da Zetesis 2000-2
Storia di una metafora
La metafora del pastore come capo e guida di uomini percorre due civiltà, quella greca (meno quella romana, se non per imitazione) e quella ebraica. In entrambe l’immagine si specializza nel senso di “pastore di pecore” (poimén in greco, contrapposto a boykólos e aipólos che indicano il bovaro e il capraio), probabilmente per la maggiore dipendenza delle pecore dal loro custode, sia perché più docili sia perché più indifese rispetto ad altri animali da pascolo. Ma comune ad entrambe è anche l’ambiguità dell’immagine: vi sono pastori buoni che tengono insieme il gregge e lo portano al sicuro nell’ovile alla fine della giornata di pascolo, proteggendolo senza prepotenza o ignavia, e cattivi pastori che abbandonano le pecore nel pericolo, le fanno disperdere o le trattano con violenza e le sfruttano.
Assumiamo inizialmente come esemplare, in quanto mostra l’ambiguità del topos nellaconsapevolezza di chi ne fruisce, un passo del Crizia platonico (109 bc), a proposito del rapporto fra gli dei e i popoli assegnati a ciascuno. Inizialmente viene utilizzata la similitudine del pastore, ma poi sembra esserci un ripensamento perché l’immagine del rapporto dèi ~ uomini deve essere assolutamente positiva, senza rischio di fraintendimento: pertanto subentra la similitudine del nocchiero, altrettanto usuale ma senza aspetti negativi:
δίκης δὴ κλήροις τὸ φίλον λαγχάνοντες κατῴκιζον τὰς χώρας, καὶ κατοικίσαντες, οἷον νομῆς ποίμνια, κτήματα καὶ θρέμματα ἑαυτῶν ἡμᾶς ἔτρεφον, πλὴν οὐ σώμασι σώματα βιαζόμενοι, καθάπερ ποιμένες κτήνη πληγῇ νέμοντες, ἀλλ’ ᾗ μάλιστα εὔστροφον ζῷον, ἐκ πρύμνης ἀπευθύνοντες, οἷον οἴακι πειθοῖ ψυχῆς ἐφαπτόμενοι κατὰ τὴν αὐτῶν διάνοιαν, οὕτως ἄγοντες τὸ θνητὸν πᾶν ἐκυβέρνων.
Avendo ottenuto secondo un sorteggio giusto ciò che a ciascuno piaceva, (gli dei) colonizzarono le regioni e dopo averle colonizzate allevavano noi, loro beni e esseri d’allevamento, come i pastori le greggi: senonché non facevano violenza fisica, come i pastori che portano al pascolo le bestie a suon di percosse, ma nel modo in cui si guida un essere docilissimo, drizzandolo da poppa, maneggiando l’anima con la persuasione come con un timone secondo il proprio intento, così conducendo dirigevano tutta l’umanità. (109 bc)
1. L’immagine nel linguaggio biblico
Nell’Antico Testamento il contrasto fra buoni e cattivi pastori è legato soprattutto alla deportazione ad opera di Nabucodonosor e alla dispersione del popolo di Jahvè:
Ὦ οἱ ποιμένες οἱ διασκορπίζοντες καὶ ἀπολλύοντες τὰ πρόβατα
τῆς νομῆς μου.
διὰ τοῦτο τάδε λέγει κύριος ἐπὶ τοὺς ποιμαίνοντας
τὸν λαόν μου Ὑμεῖς διεσκορπίσατε τὰ πρόβατά μου καὶ ἐξώσατε
αὐτὰ καὶ οὐκ ἐπεσκέψασθε αὐτά, ἰδοὺ ἐγὼ ἐκδικῶ ἐφ’ ὑμᾶς κατὰ τὰ πονηρὰ ἐπιτηδεύματα ὑμῶν·
καὶ ἐγὼ εἰσδέξομαι τοὺς
καταλοίπους τοῦ λαοῦ μου ἀπὸ πάσης τῆς γῆς, οὗ ἐξῶσα αὐτοὺς
ἐκεῖ, καὶ καταστήσω αὐτοὺς εἰς τὴν νομὴν αὐτῶν, καὶ αὐξηθήσονται
καὶ πληθυνθήσονται·
καὶ ἀναστήσω αὐτοῖς ποιμένας, οἳ ποιμα-
νοῦσιν αὐτούς, καὶ οὐ φοβηθήσονται ἔτι οὐδὲ πτοηθήσονται, λέγει κύριος.
