da Zetesis 1985-2
Da molti anni ormai, le indicazioni ministeriali relative sia all’insegnamento sia ai concorsi di latino e greco ribadiscono che lo scopo di questi studi è la lettura degli autori, al fine di conoscerne personalità, valori, pensiero, contesto storico e culturale. L’apprendimento linguistico, una volta privilegiato e quasi finalizzato a sé stesso (si pensi alla versione dall’italiano al latino), risulta ridimensionato e teso alla conoscenza diretta dei testi. Sappiamo che purtroppo queste indicazioni reiterate sono sovente disattese, sia nella concezione di scuola sia nella prassi di molti colleghi: la versione dall’italiano, esclusa esplicitamente dai programmi (che parlano di versioni dal latino e di esercitazioni dall’italiano), è ancora utilizzata come compito in classe in moltissimi bienni e in non pochi trienni; lo studio linguistico del biennio e l’ora di versioni del triennio sono momenti a sé, separati dallo studio degli autori, della storia antica, delle letterature: come se le lingue oggetto di insegnamento fossero realtà fisse, bloccate in un’eterna sincronia, sganciate dal mondo che le ha espresse e utilizzate. Ciò che è peggio, gli stessi autori sono talvolta scelti a fini di esercizio linguistico: si sente dire da colleghi che in prima liceo classico adottano Cesare anziché Sallustio, Plutarco anziché Erodoto perché “servono di più per i compiti in classe”.
Ma se queste sono storture difficilmente eliminabili (se non col lento rinnovo della classe insegnante, nella speranza che i giovani siano davvero diversi del vecchi), l’accettazione convinta e responsabile dei principi esposti in precedenza non elimina i problemi della prassi scolastica. Fra questi, mi è parso particolarmente urgente il problema dell’ora di versione, cioè del tempo dedicato all’esercizio di lingua: 1. qual è il suo scopo?; 2. quali brani scegliere?; 3. come impostare il lavoro?; 4. e qual è lo scopo e il metodo di quel particolare esercizio linguistico che è il compito in classe?
ì1. Rileviamo anzitutto come non tutti gli insegnanti di triennio dedichino un’ora specifica del programma settimanale all’esercizio linguistico. Il libro di versioni, adottato all’inizio del triennio, è utilizzato sistematicamente al primo anno, poi accantonato: possono venire assegnate traduzioni per casa, corrette saltuariamente in ritagli di tempo, oppure l’esercizio linguistico è abbinato alla lezione di letteratura, nel senso che gli è dedicata l’ultima parte dell’ora. Questo atteggiamento sembra essere in contraddizione con le storture che rilevavamo prima: In realtà è legato appunto all’idea di lingua come elemento separato dall’incontro con una cultura; esaurito l’insegnamento sistematico, la versione è un ingombro sgradevole di cui possono benissimo farmi carico i ragazzi in esercitazioni personali. Più al fondo c’è l’idea rassegnata che ormai più di tanto i ragazzi non imparano, e che la battaglia per una solida conoscenza linguistica è perduta, per cui non vale la pena di sprecarsi altro tempo. Non sono così ottimista, né così gratificata dall’esperienza scolastica, da negare un buon margine di verità in quest’ultima idea. L’insegnante del biennio è per forza di cose frettoloso e sovente schematico: annuncia una serie di norme inderogabili, senza preparare (salvo lodevoli eccezioni) né alla varietà delle epoche, degli autori a dei linguaggi, né alla comprensione globale di un testo. Inoltre l’apprendimento di una lingua richiede, appunto, una predisposizione per le lingue: quanti studenti, invece, al termine della scuola dell’obbligo scelgono i licei per esclusione (oltre ad andare male in matematica andavano male anche in inglese), o per un generico interesse umanistico (facevano bene i temi)? Ma non mi sembra lecito rinunciare ad una battaglia, anche so sembra perduta in partenza. Si tratta d’impostarla diversamente, da un lato verificando gli obiettivi, dall’altro modificando metodi e strumenti. Ora, gli obiettivi dell’ora di versioni a me paiono essenzialmente due: avviare alla comprensione globale di un testo e alla sua resa in italiano corrente; ampliare la conoscenza del mondo latino e greco.
