioni del mondo politico: il Presidente del Senato Marcello Pera
“No, non è questa, non è ancora questa l’Europa dei Padri. Quella era una comunità spirituale, di valori, di civiltà. La nostra è una comunità di libero mercato, entro i suoi confini, di sicurezza”. Marcello Pera, partecipando a Berlino a una conferenza sulle figure di Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi, avverte che “C’è ancora molto da fare” per arrivare a quell’Europa che i Padri (il presidente del Senato cita anche Robert Schuman) avevano in mente.
La seconda carica dello Stato parla nella sala plenaria del bundesrat sottolineando i risultati ottenuti ma anche le mancanze dell’Unione europea e ponendo come punto di riferimento soprattutto le intuizioni di Alcide De Gasperi.
Marcello Pera ricorda come per De Gasperi “la vera funzione dell’Europa non era militare, bensì politica, morale e spirituale”. Per il Presidente del Senato l’idea dell’Europa concepita dai “padri fondatori” è quella di “un’Europa della civiltà cristiana. Cristiane, sosteneva De Gasperi, sono le radici culturali dell’Europa” ricorda Pera, “cristiana secondo De Gasperi è la democrazia”, “cristiano, infine, l’occidente, compresa l’America” aggiunge il Presidente del Senato, che parla di un’Europa così come immaginata da De Gasperi, Adenauer e Schuman “cristiana, ma non monolitica” in quanto “non esiste un pensiero dominante”, non il liberalismo – sostiene il Presidente del Senato ricordando ancora le parole di De Gasperi -, non il socialismo e neppure il cristianesimo.
La seconda carica dello Stato si pone, quindi una domanda: “questa nuova Europa, per cui De Gasperi si batté fino all’ultimo, è la stessa che abbiamo realizzato?”. La risposta è affermativa se si considera “che i nostri governi hanno sottoscritto un trattato costituzionale europeo. Ma se si guarda piu’ a fondo – dice Pera – dobbiamo avere la forza e il coraggio di dire che le cose non stanno esattamente così”.
Per il Presidente del Senato “i padri avevano in mente l’Europa come ‘unica comunità di sicurezza’, con un solo esercito, la situazione – continua – ancor oggi è del tutto diversa. Né in politica estera, né nella politica di difesa l’Europa parla con una sola voce e intende farlo, come da ultimo mostrano anche le divergenze sulla riforma dell’Onu”.
La seconda carica dello stato sottolinea come “i padri avevano in mente l’Europa come ‘unica comunità politica’.
Ancor oggi non è così. La nostra Europa – riflette il presidente del Senato – è un grande spazio economico, ma resta divisa su questioni fondamentali, mentre riaffiorano divergenze anche fra i sei paesi fondatori, nascono alcune tentazioni egemoniche, si manifestano perplessità sull’allargamento e, oggi come 50 anni fa, c’è ancora il timore che il trattato costituzionale non venga ratificato da tutti i paesi”.
Marcello Pera inoltre osserva come “i Padri avevano in mente un’Europa Federale e identitaria. Le desolanti polemiche, prima, e il rifiuto, poi, del richiamo alle radici cristiane nel preambolo del trattato indicano che siamo ancora lontani da questo obiettivo”. Infine – dice Pera – De Gasperi, Adenauer e Schuman “avevano in mente un’Europa come parte della stessa ‘civiltà euro-atlantica’”.
Reazioni dal mondo politico: Alleanza Nazionale
Roma. “Un grave tributo è stato pagato alle culture solo esclusivamente illuministiche omettendo nel preambolo della costituzione il riconoscimento dovuto e storico delle radici cristiane dell’Europa”. Lo afferma Roberto Salerno, senatore di An, che si associa al rammarico del vice presidente del Consiglio Fini e di altri colleghi di partito di Alleanza nazionale che “non hanno visto il giusto premio ai tanti sforzi compiuti affinché questo riconoscimento fosse inserito”. “Grave quindi il mancato riconoscimento anche in termini culturali -conclude- Auspico infine che vi sia ancora nel tempo l’occasione di porre rimedio”
(Notizie Adnkronos)
Reazioni dal mondo politico: il ministro degli esteri Frattini
Tornando alle «radici cristiane», il Vaticano ha «espresso rammarico»…«E’ anche il nostro. Perché noi, più di altri Paesi, ci siamo battuti fino all’ultimo per cambiare il testo del preambolo. La nostra proposta in extremis era quella di aggiungere due sole parole: “notamment chrétienne “, “in particolare cristiana”, subito dopo il passaggio che richiama “l’eredità religiosa”. Ma abbiamo incontrato un’opposizione pregiudiziale che risponde a una concezione di laicismo invalicabile. Belgio, Francia, Finlandia ci hanno fatto sapere che in nessun caso si poteva accettare la nostra idea, salvo mettere a rischio l’esistenza stessa del preambolo».
(Corriere della Sera, 20 giugno 2004)
Reazioni dal mondo politico: il ministro Buttiglione
“Un’Europa che non sa dire una parola forte sulla propria identità è un’Europa che è ancora alla ricerca di se stessa. Nei paesi dell’Est, la battaglia contro il comunismo e per la libertà è stata contemporaneamente una battaglia per l’Europa ed una battaglia per l’identità cristiana della propria nazione e dell’intero continente.
Questa Europa, che deve tanto alla predicazione di Giovanni Paolo II, non è stata capace di raccogliere questa eredità e di proporla al mondo come segno di speranza. In questo è l’incompiutezza del cammino”. Così il ministro per le politiche comunitarie, Rocco Buttiglione, in un’intervista a Radio Vaticana commentando il via libera alla Costituzione europea venuto ieri da Bruxelles.