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Guai ai pastori, che perdono e disperdono il gregge del mio pascolo, dice il Signore! Ecco quello che annunzia il Signore, Dio d’Israele, contro i pastori, che guidano il mio popolo: ‘Voi avete disperso il mio gregge, l’avete traviato, non ve ne siete curati. Ma io mi occuperò di voi, dice il Signore, e della malizia delle vostre azioni. Io stesso radunerò le mie pecore, da tutti i paesi dove le ho disperse, e le farò tornare ai loro pascoli, dove cresceranno e si moltiplicheranno. usciterò in mezzo a loro dei pastori, che le pasceranno; non avranno più a temere, né a subire spaventi, e nessuna più si perderà’ (Geremia, VII-VI sec., 23, 1-4)
Il tema ritorna in un profeta della generazione successiva, Ezechiele, deportato a Babilonia, che dedica all’immagine tutto il capitolo 34, qui riportato con qualche taglio. I capi a cui Dio aveva affidato il suo popolo l’hanno tradito; ma Dio stesso lo radunerà e lo farà ritornare sul colle di Sion (cosa che si realizzerà con la vittoria dei Persiani di Ciro sui babilonesi). Col nome di Davide viene profetizzata la venuta del Messia, il futuro “buon pastore”.
Il Signore mi rivolse la sua parola e mi disse: ‘Figlio d’uomo, profetizza contro i pastori d’Israele, parla e di’ loro: Pastori, così ha detto il Signore Dio: Guai ai pastori d’Israele, che van pascendo se stessi! Or, non è forse il gregge che i pastori devono pascere? Voi vi nutrite di latte e vi vestite di lana; uccidete le pecore grasse, ma non pascolate il gregge. Non avete rinvigorito le deboli, nè curate le inferme: non avete medicato quelle ferite, né ricondotte le pecore disperse, non siete andati in cerca delle sbandate, ma le avete guidate con crudeltà e violenza. Ora sono disperse, per mancanza di pastore, sono preda di tutte le fiere dei campi e si sono sbandate; errano le mie pecore per tutti i monti e su ogni colle elevato; le mie pecore sono disperse su tutta la faccia del paese, e non c’è chi le cerchi e se ne curi. Sentite pertanto, o pastori, la parola del Signore: Com’è vero che io vivo, dice il Signore Dio, poiché il mio gregge è stato esposto alle rapine e le mie pecore furono pasto d’ogni fiera dei campi, per mancanza di pastore, poiché i miei pastori non sono andati in cerca del mio gregge, ma hanno cercato di pascere se stessi e non il mio gregge, udite dunque, o pastori, ascoltate la parola del Signore: Così parla il Signore Dio: Ecco, io stesso son contro i pastori e richiedo il mio gregge dalle loro mani. Non affiderò più a loro un gregge da pascere, sì che più non pasceranno se stessi. Strapperò loro di bocca le mie pecore e non saranno più il pasto dei pastori.
Perché così parla il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura. Come un pastore passa in rassegna il gregge, quando si trova il suo gregge disperso, così passerò in rassetgna le mie pecore, e le trarrò in salvo da tutti i luoghi dove si erano disperse nel giorno di nube e tenebra. E le ritrarrò in mezzo ai popoli e le radunerò da ogni paese. Le ricondurrò nella loro terra, le pascolerò sui monti d’Israele, nelle valli e in ogni luogo abitato del paese. Le condurrò in ottimi pascoli; il loro ovile sarà sulle vette più alte della regione: là riposeranno in comodo recinto e avranno pingui pascoli sui monti d’Israele. Io stesso condurrò il mio gregge al pascolo, e lo riporterò nel luogo del suo riposo. Così dice il Signore Dio. Cercherò la pecorella smarrita, e ricondurrò quella sbandata: fascerò quella ferita, veglierò sulla grassa e sulla forte: le pascerò con giustizia. E a te, gregge mio, così parla il Signore: Ecco, io stesso giudicherò fra pecora e pecora, tra montoni e capri…
Susciterò loro un pastore che le pascolerà, il mio servo Davide. Egli le condurrà al pascolo e sarà il loro pastore. Il. il Signore, sarò il loro Dio e il mio servo Davide sarà principe in mezzo ad esse: io, il Signore, ho parlato. E stingerò con loro un patto di pace, farò sparire dal paese le bestie feroci, dimoreranno tranquille anche nel deserto e riposeranno senza timore pur nelle selve. Io le collocherò nei dintorni del mio colle.’