2. Per rispondere al primo obiettivo, bisogna che il brano proposto per la versione sia comprensibile globalmente. Questo comporta che sia un passo di senso compiuto, in cui l’episodio o la problematica siano esposti dall’inizio alla fine; bisogna che il contesto sia noto ai ragazzi, o sia spiegato adeguatamente dalle note o dall’insegnante; bisogna che i ragazzi sappiano chi è l’autore, in che epoca vive, che tipo di opere scrive, qual è l’opera da cui il brano è tratto. Tempo fa ho letto coi ragazzi di prima liceo classico una breve lettera di Plinio: ho chiesto loro preliminarmente perché questo testo era particolarmente adatto come brano di versione, ma c’è voluto molto tempo, e molte risposte sbagliate, prima che uno arrivasse a dire che non era un passo di un’opera più vasta, ma un testo concluso in sé (anche se necessitava ugualmente di una contestualizzazione): tanto sono abituati i ragazzi a considerare i brani di versione come temi prefabbricati a scopo d’esercizio.
Il secondo obiettivo richiede che i brani (e quindi anzitutto il libro di versione) siano scelti in stretta connessione col resto del programma, vale a dire che i brani siano considerati (e siano realmente) temi d’autore, e non puri strumenti di verifica. Questo comporta per prima cosa che siano brani non inventati (neppure nel biennio), né falsificati con tagli, modifiche morfologiche o sintattiche, cambiamenti di dialetto (Erodoto in attico, ad esempio), ecc. È sicuramente meglio qualche nota in più che un cambiamento arbitrario: purtroppo si trovano invece moltissime modificazioni, soprattutto nel biennio, col risultato, ad esempio, che qualunque discorso sull’aspetto verbale greco è vanificato dall’abitudine di tradurre brani in cui tutti gli aoristi sono diventati imperfetti “per necessità scolastiche”. Del resto, lo stesso ministero non è da meno: il brano di Tacito assegnato alla maturità classica 1984 comprendeva un paio di modifiche non necessaire, anzi devianti: così Romanus (singolare collettivo: ‘i romani, l’esercito romano’) divenne Germanicus (il nome del comandante), che risultava coprirsi fronte e fianchi con opere difensive! Quando sarebbe bastato che il nome del protagonista risultasse dal titolo (o che fosse scelto un altro brano, data la difficoltà e l’ambiguità di quello proposto). Ma soprattutto bisogna che la scelta non sia casuale, ma sia avvertita dai ragazzi come legata ad un lavoro unitario. Avanzo alcune proposte, tratte dall’esperienza diretta. Nell’insegnamento al biennio ho seguito, sia come docente sia come coautrice di un testo di grammatica latina con eserciziario, il criterio di accostare i ragazzi alla letteratura latina nel suo sviluppo storico e nelle sue diverse espressioni: i brani proposti, quindi, (come anche le frasi singole) rappresentavano tutta la latinità, dall’età arcaica a quella tarda, con qualche passo medioevale. Questo comportava una presentazione dei diversi autori ed opere, e naturalmente un insegnamento soprattutto sintattico che tenesse conto della varietà e ricchezza della lingua; comportava anche la versione di brani poetici, col vantaggio di far comprendere in modo peculiare al ragazzi le sfumature e i rischi della resa italiana. Nonostante l’impresa sembri ardua e difficilmente accessibile per giovani studenti, la mia esperienza è stata positiva: la mia attuale seconda liceo classico, a cui insegno già dalla quinta ginnasio, ha acquisito una particolare sensibilità linguistica, che non le impedisce gli errori, ma le permette libertà e gusto; diversamente la prima liceale è cresciuta con la convinzione che la latinità era ristretta a Cesare e Cicerone, per cui qualunque altro autore si legga è guardato con diffidenza e qualificato come ‘strano’, ‘decadente’, ‘mai sentito’ o simili apprezzamenti.