Per Buttiglione, quel mancato riconoscimento non deve pero’ significare la fine, tutt’altro: “Noi dobbiamo guardare a questo con serenità. Questo non è il punto di arrivo del processo storico dell’unificazione europea, ci saranno altre tappe”. Piu’ in generale, il ministro delle politiche comunitarie ritiene che la Costituzione Ue così com’è stata definita “è un buon compromesso. Rimane, infatti, un carattere costituzionale. Non ci si è allontanati troppo dal risultato della Convenzione, quindi non è un semplice trattato fra gli stati. È un documento che unisce i popoli con un patto fra cittadini, perche’ è stato redatto dai rappresentanti dei cittadini”.
Quanto al sistema di voto adottato, Buttiglione sottolinea nell’intervista a Radio Vaticana che esso “corrisponde allo stato attuale della situazione. In molti casi è un compromesso migliorabile, nel senso che c’è la possibilità, attraverso delle cosiddette passerelle, di passare da questo sistema ad un sistema piu’ efficace. Il passaggio pero’ va deciso sulla base di un accordo unanime dei partecipanti. Fa parte della natura di questo lavoro che prosegue, che non è terminato, di cui questa Costituzione certamente rappresenta un passo in avanti, un passo positivo, ma se ci si fermasse qui non sarebbe sufficiente”.
(da www.agi.it)
C’è chi si accontenta…
BRUXELLES – Nel preambolo del Trattato costituzionale europeo non è stato inserito il riferimento alle radici cristiane, nonostante le ripetute richieste di Italia, Polonia e altri cinque paesi. Il testo definitivo è così quello proposto dalla presidenza irlandese, da cui scompare anche la definizione di democrazia dello storico greco Tucidide.
Nel primo paragrafo del testo finale -ampiamente rimaneggiato rispetto a quello che era uscito dalla Convenzione- compare pero’ un riferimento “all’eredità culturale, religiosa ed umanistica dell’Europa”. Romano Prodi, presidente uscente della Commissione Ue, ha fatto osservare che il preambolo contiene “il riconoscimento delle grandi radici religiose e culturali dell’Unione”; e poi c’è l’art. 51 che “riconosce i diritti delle Chiese e il dialogo strutturale fra le istituzioni europee e le Chiese”. Secondo Prodi proprio l’art. 51 “è una parte fondamentale della Costituzione” e il risultato raggiunto “è serio, forte, anche se non è esattamente quello che avevo auspicato e sostenuto”.
(Notizia ANSA)
… e c’è persino chi si entusiasma
L’approvazione della Costituzione è “un passo importantissimo” per la vita dell’Unione europea. Lo ha sottolineato il sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino che, parlando con i giornalisti nel corso dell’inaugurazione della Fiera della Casa, ha fatto un parallelo tra la nostra Magna carta e quella europea. “I valori della nostra Costituzione – ha detto – sono ancora non soltanto capaci di governare l’attualità, ma anche di segnare una prospettiva per il paese. Se la nuova Costituzione europea sarà, come si avvia ad essere, all’altezza dei valori di pace, di solidarietà e di integrazione tra i popoli, significherà l’inizio di un periodo di pace e di sviluppo che spero non si arresti mai”.
(Notizia AGI)
E ancora: da un editoriale di Ernesto Galli della Loggia
…Tra il cristianesimo cattolico e i principi in cui si riconosce l’ Europa come istituzione esiste una incompatibilità sostanziale. Ma non è solo questione del cattolicesimo, si badi: fino a prova contraria, infatti, disapprovazione dell’omosessualità e concezione bisessuale del matrimonio sono comuni anche all’ ebraismo e all’ islamismo. I Saint-Just in sedicesimo di Bruxelles hanno dunque messo al bando d’ un sol colpo né più né meno i tratti fondamentali dell’ antropologia dell’ intero monoteismo. È questa la conclusione – non so se più ridicola o agghiacciante – dell’ incontrastata egemonia, culturale prima che politica, che nel nostro Continente è sul punto di arridere ormai all’ ideologia del politicamente corretto. Ciò vale particolarmente per la socialdemocrazia e per la sinistra in genere. Svaniti nell’ ultimo trentennio tutti i suoi tradizionali punti di riferimento (la centralità operaia e sindacale, il maestoso welfare di un tempo, lo statalismo, perfino il comunismo), essa si ritrova sospinta dallo spirito dei tempi tra i due fuochi dell’ individualismo libertario da un lato e del radicalismo movimentista dall’ altro. A collegare i due, l’ ideologia per l’ appunto del politicamente corretto. L’ ideologia cioè dell’ obbligatorio e generale relativismo dei valori e della conseguente accusa di intolleranza per chi obietta, della radicale delegittimazione per ciò che riguarda i comportamenti personali di ogni vincolo rappresentato dalla storia e dal passato culturale, la tendenziale riduzione a «diritto» di ogni inclinazione o scelta individuali.
(Corriere della sera, 13 ottobre 2004)
La scristianizzazione dell’Europa
… e da un editoriale di Angelo Panebianco
La scristianizzazione dell’ Europa è un fatto. La testimoniano, in giro per l’ Europa, i dati sulla frequenza alle funzioni e le inchieste sulle credenze e gli atteggiamenti morali. La prova definitiva del radicamento di un maggioritario pregiudizio anticristiano è stata data dal rifiuto di inserire un riferimento alle radici cristiane nel preambolo identitario del trattato costituzionale europeo. A parte le Chiese cristiane, quasi nessuno protestò. (…) Perché in nome dei suoi (nuovi) pregiudizi l’Europa arrivò al punto di cancellare una storia bimillenaria e di fingersi nata ieri (con l’ illuminismo e la rivoluzione francesi). Senza comprendere che rinnegare la propria storia significa negarsi anche una credibile identità. La laicità delle istituzioni europee non sarebbe stata compromessa da quel riferimento ma sarebbe stata rispettata la verità storica. Senza la quale non ci può mai essere alcuna seria pretesa di identità. (…) Resta però un interessante paradosso. E riguarda proprio i temi dell’ omosessualità e della famiglia. Il diffuso pregiudizio anticristiano vieta ai cattolici di dichiararsi solidali con le posizioni della propria Chiesa su questi temi. Nel frattempo, si è ormai accasato in Europa un islam militante che su omosessualità, donne e famiglia dice cose terribili. Cose che la Chiesa non sostiene più da tanto tempo. Ma l’Europa, in questo caso, finge di non sentire. Scherzi (atroci) del relativismo culturale.