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La fiducia in Dio, pastore di ogni uomo e del suo popolo, è rilevata anche in due testi biblici più antichi. Il salmo 23 (22) attribuito a Davide, intorno al 1000 a.C., è il canto di lode a Dio per l’aiuto e la protezione. Come si nota, qui a parlare è la “pecora”: dopo le prime cinque strofe, l’immagine si perde e viene ripresa l’identità di uomo.
Κύριος ποιμαίνει με, καὶ οὐδέν με ὑστερήσει.
εἰς τόπον χλόης, ἐκεῖ με κατεσκήνωσεν,
ἐπὶ ὕδατος ἀναπαύσεως ἐξέθρεψέν με,
τὴν ψυχήν μου ἐπέστρεψεν.
ὡδήγησέν με ἐπὶ τρίβους δικαιοσύνης
ἕνεκεν τοῦ ὀνόματος αὐτοῦ.
ἐὰν γὰρ καὶ πορευθῶ ἐν μέσῳ σκιᾶς θανάτου,
οὐ φοβηθήσομαι κακά, ὅτι σὺ μετ’ ἐμοῦ εἶ·
ἡ ῥάβδος σου καὶ ἡ βακτηρία σου, αὐταί με παρεκάλεσαν.
ἡτοίμασας ἐνώπιόν μου τράπεζαν ἐξ ἐναντίας τῶν θλιβόντων με·
ἐλίπανας ἐν ἐλαίῳ τὴν κεφαλήν μου,
καὶ τὸ ποτήριόν σου μεθύσκον ὡς κράτιστον.
καὶ τὸ ἔλεός σου καταδιώξεταί με πάσας τὰς ἡμέρας τῆς ζωῆς μου,
καὶ τὸ κατοικεῖν με ἐν οἴκῳ κυρίου εἰς μακρότητα ἡμερῶν.
E’ il mio pastore Iddio, di nulla io manco;
tra bei paschi ei mi posa.
Mi conduce ad acque di ristoro,
ricrea l’anima mia,
mi guida per retti sentieri
per amor del suo nome.
Pur s’io vada per funerea valle
non temo alcun male,
Tu sei con me, con la mazza e il vincastro,
è questo il mio conforto.
Tu prepari innanzi a me una mensa
di fronte ai miei nemici.
Tu ungi d’unguento il mio capo,
m’empi il calice all’orlo.
Sol di beni e favori mi colmi
in tutta la mia vita.
Io abiterò la casa del Signore
per lunghi, lunghi anni.
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L’altro testo è di Isaia (VIII secolo) che profetizza le sventure di Israele e la venuta del Messia:
ὡς ποιμὴν ποιμανεῖ τὸ ποίμνιον αὐτοῦ
καὶ τῷ βραχίονι αὐτοῦ συνάξει ἄρνας
καὶ ἐν γαστρὶ ἐχούσας παρακαλέσει.
Come un pastore,
egli farà pascere il suo gregge,
e col suo braccio lo radunerà.
