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L’immagine della nave dall’antichità ad oggi

by Giorgio Zangrandi

 

da Zetesis 1998-2

Lʼimmagine della nave che si mette per mare o più in generale della navigazione ricorre con una certa frequenza nella letteratura antica, italiana e più in generale europea.

Il mare è stato a lungo uno spazio sconfinato. Anche il Mediterraneo, il mare nostrum, lo stagno a detta degli antichi, su cui si è affacciata ed è cresciuta la nostra civiltà, misurato col metro della navigazione a vela è stato percepito come una barriera, un limite, uno spazio inquietante attra­ver­­sa­bile a prezzo di lunghe e perigliose spedizioni (due mesi da Gibilterra a Istanbul, una o due settimane da Marsiglia a Algeri). Oggi ovviamente la vertigine non è data più dalla percezione fisica dello spazio sconfinato visto che in cinque, sei ore attraversiamo a volo lʼOceano, ma ciononostante il mare non ha smesso di essere unʼimmensità ossessiva, enigmatica, affascinante e come tale entra con gran frequenza nella nostra letteratura molto spesso come il limite di fronte al quale lʼuomo si interroga, cerca il proprio destino, in bilico sullʼinfinito (cfr.:  A. Baricco, Oceano mare).
Ho ristretto il campo della mia ricerca allʼimmagine più specifica della nave che si mette per mare e più genericamente della navigazione, immagine di cui ho tentato di seguire le tracce  dalla letteratura antica greca e latina  a quella  italiana, dove è stato possibile anche europea.