(Corriere della Sera, 16 ottobre 2004)
Dall’intervista a una nota studiosa, Marta Sordi
Sguardi di ammirazione e di stupore si sono colti fra i politici dell’intero continente convenuti sul Campidoglio per la storica firma del Trattato. Forse qualcuno tra quelli dell’Est vedevano Roma per la prima volta; ma più d’uno non può che aver sentito di essere proprio sopra le radici d’Europa. Hanno firmato sotto lo sguardo di due grandi Papi in bronzo, rinascimentali, su quel colle dove sorgeva il tempio arcaico di Giove Capitolino, cuore della romanità; dove Marco Aurelio filosofo e imperatore è ancora lì a cavallo; dove si affaccia la chiesa romanica di Santa Maria in Ara Pacis; e la piazzetta nitida è di Michelangelo, la cui arte è satura delle forme di Roma antica. Altro che «radici»: è un vecchio tronco di tremila anni, ricco di innesti, e ancora vivo.
Radici romane o radici cristiane? Lo chiedo a Marta Sordi, la storica della Romanità. E lei, pronta:
«Non c’è contraddizione: c’è innesto e reciproca, cordiale integrazione. Si ricordi che Roma è già ‘cattolica’ prima di diventare cristiana».
In che senso?
Nel senso letterale: “cattolico” vuol dire universale, e l’antica Roma fu proprio questo, l’integrazione di ogni popolo entro il diritto universale. E’ quel che distingue Roma dai Greci: per questi l’unità che contava era, come dice Erodoto, essere dello stesso sangue, lingua, costumi…
L’unità etnica.
Roma invece, dice Sallustio, fa di popoli diversi per sangue lingua e costumi una concordis civitas. E quando i notabili della Gallia Comata vengono ammessi come senatori, Tacito sottolinea con quale prontezza Roma fa dei cittadini di quelli che erano fino a ieri nemici. Roma è il solo spazio antico dove uno schiavo, un prigioniero di guerra, può essere liberato e diventare cittadino, anzi magistrato. Rutilio Namaziano, un gallo pagano, potrà cantare le lodi di Roma ormai al tramonto con le celebri parole: fecisti patriam diversis gentibus unam, hai reso una sola patria etnie diverse.
Per questo la Chiesa si dice Romana? Per questa tensione generosa ad integrare?
San Paolo dice che con Cristo “non c’è più né giudeo né greco”. Non avrebbe potuto dire, e nemmeno pensare, “non più giudeo né romano”, perché “giudeo” è un’etnia, e “romano” è un fatto giuridico, una cittadinanza. Un cristiano non cessa di essere romano, anzi.
Anzi?
Sant’Ambrogio rivendica con orgoglio la “fides” di Attilio Regolo, il valore di Camillo e degli Scipioni: insomma accetta tutta la tradizione politico-militare romana, pur rigettandone la religione. In questo, però, è molto romano: anche Polibio notava come i romani siano pronti ad accettare cose nuove, se le giudicano buone. Colpiva i greci come i romani fossero insieme i più tradizionalisti e i più innovatori del mondo antico.
Dice Rémy Brague, un arabista della Sorbona, che la forza di Roma stava nel riconoscersi «seconda». Potenza mondiale, si riconosce alunna dei greci. La Chiesa è anch’essa una religione che in un certo modo si sa «seconda»: riconosce di derivare dall’ebraismo. Secondo Brague, questa è la differenza con l’islam. L’islam è la radice di se stesso, Roma e la Chiesa, invece, si sanno nate da altre radici che vanno continuamente a rinnovare, a recuperare…
«Per questo è assurdo che l’Europa rifiuti le radici cristiane: perché rifiuta con ciò le radici romane e greche, ossia umane.
Umane?
Il concetto di Humanitas è centrale in Roma, e in Occidente. Roma riconosce un «diritto delle genti», non scritto ma valido per l’intera umanità. È significativo che San Paolo, che innesta consapevolmente la piccola nascente comunità ebraica di Cristo nel tronco di Roma, lo fa aderendo al diritto romano. Il cristianesimo non ha una sharia, come l’islam, ha un diritto che viene da Roma ed è «umano». Non si legge nei testi sacri, ma si decide nei tribunali, secondo equità e ragione. Ciò, fra l’altro, esclude ogni integralismo.
(dall’intervista di Maurizio Blondet a Marta Sordi, Avvenire 30 ottobre 2004. )
E l’approvazione di un noto opinionista, Paolo Mieli
In occasione della firma a Roma del trattato costituzionale europeo, lei, caro Mieli, ha scritto che l’ Europa ha un grande problema con la propria storia. Tra le righe mi è parso che lei si riferisse alla questione del mancato inserimento in quella carta delle radici giudaico cristiane.