Gli agnelli li porta sulle sue braccia,
e cura le pecorelle che allattano (40, 10-11)
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Nel Nuovo Testamento, Gesù identifica il Buon Pastore, cioè il Messia, con se stesso. In Giov. 10 si contrappone sia ai ladri di pecore, falsi pastori, sia ai pastori a pagamento che non hanno a cuore le pecore. rispetto all’Antico Testamento, il gregge non è più solo Israele ma l’umanità intera:
Ἀμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν, ὁ μὴ εἰσερχόμενος διὰ τῆς θύρας εἰς τὴν αὐλὴν τῶν προβάτων ἀλλὰ ἀναβαίνων ἀλλαχόθεν ἐκεῖνος κλέπτης ἐστὶν καὶ λῃστής· ὁ δὲ εἰσερχόμενος διὰ τῆς θύρας ποιμήν ἐστιν τῶν προβάτων. τούτῳ ὁ θυρωρὸς ἀνοίγει, καὶ τὰ πρόβατα τῆς φωνῆς αὐτοῦ ἀκούει, καὶ τὰ ἴδια πρόβατα φωνεῖ κατ’ ὄνομα καὶ ἐξάγει αὐτά. ὅταν τὰ ἴδια πάντα ἐκβάλῃ, ἔμπροσθεν αὐτῶν πορεύεται, καὶ τὰ πρόβατα αὐτῷ ἀκολουθεῖ, ὅτι οἴδασιν τὴν φωνὴν αὐτοῦ· ἀλλοτρίῳ δὲ οὐ μὴ ἀκολουθήσουσιν ἀλλὰ φεύξονται ἀπ’ αὐτοῦ, ὅτι οὐκ οἴδασιν τῶν ἀλλοτρίων τὴν φωνήν. … Ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός· ὁ ποιμὴν ὁ καλὸς τὴν ψυχὴν αὐτοῦ τίθησιν ὑπὲρ τῶν προβάτων· ὁ μισθωτὸς καὶ οὐκ ὢν ποιμήν, οὗ οὐκ ἔστιν τὰ πρόβατα ἴδια, θεωρεῖ τὸν λύκον ἐρχόμενον καὶ ἀφίησιν τὰ πρόβατα καὶ φεύγει, καὶ ὁ λύκος ἁρπάζει αὐτὰ καὶ σκορπίζει, ὅτι μισθωτός ἐστιν καὶ οὐ μέλει αὐτῷ περὶ τῶν προβάτων. Ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός, καὶ γινώσκω τὰ ἐμὰ καὶ γινώσκουσί με τὰ ἐμά, καθὼς γινώσκει με ὁ πατὴρ κἀγὼ γινώσκω τὸν πατέρα· καὶ τὴν ψυχήν μου τίθημι ὑπὲρ τῶν προβάτων. καὶ ἄλλα πρόβατα ἔχω ἃ οὐκ ἔστιν ἐκ τῆς αὐλῆς ταύτης· κἀκεῖνα δεῖ με ἀγαγεῖν, καὶ τῆς φωνῆς μου ἀκούσουσιν, καὶ γενήσονται μία ποίμνη, εἷς ποιμήν.
In verità in verità vi dico: chi non entra nell’ovile per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è ladro e assassino. Chi invece entra per la porta, è pastore delle pecore. A lui apre il portinaio, e le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama per nome le proprie pecore, e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro: e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Ad un estraneo, però, non andranno dietro, ma fuggiranno da lui, perché non conoscono la voce degli estranei…Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. Il mercenario invece e chi non è pastore, a cui non appartengono in proprio le pecore, quando vede venir il lupo,m lascia le pecore, e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde, perché è mercenario e non glìimporta delle pecore. Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre: e per le mie pecore do la mia vita. ed ho anche altre pecore,che non sono di quest’ovile; anche quelle bisogna che io guidi; e daranno ascolto alla mia voce, sicché si avrà un solo ovile e un solo pastore (10, 1-5; 11-16)
Dio come pastore buono che non lascia perdere neppure una delle sue pecore, anche se essa si allontana volontariamente, è il tema della parabola raccontata in Matteo 18, 12-14 come invito alla conversione e in Luca 15, 4-7 fra le altre parabole della misericordia. Questo il testo di Matteo:
Τί ὑμῖν δοκεῖ; ὡῦν γὥνηταὢ τινι ἀνθρώπῳ ἑκατὸν πρόβατα καὶ πλανηθῇ ϲεν ἐξ αὐτῶν, οὐχὶ ἀφήσει τὰ ἐνενήκοντα ἐννέα ἐπὶ τὰ ὄρη καὶ πορευθεὶς ζητεῖ τὸ πλανώμενον; καὶ ἐὰν γένηται εὑρεῖν αὐτό, ἀμὴν λέγω ὑμῖν ὅτι χαίρει ἐπ’ αὐτῷ μᾶλλον ἢ ἐπὶ τοῖς ἐνενήκοντα ἐννέα τοῖς μὴ πεπλανημένοις. οὕτως οὐκ ἔστιν θέλημα ἔμπροσθεν τοῦ πατρὸς ὑμῶν τοῦ ἐν οὐρανοῖς ἵνα ἀπόληται ἓν τῶν μικρῶν τούτων.