Francesco Mengoni Ascoli Piceno
Caro signor Mengoni, perché quell’ omaggio – ma sarebbe più giusto definirlo riconoscimento – è a Roma più che alla Chiesa. In un’ intervista di qualche giorno fa ad Avvenire, la grande studiosa dell’antichità greca e romana Marta Sordi, ha spiegato che l’Europa quando respinge le radici cristiane, non rifiuta una fede, ma Roma ossia l’humanitas, la ragione, la natura. Ricordava poi, la stessa Marta Sordi, che l’ esercito romano non fu mai l’orda di Gengis Khan, la mera violenza, ma la sentinella armata dello spazio giuridico che creava. E vi chiamava tutti i popoli, con un’ enorme apertura politica e culturale che è passata alla Chiesa». (…). «Roma», è stata la conclusione di Marta Sordi, «non avrebbe avuto problemi a far diventare “romani” i turchi; ma noi, senza radici, come faremo a integrare popoli così diversi?» Sono parole che, pur essendo io in ogni caso favorevole all’ ingresso della Turchia nell’Unione europea, mi hanno indotto a qualche riflessione. E mi sono domandato se l’aver trascurato questi temi non sia imputabile a quel conformismo del nuovismo europeista che rischia di portare fuori strada anche chi all’Europa ci crede davvero. All’ indomani delle elezioni europee, su queste colonne Ernesto Galli della Loggia ha ricordato come da anni giornalisti e grand commis da tempo in area di parcheggio, accademici a caccia di incarichi e politici ambiziosi girano di convegno in convegno, di seminario in seminario, alimentando incessantemente la sempre medesima retorica della costruzione europea e dei suoi problemi, buona soltanto a scrivere papers e libri che nessuno legge e a impedire a chiunque altro di pensare qualcosa. «Bisogna spezzare questo circolo vizioso», aggiunse, «fare entrare aria nuova, riconoscere gli errori commessi, cambiare uomini e regole. Con il passare degli anni l’ europeismo è diventato una professione, spesso lucrosa: è necessario che torni a essere quella scommessa politica e quel rischio intellettuale che esso fu nella sua stagione più degna». Sono d’ accordo con lui e – al di là della questione delle radici cristiane – tra gli errori commessi ritengo che il primo sia stato quello di non aver messo in evidenza il rapporto che ci deve essere tra il nostro passato e il nostro futuro.
(Corriere della sera, 4 novembre 2004)
L’opinione di un altro noto studioso: Gianfranco Morra
Niente riferimenti al Cristianesimo nella Costituzione dell’Unione Europea. Eppure essa prese le mosse dall’opera di tre politici (demo)cristiani: Konrad Adenauer, Robert Schuman e Alcide De Gasperi. E, ancor più, non v’è storico delle civiltà, cattolico o laico che sia, che non riconosca nel Cristianesimo la principale forza fondativa dell’Europa, senza con ciò sottovalutare né Grecia né Roma e neppure il ruolo, peraltro minore, dei popoli barbarici e dello stesso Islam. Tanto che per tutto il medioevo la stessa parola “Europa” scompare, sostituita dalla coincidente “Christianitas” o “Respublica Christiana”. Diciamo con Federico Chabod: «(…) Il cristianesimo ha modellato il nostro modo di sentire e di pensare in guisa incancellabile; e la diversità profonda che c’è fra noi e gli antichi, fra il nostro modo di sentire la vita e quello di un contemporaneo di Pericle e di Augusto, è proprio dovuta a questo gran fatto, il maggior fatto senza dubbio della storia universale, cioè il verbo cristiano. Anche i cosiddetti “liberi pensatori”, anche gli “anticlericali” non possono sfuggire a questa sorte comune dello spirito europeo» (Storia dell’idea d’Europa, 1943-44, Laterza, Bari, 1964).
Preoccupato primariamente di problemi economici, tecnologici e politici, volto ad estendere a tutte le nozioni europee il nichilismo e l’indifferentismo etico, il parlamento di Strasburgo ha dimenticato che ogni paese in esso rappresentato è nato culturalmente dalla diffusione del messaggio cristiano – un’antropologia del tutto diversa da quelle di altre aree culturali, che ha trasformato un piccolo spazio geografico, una “appendice dell’immensa Asia”, in qualcosa di originale, distinto da ogni altra parte del mondo, una civiltà, un “modo di essere”, una “individualità storica” caratterizzata da un originale modo di sentire, di pensare e di agire, da sistemi filosofici e politici inconfondibili, da «tradizioni memorie speranze; è l’eredità dei padri – ricorda ancora Chabod -, antica ormai di millenni».
È interessante notare che non soltanto filosofi e storici, come appunto Croce e Chabod, hanno sottolineato l’eidos inconfondibilmente cristiano dell’Europa, ma anche letterati e poeti. (…)
(Da L’Europa nel segno di Vienna, Il Domenicale, anno 3, numero 46, sabato 13 novembre 2004)
Un intervento chiarificatore di Padre Piero Gheddo
Caro Romano, per capire le «radici cristiane» dell’Europa, non serve notare, come lei fa, che ci sono molte Chiese cristiane, che i Papi hanno sbagliato, che l’identità originaria è stata spesso modificata da guerre, commerci, scambi umani e culturali; e nessuno pensa di «cancellare dalla storia d’Europa tutto ciò che è stato fatto contro la Chiesa o a dispetto della sua volontà». Si parla di «radici», non di «storia» dell’Europa. Le differenze si vedono dal confronto fra le civiltà diverse: i missionari le conoscono bene. Lei richiama «la gloriosa rivoluzione inglese, la grande rivoluzione francese, il suffragio universale, il voto alle donne».
Ma da dove vengono queste rivoluzioni che hanno portato allo «sviluppo moderno» nell’Occidente cristiano o cristianizzato? Dall’affermarsi di quei principi della Bibbia e del Vangelo (assenti nelle altre religioni e culture) che stanno alla base della nostra civiltà: l’uomo creato da Dio a sua immagine e con dignità superiore a quella degli animali, l’uguaglianza di tutti gli uomini, la famiglia monogamica, l’autorità come servizio al popolo, l’amore e il perdono delle offese, la nobiltà del lavoro anche manuale come contributo all’opera della creazione, il senso del futuro e del progresso (noi siamo una «civiltà progressista»; altre «civiltà conservatrici» o «circolari», come dicono gli studiosi di civiltà). Nehru, nella sua «Autobiografia» (del 1946), si chiede perché l’India, con 5.000 anni di grande civiltà, ha dovuto attendere l’Inghilterra del sec. XIX per avere tutto quel che è «mondo moderno»: libertà di pensiero e di stampa, elezioni, giustizia sociale, eccetera.
La differenza vitale era questa: in Europa forze invisibili ribollivano all’interno delle sue masse facendole continuamente evolvere. In India invece la natura statica della società indiana rifiutava di evolversi». Se non è dalle «radici ebraico-cristiane», come si può spiegare, senza cadere nel razzismo, il fatto che la Carta dei Diritti dell’Uomo e il «mondo moderno» sono nati in Europa?