Se un uomo ha cento pecore, ed una di esse si smarrisce – che ve ne pare? – non lascia egli forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella smarrita? E se ha la fortuna di ritrovarla, io vi dico la verità, prova piuù gioia di questa che delle novantanove che non si sono smarrite. Così il Padre vostro, che è nei cieli, non vuole che si perda neppure uno solo di questi piccoli.
“Piccolo gregge” è il termine affettuoso usato per i suoi discepoli: “Non temere, piccolo gregge, perché è piaciuto al Padre vostro dare a voi il regno” (Luca, 12, 22)
Che le pecore abbiano bisogno del pastore e ne vadano in cerca è chiaro da Marco 6, 34, in cui molta gente segue Gesù anche nel luogo in cui si era ritirato a riposare:
καὶ ἐξελθὼν εἶδεν πολὺν ὄχλον, καὶ ἐσπλαγχνίσθη ἐπ’ αὐτοὺς ὅτι ἦσαν ὡς πρόβατα μὴ ἔχοντα ποιμένα, καὶ ἤρξατο διδάσκειν αὐτοὺς πολλά.
Sbarcando, (Gesù) vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
In una delle profezie neotestamentarie sul Giudizio finale viene ripresa un’immagine già presente nel testo di Ezechiele: quella del pastore-giudice:
καὶ συναχθήσονται ἔμπροσθεν αὐτοῦ πάντα τὰ ἔθνη, καὶ ἀφορίσει αὐτοὺς ἀπ’ ἀλλήλων, ὥσπερ ὁ ποιμὴν ἀφορίζει τὰ πρόβατα ἀπὸ τῶν ἐρίφων, καὶ στήσει τὰ μὲν πρόβατα ἐκ δεξιῶν αὐτοῦ τὰ δὲ ἐρίφια ἐξ εὐωνύμων. τότε ἐρεῖ ὁ βασιλεὺς τοῖς ἐκ δεξιῶν αὐτοῦ, Δεῦτε, οἱ εὐλογημένοι τοῦ πατρός μου, κληρονομήσατε τὴν ἡτοιμασμένην ὑμῖν βασιλείαν ἀπὸ καταβολῆς κόσμου.
E tutte le nazioni saranno radunate davanti a lui, ma egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri; e metterà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che sono alla sua destra:’ Venite, benedetti dal Padre mio (Matteo 25, 32-34).
L’appartenenza al gregge di Cristo non esime dalla persecuzione e dal pericolo. Cristo stesso manda i suoi discepoli “come agnelli in mezzo ai lupi” (Luca, 10, 3); nella profezia della passione coinvolge chiaramente anche il suo gregge:
Τότε λέγει αὐτοῖς ὁ ‘Ιησοῦς, Πάντες ὑμεῖς σκανδαλισθήσεσθε ἐν ἐμοὶ ἐν τῇ νυκτὶ ταύτῃ, γέγραπται γάρ, Πατάξω τὸν ποιμένα, καὶ διασκορπισθήσονται τὰ πρόβατα τῆς ποίμνης· μετὰ δὲ τὸ ἐγερθῆναί με προάξω ὑμᾶς εἰς τὴν Γαλιλαίαν. ἀποκριθεὶς δὲ ὁ Πέτρος εἶπεν αὐτῷ, Εἰ πάντες σκανδαλισθήσονται ἐν σοί, ἐγὼ οὐδέποτε σκανδαλισθήσομαι. ἔφη αὐτῷ ὁ ἷΙησοῦς, Ἀμὴν λέγω σοι ὅτι ἐν ταύτῃ τῇ νυκτὶ πρὶν ἀλέκτορα φωνῆσαι τρὶς ἀπαρνήσῃ με.