…e la risposta di Sergio Romano
Approfitto della sua lettera per ripetere che non ho mai negato l’importanza della cristianità nella storia europea. Credo tuttavia che a nessuna istituzione, nell’ambito della società di uno Stato laico, debba essere riconosciuto il diritto di stabilire ciò che è o non è cristiano. E temo che questo sarebbe accaduto se i membri della Convenzione avessero accolto la richiesta della Santa Sede.
(Corriere della Sera, 16 settembre 2005)
La posizione della Chiesa ortodossa
Nel maggio 2006 Alessio II, patriarca di tutte le Russie, concede un’intervista all’Agenzia Ansa in cui, oltre a considerazioni molto positive sulla figura e sull’operato di Papa Benedetto XVI, fa anche alcune considerazioni sulla tradizione cristiana dell’Europa. Leggiamo tra l’altro:
Il destino (dell’Europa) “è indissolubilmente legato al Cristianesimo, la cui cultura si è nutrita nel tempo, e in modo organico, di valori cristiani. Le scoperte scientifiche, quelle tecnologiche così come i capolavori artistici parlano proprio di questo legame. Conquiste che sono state possibili col contributo di molte generazioni di europei che hanno professato la fede cristiana”. Un presupposto che si scontra con una “civiltà europea che fa riferimento sempre più ad altro, ad autorità non cristiane e questo non può che allarmare”. Alessio II cita nichilismo, decadimento morale, ma anche secolarizzazione. ”Stato laico – dice – non vuol dire marginalizzare la religione dalla vita pubblica della società”, perché ”una società senza spiritualità è anche una società senza futuro”.
L’incontro “Ridare un’anima all’Europa”
Che quella delle radici cristiane del continente sia una preoccupazione condivisa dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa ortodossa è mostrato anche dal convegno congiunto “Ridare un’anima all’Europa”. Così leggiamo nelle agenzie di stampa:
“Ridare un’anima all’Europa” è il tema dell’Incontro Europeo di cultura cristiana, che si è tenuto a Vienna (Austria), dal 3 al 5 maggio 2006, organizzato congiuntamente per la prima volta da un organismo della Santa Sede e dal Patriarcato di Mosca. In occasione dell’Incontro, il Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, ha fatto pervenire, a nome del Santo Padre, un Messaggio ai partecipanti nel quale sottolinea che: “La Chiesa, ‘esperta in umanità’, non cessa di ribadire che solo conservando e valorizzando appieno il patrimonio valoriale trasmesso dagli antenati, l’Europa, nel rispetto delle diverse tradizioni spirituali che la arricchiscono, può scrivere una nuova pagina della sua storia, rispettando la dignità dell’uomo e bandendo definitivamente abusi e violenze contro i diritti umani, perchè ciò ostacola gravemente lo sviluppo integrale delle Nazioni, inquina il cuore dell’uomo e lede grandemente l’onore del Creatore”.
In un Comunicato reso pubblico ieri si legge: “Questo incontro, frutto della visita del Cardinale Poupard a Sua Santità Alessio II, Patriarca di Mosca, nel novembre 2004, è nato dalla comune preoccupazione fra i cristiani in Europa di far fronte all’attuale processo di perdita di identità del Continente, di riflettere sulle radici cristiane dell’Europa e di proporre con forza un progetto di futuro. La cultura si rivela così, secondo l’intuizione di Giovanni Paolo II nel fondare il Pontificio Consiglio della Cultura, un terreno comune di dialogo tra i cristiani di diverse confessioni”. L’Incontro, reso possibile dal sostegno della Fondazione ‘Pro Oriente’, che ha sede a Vienna, sarà co-presieduto dal Cardinale Paul Poupard, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e dal Metropolita Kirill, di Smolensk e Kaliningrad, Presidente del Dipartimento per i Rapporti Esteri del Patriarcato di Mosca. All’Incontro parteciperanno esperti di tutto il continente, laici e religiosi, scelti congiuntamente dai due organismi convocanti. Fra i temi che saranno esaminati nei tre giorni dell’Incontro: Europa: le Chiese davanti alle sfide della globalizzazione e della modernità, delle sette e delle nuove forme di non credenza e di indifferenza religiosa; L’influenza dell’etica cristiana in politica, economia e nei mezzi di comunicazione; Il dialogo delle Chiese con le altre religioni e l’umanesimo delle culture secolarizzate.
(http://www.europacristiana.it/news_leggi.asp?id=9215)
L’opinione del filosofo inglese Roger Scruton
Leggete la proposta di Costituzione Europea. In nessun punto parla della religione dell’Europa, delle glorie o delle imprese del passato europeo o della grande cultura che il nostro continente ha saputo produrre. (…) Questo documento non è altro che un sistematico rinnegamento del passato europeo (…) Il Trattato Costituzionale Europeo ci ricorda che un gran numero di europei, compresi coloro che hanno preso il controllo del continente, non ha alcun autentico affetto per la cultura europea. Considerano come il frutto di una semplice casualità il fatto di vivere sullo stesso continente in cuis ono vissuti Dante, Shakesapeare, Mozart, di abitare in città dominate da grandi cattedrali e di essere protetti da uno stato di diritto che deriva dal codice dell’imperatore Giustiniano e dalla common law delle tribù sassoni. Anziché affermare la nostra paternità di queste cose e di considerarle come la chiave della nostra identità condivisa e del nostro destino comune, ci viene chiesto di “diversificare”, invocando un approccio “multiculturale” su ogni questione di decisiva importanza culturale. Molti in realtà hanno un atteggiamento di aperta ostilità nei confronti dell’eredità europea, sono aggressivamente anticristiani e sostengono un approccio “postmoderno” che rifiuta ogni tentativo di raggiungere un consenso culturale. (…) Oggi in Europa non esiste più quasi nessuna scuola pubblica nella quale si insegnino la cultura e l’eredità dell’Europa. Il nostro programma di studi è fondato sull’insicurezza e ci tropviamo con una cultura sull’orlo del suicidio.
(da “Tempi”, 1 giugno 2006: dal testo delle conferenze Quo vadis Europa? Quo vadis Italia? tenute dal filosofo inglese R. Scruton a Milano e Roma rispettivamente nei giorni 29 e 31 maggio 2006)
Qualche segno iniziale di pentimento?
Poettering rilancia le radici cristiane dell’Europa
Merkel, Barroso e il neo-presidente dell’Europarlamento Poettering – ieri all’atto di insediamento – tornano a rilanciare la necessità di dare una carta costituzionale all’Europa.
La Bundeskanzlerin pone il traguardo per i primi mesi del 2009 per sciogliere l’impasse e nel suo entourage si fa capire che la presidenza semestrale tedesca, più che al 50° anniversario della Ue che verrà celebrato a Berlino il 25 marzo, è a dopo il 14 maggio delle elezioni francesi che guarda, come momento in cui verranno lanciate le ipotesi di lavoro.
Il presidente portoghese della commissione, a sua volta, invoca il «senso di responsabilità» dei capi di Stato e di governo: vero che non si può riesumare il vecchio testo bocciato da francesi e olandesi, ma «tutti hanno firmato a Roma» quel solenne impegno e ora non possono far finta di niente.
Stessa analisi da parte di Hans Gert Poettering, eurodeputato della Cdu tedesca fin dalla prima legislatura, che è riuscito a scalare il gradino più alto dell’istituzione. Rileva che nessuno si sogna di contestare i risultati dei referendum, ma sottolinea pure che in 27 hanno firmato quel trattato. E che i patti devono essere rispettati.
Una punzecchiatura secca per chi – inglesi e polacchi in primo luogo – han già fatto sapere informalmente che al varo di una nuova carta non ci pensano per nulla. Seguita poi da una novità di non poco conto che ai più forse è sfuggita. Rilevata la necessità di armonizzare maggiormente culture e religioni che si ritrovano in Europa, Poettering racconta che nel corso dei suoi viaggi in Paesi arabi molto spesso gli è stato chiesto come i musulmani vivono in Europa.
Potendo rispondere che forse non sono ancora del tutto integrati, ma comunque possono praticare il loro credo in moschee e in diversi luoghi di culto. Ma di aver trovato invece solo silenzi imbarazzati quando era lui a chiedere se fosse vero che nei Paesi arabi è prevista la pena di morte per chi si convertisse al cristianesimo.
I socialisti europei, larghi di applausi fino a quel momento con Poettering, si son guardati bene a quel punto dal battere le mani. Forse tra i pochi ad accorgersi che nelle sue parole c’era – manco troppo sottotraccia – un richiamo al discorso di Ratisbona di papa Ratzinger, visto che a parlare di un Islam omicida contro i convertiti sarebbe stato sempre quel Emanuele II° Paleologo, citato all’epoca dal pontefice tedesco.
Che Poettering possa richiamarsi al Papa è da metter di conto, visto che i Popolari non nascondono lo speciale rapporto con la chiesa cattolica.
Ma dietro le sue parole – stando al vicepresidente dell’Europarlamento Mario Mauro – potrebbe anche esserci dell’altro: a partire dalla riproposizione delle «radici cristiane» dell’Europa. Gettate fuori dalla porta europea da Chirac, potrebbero esser riproposte dalla finestra aperta di Sarkozy, se fosse eletto all’Eliseo.
(…)
Carne al fuoco insomma, comincia a essercene. Tutto resta però indissolubilmente legato all’esito delle presidenziali francesi.
di Alessandro M. Caprettini, “il Giornale”, 14 febbraio 2007
Il forte appello di Papa Francesco
Un forte appello al recupero delle radici culturali europee, che hanno nella continua apertura al trascendente uno degli elementi forti che le caratterizzano, è stato fatto anche da Papa Francesco nel discorso pronunziato davanti al Parlamento Europeo (25 novembre 2014)
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il grande ideale di un’Europa unita e in pace, creativa e intraprendente, rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?Per rispondere a questa domanda, permettetemi di ricorrere a un’immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene.
Al suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso l’alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta. Mi pare un’immagine che ben descrive l’Europa e la sua storia, fatta del continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l’apertura al trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l’uomo europeo, e la terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le situazioni e i problemi.
Il futuro dell’Europa dipende dalla riscoperta del nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un’Europa che non è più capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un’Europa che lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello “spirito umanistico” che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un’apertura al trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per l’indipendenza delle istituzioni dell’Unione, bensì un arricchimento. Ce lo indicano gli ideali che l’hanno formata fin dal principio, quali la pace, la sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto della dignità della persona.
Sull’argomento Papa Francesco è ritornato il 5 maggio 2016, in occasione della consegna del Premio Carlo Magno. Il Papa si rivolge all'”Europa umanistica”, insistendo sulla necessità di un recupero della memoria storica, nella cui anima è inscritta la capacità di porsi in dialogo con altre culture.
Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?
Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una “trasfusione di memoria”. E’ necessario “fare memoria”, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 108), ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando. La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre «una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana» (ibid., 224).
A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni.
Erich Przywara, nella sua magnifica opera L’idea di Europa, ci sfida a pensare la città come un luogo di convivenza tra varie istanze e livelli. Egli conosceva quella tendenza riduzionistica che abita in ogni tentativo di pensare e sognare il tessuto sociale. La bellezza radicata in molte delle nostre città si deve al fatto che sono riuscite a conservare nel tempo le differenze di epoche, di nazioni, di stili, di visioni. Basta guardare l’inestimabile patrimonio culturale di Roma per confermare ancora una volta che la ricchezza e il valore di un popolo si radica proprio nel saper articolare tutti questi livelli in una sana convivenza. I riduzionismi e tutti gli intenti uniformanti, lungi dal generare valore, condannano i nostri popoli a una crudele povertà: quella dell’esclusione. E lungi dall’apportare grandezza, ricchezza e bellezza, l’esclusione provoca viltà, ristrettezza e brutalità. Lungi dal dare nobiltà allo spirito, gli apporta meschinità.