Allora Gesù disse loro: ‘Voi tutti resterete scandalizzati per causa mia questa notte: poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e saran disperse le pecore del gregge; ma, dopo che io sarò risuscitato vi precederò in Galilea’. E Pietro prese a dirgli: ‘Quand’anche tutti restassero scandalizzati per causa tua, io non mi scandalizzerò mai!’ Gesù gli disse:’ In verità ti dico, che in questa notte, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte’ (Matteo, 26, 31-34).
Pietro rinnegherà realmente Cristo. Eppure, dopo la Resurrezione, sarà scelto come nuovo pastore. Il passo è fondamentale per la nostra indagine sia perché indica chiaramente che Cristo è pastore in quando proprietario delle pecore e Pietro lo è in quanto gli sono affidate da Lui, sia perché l’immagine di pastore buono non implica la perfezione morale (Pietro è un rinnegato, così come l’immagine di pecora buona ha avuto un approfondimento nella parabola della pecorella smarrita già citata, parabola della conversione e della misericordia:
ὅτε οὖν ἠρίστησαν λέγει τῷ Σίμωνι Πέτρῳ ο Ἰησοῦς, Σίμων Ἰωάννου, ἀγαπᾷς με πλέον τούτων λέγει αὐτῷ, Ναί, κύριε, σὺ οἶδας ὅτι φιλῶ σε. λέγει αὐτῷ, Βόσκε τὰ ἀρνία μου. λέγει αὐτῷ πάλιν δεύτερον, Σίμων Ἰωάννου, ἀγαπᾷς με λέγει αὐτῷ, Ναί, κύριε, σὺ οἶδας ὅτι φιλῶ σε. λέγει αὐτῷ, Ποίμαινε τὰ πρόβατά μου. λέγει αὐτῷ τὸ τρίτον, Σίμων Ἰωάννου, φιλεῖς με ἐλυπήθη ὁ Πέτρος ὅτι εἶπεν αὐτῷ τὸ τρίτον, Φιλεῖς με καὶ λέγει αὐτῷ, Κύριε, πάντα σὺ οἶδας, σὺ γινώσκεις ὅτι φιλῶ σε. λέγει αὐτῷ, Βόσκε τὰ πρόβατά μου.
Quando ebbero dunque mangiato, Gesù chiese a Simon Pietro: ‘Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi?’. Gli rispose: ‘Sì, Signore, tu lo sai che io ti amo’. Gesù gli dice: “Pasci i miei agnelli’. Poi gli chiede una seconda volta: ‘Simone di Giovanni, mi ami tu?’. Ed egli risponde: ‘Sì, Signore, tu lo sai che io ti amo’. E Gesù a lui:’ Sii pastore delle mie pecore’. Poi per la terza volta gli domanda: ’Simone di Giovanni, mi ami tu?’. Si contristò Pietro che per òla terza volta gli avesse chiesto:’Mi ami tu?’ e gli disse:’Signore, tu sai tutto, tu lo sai che io ti amo’. Gesù gli rispose:; ‘Pasci le mie pecorelle’. (Giovanni, 21, 15-17).
2. L’immagine nel mondo greco
Prima di citare similitudini o metafore, val la pena di prendere in considerazione un passo dell’Odissea, in cui risulta chiaramente che per pastore s’intende non il proprietario delle pecore, ma il loro guardiano (a nome del padrone), precisazione essenziale per capire il senso del topos. Infatti quando Menelao racconta di una località particolarmente fortunata per la pastorizia, precisa che lafortuna riguarda sia i proprietari sia i pastori:
ἔνθα μὲν οὔτε ἄναξ ἐπιδευὴς οὔτε τι ποιμὴν
τυροῦ καὶ κρειῶν οὐδὲ γλυκεροῖο γάλακτος,
Là padrone (anax) o pastore (poimén) mai prova mancanza / di cacio, di carne, di dolce latte… (IV, 87-88)
La distinzione non vale però quando “pastori” sono gli stessi dei. Riprendendo il passo del Crizia platonico citato nell’introduzione, rileviamo come gli dei allevano gli uomini delle varie regioni come loro beni (ktémata). L’idea del dio/pastore come proprietario è evidente. Altrettanto in un passo del Politico, l’opera in cui l’immagine del pastore ha il più ampio spazio: parlando dell’età dell’oro, Platone dice:
θεὸς ἔνεμεν αὐτοὺς αὐτὸς ἐπιστατῶν, καθάπερ νῦν ἄνθρωποι, ζῷον ὂν ἕτερον θειότερον, ἄλλα γένη φαυλότερα αὑτῶν νομεύουσι.