Questa trasfusione della memoria ci permette di ispirarci al passato per affrontare con coraggio il complesso quadro multipolare dei nostri giorni, accettando con determinazione la sfida di “aggiornare” l’idea di Europa. Un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare.
(…)
Le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale.
L’attività politica sa di avere tra le mani questo lavoro fondamentale e non rinviabile. Sappiamo che «il tutto è più delle parti, e anche della loro semplice somma», per cui si dovrà sempre lavorare per «allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che porterà benefici a tutti noi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 235). Siamo invitati a promuovere un’integrazione che trova nella solidarietà il modo in cui fare le cose, il modo in cui costruire la storia. Una solidarietà che non può mai essere confusa con l’elemosina, ma come generazione di opportunità perché tutti gli abitanti delle nostre città – e di tante altre città – possano sviluppare la loro vita con dignità. Il tempo ci sta insegnando che non basta il solo inserimento geografico delle persone, ma la sfida è una forte integrazione culturale.
In questo modo la comunità dei popoli europei potrà vincere la tentazione di ripiegarsi su paradigmi unilaterali e di avventurarsi in “colonizzazioni ideologiche”; riscoprirà piuttosto l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi e di dialogo. Il volto dell’Europa non si distingue infatti nel contrapporsi ad altri, ma nel portare impressi i tratti di varie culture e la bellezza di vincere le chiusure. Senza questa capacità di integrazione le parole pronunciate da Konrad Adenauer nel passato risuoneranno oggi come profezia di futuro: «Il futuro dell’Occidente non è tanto minacciato dalla tensione politica, quanto dal pericolo della massificazione, della uniformità del pensiero e del sentimento; in breve, da tutto il sistema di vita, dalla fuga dalla responsabilità, con l’unica preoccupazione per il proprio io»
La censura di Tucidide
Nella sua prima stesura la Costituzione Eruropea si rifaceva nel preambolo alla definizione di democrazia che Tucidide inserisce nel II libro della sua opera (nella cd. demegoria di Pericle). Successivamente si è deciso di eliminare questo riferimento. A proposito di questa decisione così si esprimeva G. Morandi in un intervento ospitato su un forum di Internet
E così Tucidide l’ateniese è uscito dalla Costituzione europea (era citato nel penultimo preambolo, è scomparso nell’ultimo) non per eccesso di vetustà semmai, viene il sospetto, per il suo contrario, perché il suo nome avrebbe potuto creare imbarazzi non solo per le allusioni al passato prossimo ma più ancora per quelle al presente.
E’ singolare il percorso che ha fatto la censura dei compromessi, che non ha aggiunto nulla al testo di dicembre ma lo ha amputato di parti, che se lette in successione hanno un loro significato, perché fanno riferimento ai temi del grande duello tra Atene e Sparta, tra società aperta e totalitarismo, tra democrazia – non è forse una parola mutuata dal greco antico? – e oligarchia.
(…) Viene il sospetto che le censure dei compromessi abbiamo seguìto il criterio della troppa attualità piuttosto che quello dell’eccesso di storia antica. E’ vero, ricordare, soprattutto se si è inclini all’oblìo, può riservare delle sorprese e far scoprire radici, che è meglio far finta che non esistano. Forse a questo principio sono stati sacrificati i riferimenti oltreché alla democrazia di cui parla l’ateniese anche alla civiltà ellenica e romana.
Eppure 2400 anni fa nella cosiddetta guerra del Peloponneso raccontata dallo storico cassato c’erano già tutte le risposte ai dubbi che ci tormentano oggi, compreso il perché si debba a volte usare la forza, perchè al più forte spettino più privilegi ma anche più doveri, perché nulla dura, nemmeno la vittoria, e perché, come gridano gli abitanti di Corinto, gli ateniesi sono nati per non dar pace a se stessi e per non darla agli altri.
Perché è delle democrazie e delle società aperte sottoporsi alla tirannide dell’interrogarsi. Con tutto quel che ne consegue. Ma chiedere questo alla vecchia Europa sarebbe troppo, meglio una vita modesta ma tranquilla.
(forum.quotidiano.net/phpBB2/ viewtopic.php?t=5272&view=previous, 22 Giugno 2004)
La cristianofobia della Commissione Europea
Negazionismo di M. Veneziani
Per l’Unione europea il Natale non esiste, la Pasqua nemmeno, e se uccidono i cristiani in Nigeria e nelle Filippine, come è accaduto nel giorno di Natale, chi se ne frega, la cosa non ci riguarda. I cristiani saranno una setta del posto. Noi europei ci occupiamo di misurare le banane, mica di religioni, superstizioni, stragi e amenità varie. Noi siamo civili, lavoriamo in banca, mica pensiamo alle festività religiose. E poi in questi giorni la Commissione europea non lavora, è in vacanza natalizia, anche se non si sa ufficialmente la ragione di queste festività, sarà l’anniversario dell’euro o l’onomastico di Babbo Natale… Non sto vaneggiando per overdose di spumanti e panettoni. È stata diffusa in milioni di copie e in migliaia di scuole, in tutta Europa e forse anche nei Paesi islamici, l’agenda ufficiale dell’Europa, firmata della Commissione europea. Nel diario europeo, che mi è capitato di vedere, c’è traccia delle più estrose festività relative alle più minoritarie religioni, ma non c’è alcun riferimento alle festività antiche, canoniche e ufficiali della cristianità europea. Non si sa perché festeggiamo Natale e le altre festività religiose, nulla è accennato sull’agenda che ricordi la Natività, la Resurrezione e tutto il resto, nulla che segni in rosso una santa festività. Ma quale Natale, Pasqua, Epifania, diceva Totò, a cui evidentemente si ispira l’Unione Europea. L’ha fatto notare, protestando, il ministro degli Esteri