Iddio (scil. Crono) li governava, sopraintendendo egli stesso, così come ora gli uomini, che sono una specie di animali diversa e più divina, ne governano altre da meno di loro” (271)
Notiamo che nella medesima età non esistono pastori/uomini per le bestie, ma pastori/demoni (ibid.).
Ma nel mondo attuale, nel mondo storico, pastori sono i re. Il topos è costante in Omero, a partire da Iliade, II 254 in cui si usa per Agamennone un epiteto che diviene formulare “poiména lao=n”, inteso generalmente come ‘pastore d’eserciti’. E tuttavia il re non è padrone in proprio come gli dei nei testi platonici: si potrebbe dire che è poimén in quanto diotrephés, ‘allevato da Zeus’, altro epiteto formulare:
θυμὸς δὲ μέγας ἐστὶ διοτρεφέων βασιλήων,
τιμὴ δ’ ἐκ Διός ἐστι, φιλεῖ δέ ἑ μητίετα Ζεύς.
Grande è l’ira dei re allevati da Zeus,/ il loro onore è da Zeus, il saggio Zeus li ama (Il. II, 196-97)
Questo legame fra il dio e il re-pastore è sottolineato da un autore della seconda sofistica, Dione Crisostomo, nelle quattro orazioni perì basileìas. Riportiamo inparticolare un passo della IV orazione, in cui Diogene sta parlando con Alessandro dell’arte del regnare e fa riferimento all’autorità di Omero (39 segg.):
Ἐκεῖ, ἔφη, ὅπου τὸν Μίνω λέγει τοῦ Διὸς ὀαριστήν. ἢ οὐ τὸ ὀαρίζειν ὁμιλεῖν ἐστιν; οὐκοῦν ὁμιλητὴν τοῦ Διός φησιν αὐτὸν εἶναι, ὥσπερ ἂν εἰ ἔφη μαθητήν. ἆρ’ οὖν ὑπὲρ ἄλλων αὐτὸν οἴει [μανθάνειν τε καὶ] ὁμιλεῖν τῷ Διὶ πραγμάτων ἢ τῶν δικαίων καὶ βασιλικῶν; ἐπεί τοι καὶ λέγεται δικαιότατος ὁ Μίνως πάντων γενέσθαι. πάλιν δὲ ὅταν λέγῃ διοτρεφεῖς τοὺς βασιλέας καὶ διιφίλους, ἄλλο τι οἴει λέγειν αὐτὸν τὴν τροφὴν ταύτην, <ἢ> [ἣν ἔφη εἶναι] διδασκαλίαν καὶ μαθητείαν; ἢ σὺ οἴει λέγειν αὐτὸν ὑπὸ τοῦ Διὸς τοὺς βασιλέας τρέφεσθαι ὥσπερ ὑπὸ τίτθης γάλακτι καὶ οἴνῳ καὶ σιτίοις, ἀλλ’ οὐκ ἐπιστήμῃ καὶ ἀληθείᾳ; ὁμοίως δὲ καὶ φιλίαν [οὐκ] ἄλλην ἢ τὸ ταὐτὰ βούλεσθαι καὶ διανοεῖσθαι, ὁμόνοιάν τινα οὖσαν; οὕτως γὰρ δήπου καὶ τοῖς ἀνθρώποις δοκοῦσιν οἱ φίλοι πάντων μάλιστα ὁμονοεῖν καὶ μὴ διαφέρεσθαι περὶ μηδενός. ὃς ἂν οὖν τῷ Διὶ φίλος ᾖ καὶ ὁμονοῇ πρὸς ἐκεῖνον, ἔσθ’ ὅπως ἀδίκου τινὸς ἐπιθυμήσει πράγματος ἢ πονηρόν τι καὶ αἰσχρὸν διανοηθήσεται; αὐτὸ δὲ τοῦτο ἔοικε δηλοῦν καὶ ὅταν ἐγκωμιάζων τινὰ λέγῃ τῶν βασιλέων ῟ποιμένα λαῶν῏. τοῦ γὰρ ποιμένος οὐκ ἄλλο τι ἔργον ἢ πρόνοια καὶ σωτηρία καὶ φυλακὴ προβάτων. καίτοι ἐνίοτε πολλὰ πρόβατα ἐλαύνει μάγειρος εἷς ὠνησάμενος ὥστε κατακόπτειν [οὐ μὰ Δία] καὶ σφάττειν καὶ δέρειν. ὠνησάμενος ὥστε κατακόπτειν [οὐ μὰ Δία] καὶ σφάττειν καὶ δέρειν. ἀλλὰ πλεῖστον διαφέρει μαγειρική τε καὶ ποιμενική, σχεδὸν ὅσον βασιλεία τε καὶ τυραννίς. ὅτε γοῦν Ξέρξης καὶ Δαρεῖος ἄνωθεν ἐκ Σούσων ἤλαυνον πολὺν ὄχλον Περσῶν τε καὶ Μήδων καὶ Σακῶν καὶ ἱΑράβων καὶ Αἰγυπτίων δεῦρο εἰς τὴν Ἑλλάδα ἀπολούμενον, πότερον βασιλικὸν ἢ μαγειρικὸν ἔπραττον ἔργον λείαν ἐλαύνοντες κατακοπησομένην;
Nel passo – disse – in cui definisce Minosse familiare di Zeus (scil. Od. XIII 178 seg.). “Essere familiare” non significa “frequentare”? dunque dice che Minosse frequentava Zeus, come se lo definisse discepolo. Credi che frequentasse Zeus per imparare altre cose se non la giustizia e l’arte di regnare? infatti si dice anche che Minosse sia stato il più giusto di tutti. Inoltre quando chiama i re diotrefeìs e diifìloys, credi che intenda altro se non quell’allevamento che ho già detto essere istruzione e insegnamento divino? o credi che intenda dire che i re sono allevati da Zeus come da una balia con latte e vino e cibi e non con scienza e verità? Ugualmente anche amicizia non significa altro se non il volere e il pensare le stesse cose, una sorta di comunanza di spirito. Così infatti anche nei confronti degli uomini sembra che gli amici abbiano soprattutto comunanza di spirito e non siano discordi in nulla. Chi dunque è amico di Zeus e ha con quello comunanza di spirito è possibile che desideri qualche cosa d’ingiusto o progetti qualcosa di malvagio e turpe? Sembra che indichi questa stessa cosa anche quando chiama uno dei re, elogiandolo, poiména laon. Infatti il compito del pastore non è altro se non la protezione e la salvezza e la custodia del gregge, non il trucidare, no per Zeus, e lo sgozzare e scorticare. Certo talvolta il macellaio porta via alcune pecore per venderle: ma c’è grandissima differenza fra il mestiere del macellaio e quello del re, quasi quanta ce n’è fra la monarchia e la tirannide. Quando dunque Serse e Dario spingevano giù da Susa qui in Grecia una grande massa di Persiani e Medi e Saci e Arabi e Egiziani destinata a perire, facevano un’azione da re o da macellaio spingendo una preda al massacro?
Del resto la distinzione fra re e tiranno era già stata un punto d’arrivo nella lunga discussione sul rapporto pastore/re del citato Politico platonico, con una particolarità: il consenso del gregge è uno degli aspetti che distinguono il re/buon pastore:
Καὶ τὴν μέν γέ που τῶν βιαίων τυραννικήν, τὴν δὲ ἑκούσιον καὶ ἑκουσίων διπόδων ἀγελαιοκομικὴν ζῴων προσειπόντες πολιτικήν, τὸν ἔχοντα αὖ τέχνην ταύτην καὶ ἐπιμέλειαν ὄντως ὄντα βασιλέα καὶ πολιτικὸν ἀποφαινώμεθα;
Chiamando tirannide il governo dei violenti, arte politica quello che è volontario e si esercita su gregge di bipedi volontariamente soggetti, colui che a sua volta possiede quest’arte e questa cura non dichiareremo che sia davvero e re ed uomo politico? (277)
È evidente che all’epoca di Platone l’importanza del consenso del popolo risulta assai più rilevante che nell’età imperiale in cui Dione scrive. Ma il tema della cura come caratteristica del pastore buono è costante.