Frattini, ma in questi giorni l’Unione europea è chiusa per inventario merci (non esistendo il Santo Natale) e dunque la protesta affonda nel vuoto vacanziero di questa vuota Europa. A ragion veduta possiamo perciò accusare l’Unione europea di negazionismo. L’Unione europea è un’associazione vigliacca di smemorati banchieri fondata sul negazionismo. Nel giro di poche ore, l’Unione europea ha infatti negato le festività cristiane e dunque la sua tradizione principale ancora viva da cui proviene e nel cui nome ha un calendario e un sistema di festività. Ed ha pure negato ai Paesi dolorosamente usciti dal comunismo il diritto di considerare i loro milioni di vittime sullo stesso piano delle vittime del nazismo. Come sapete, la Commissione europea ha negato che si possano equiparare gli stermini comunisti a quelli nazisti e possa dunque scattare anche per loro il reato di negazionismo. Pur avendo commesso «atti orrendi», i regimi del gulag, secondo la Commissione europea, «non hanno preso di mira minoranze etniche». E che vuol dire, sterminare i borghesi o i contadini è meglio che sterminare gli appartenenti a una razza? Uccidere chi non la pensa come te è un crimine meno efferato che uccidere chi è di un’altra razza? Tra le fosse di Katyn, le foibe e le camere a gas di Dachau, qual è la differenza etica, giuridica ed umana? Tra chi nega gli stermini di popolazioni civili di Paesi invasi dal comunismo e chi nega gli stermini etnici, qual è la differenza? È ideologica, signori, puramente ideologica. Come ideologica è la negazione delle tradizioni cristiane più popolari. Non parliamo infatti del dogma trinitario o di altri quesiti teologici, qui parliamo di Natale e Pasqua, avete presente? Alla base dell’Europa c’è un negazionismo vigliacco e bugiardo, che non è solo quello di negare alcuni colossali orrori per riconoscere e perseguirne degli altri; ma negare l’Europa stessa, la sua vita, il calendario che scandisce i suoi giorni, la sua realtà e la sua verità, la sua tradizione e la sua storia. Il negazionismo dell’Unione europea è ancora più grave del negazionismo elevato a reato: perché non nega solo alcuni orrori, ma nega anche in positivo la storia, la provenienza, la vita europea. (…) Per questo l’Unione europea non esiste, abbiamo ancora la Cee, la Comunità economica europea. Anzi non sprechiamo la parola comunità per un consorzio economico, torniamo al Mec, Mercato europeo comune. L’Europa è un morto che cammina.
(Il Giornale, 27 dicembre 2010)
Altro episodio di cristianofobia della Commissione Europea
Non è uno scherzo. Nel vecchio continente cristiano i burocrati di Bruxelles e qualche stato membro della Ue con manie laiciste hanno bocciato la moneta di 2 euro che la Slovacchia era pronta a coniare nel 2013. Bratislava, in occasione del 1150° anniversario della missione di Cirillo e Metodio, voleva dedicare il soldo unico ai santi.
La bozza iniziale prevedeva l’effige dei monaci, simbolo dell’Europa slava cristiana, con le aureole e l’abito talare ricoperto da grandi croci. Una copia dell’immagine che ci viene tramandata da secoli.
La puntigliosa Commissione europea ha detto «niet» chiedendo alla Slovacchia «di rimuovere i simboli religiosi» dalle monete, più precisamente «le aureole e le croci dai loro abiti». Lo ha rivelato la Banca nazionale di Bratislava, costretta a fare marcia indietro. Un cambiamento indispensabile per Bruxelles e qualche stato membro, non ben identificato, per riportare i 2 euro slovacchi «al principio del rispetto della diversità religiosa, come prescrive l’articolo 22 del Trattato sui diritti fondamentali dell’Ue».
Peccato che gli zelanti gnomi spirituali di Bruxelles non abbiano avuto nulla da obiettare per l’euro sloveno già in circolazione con il faccione di Franc Rozman, un generale di Tito, il maresciallo jugoslavo boia di italiani. L’alto ufficiale viene raffigurato con la bustina partigiana ed una grande stella a cinque punte, quella rossa dei comunisti.
Secondo la Conferenza Episcopale Slovacca «la rinuncia ai simboli essenziali delle immagini dei santi Constantino-Cirillo e Metodio sulle monete commemorative è una svolta culturale e una mancanza di rispetto per la propria storia». Cancellare le aureole dall’euro è «come togliere la croce alla cattedrale di San Martino a Bratislava» ha dichiarato l’europarlamentare popolare slovacca Anna Zaborska. La vicepresidente del parlamento di Bratislava, Erika Jurinova, ha definito «assurdo» il diktat di Bruxelles.
(Il Giornale, 24 novembre 2012)
Ma alla fine l’ha spuntata la Slovacchia
Dopo una lunga battaglia, Bratislava riesce a imporsi su Bruxelles che era contraria a stampare monete che raffigurassero i due santi con l’aureola e la croce.
Alla fine l’ha spuntata la Slovacchia. Dopo una lunga querelle, il paese potrà stampare la moneta da due euro con l’immagine dei santi Cirillo e Metodio (e anche con l’aureola, che – a un certo punto – parevano dover perdere per farsi accettare dall’Europa).
Del caso ve ne avevamo già parlato quando la Commissione europea pareva intenzionata a bocciare la proposta della Slovacchia, che in occasione dei 1.150 anni dalla predicazione di Cirillo e Metodio, aveva proposto una moneta da due euro celebrativa. Ma da Bruxelles avevano fatto sapere che “no, così non poteva andare”. Aureola e croce erano due simboli “troppo religiosi” nell’Europa laica che non riconosce più le sue radici cristiane.
Alla fine, però, l’ha avuta vinta la Repubblica Slovacca che ai due santi deve la propria evangelizzazione. Il fatto interessante – e che sembra oggi non andare giù a Repubblica che in un articolo tratta la notizia– è che a guidare il paese ci sia un «insospettabile centrosinistra, guidato dal premier socialista Robert Fico». Il quale è stato sostenuto in patria nella sua battaglia non solo dai cattolici, ma anche da intellettuali laici.