Nel triennio si può operare in diverse direzioni, purché si conservi un taglio culturale. Si possono leggere passi di autori che già si leggono sistematicamente, per allargarne la conoscenza: ad esempio passi del De Bello Civili se si legge un libro del De Bello Gallico, o della Catilinaria se si legge il Bellum Iugurthinum; o il proemio di un’opera di cui si legge un libro intermedio, per conoscere le intenzioni dell’autore. Oppure passi di autori che affrontano una problematica analoga a quella approfondita metodicamente: ad esempio, leggendo uno storico, i proemi di altri storici greci o latini, o il medesimo episodio affrontato da diversi autori; leggendo un’opera retorica di Cicerone, passi dalla Rhetorica ad Herennium o di Quintiliano, dall’Anonimo del Sublime, da Dionigi di Alicarnasso; leggendo Cicerone filosofo o Seneca o S. Agostino, passi di altri autori pagani o cristiani che affrontino tematiche analoghe, ecc. Anche in questo caso non è impossibile affrontare brani di poesia, ad esempio un passo di Omero dopo un’adeguata iniziazione all’autore, e in generale brani greci non scritti in attico, ad esempio Erodoto, se già lo si legge come classico. Ancora, si può seguire lo sviluppo della storia letteraria, ampliando le letture che si fanno nell’ora di letteratura, generalmente in traduzione. Quest’ultimo criterio è particolarmente raccomandabile nell’anno terminale, quando le due letterature si disperdono in una folla di autori difficilmente conoscibili appieno: a volte basta l’affronto di un brano di Curzio Rufo per comprendere lo stile ‘romanzesco’ della sua opera, o di un passo di Frontone per avere un’idea della Seconda Sofistica a Roma. Ma può anche servire per l’affronto dell’oratoria greca, argomento quanto mai infelice per la sua collocazione alla fine del già complessissimo programma di seconda: iniziando a leggere i diversi oratori del Canone attico nelle ore di versione sarà possibile affrontare l’argomento alla fine dell’anno in breve tempo. Infine si può concepire l’ora di versione come un corso su diversi tipi di linguaggi, sia seguendo il programma di letteratura sia svolgendolo autonomamente.
3. L’affronto del singolo brano di versione può essere effettuato utilmente in un lavoro collettivo della classe, oltre alle necessarie traduzioni assegnate a casa e corrette insieme. Schematicamente si può impostare il lavoro in questo modo. Leggere il nome dell’autore e il titolo dell’opera (se riportato) e richiamare alla mente ciò che è già noto su di essi: epoca, tipo e contenuto dell’opera, idee dell’autore, con eventuali discrete aggiunte da parte dell’insegnante. Leggere attentamente il titolo, sperando che sia veramente adatto: un titolo come … fu di tal ve- lo // che nol seguiteria lingua né penna per un brano di Arriano può essere anche suggestivo, se uno sa che Arriano parla di Alessandro, me non illumina particolarmente sul contenuto del passo, soprattutto se buona parte del brano riguarda i sacrifici propiziatori compiuti prima di partire; mentre ricordo di aver dedicato qualche minuto in una terza liceo classico al titolo Perché Agamennone fu un grande condottiero di un brano d’Isocrate, facendo ripensare ai ragazzi alla costante ricerca, da parte di Isocrate, di una città o di un sovrano che riunisse i Greci contro i barbari, ricerca che, proiettata nel mito, gli poteva far valorizzare in tal senso la figura di Agamennone. Finalmente si giunge alla lettura ad alta voce del brano da parte dell’insegnante, seguita da qualche minuto di lettura personale dei ragazzi. In questo momento si situa la precomprensione del testo: bisogna abituare gli studenti a cogliere il senso generale dell’episodio o il tema fondamentale e ad individuare le parole-chiave. Può darsi che questo lavoro risulti difficile; si può tentare allora di guidarlo con domande appropriate. Ad esempio, in una prima liceo classico, assumendo come brano (largamente diffuso nei libri di versione) l’inizio della Repubblica di Platone: chi parla? quando è avvenuto il fatto? dove andava? perché scendeva? con chi era? che cosa andava a fare? che impressione ha avuto? ecc. II momento successivo è la verifica della precomprensione: analisi sintattica, partendo dal periodo per arrivare alla frase semplice; analisi morfologica, con particolare attenzione ai verbi (per la categoria dell’aspetto in greco, per l’uso dei modi e la relatività temporale in latino); lessico. S’intende che l’insegnante farà da dizionario, se non si vuole fare un’esercitazione anche col dizionario: me sarà sua cura far intuire dai ragazzi il maggior numero di vocaboli, in base alle etimologie e al contento. Infine la resa italiana, che va discussa con l’apporto di tutti e con possibili soluzioni alternative a seconda del gusto e della sensibilità linguistica di ciascuno, ma che comunque dove essere in buon italiano corrente. Via via, nel corso di queste operazioni, si faranno rilievi analitici e contenutistici, adeguati al metodo e agli scopi individuati nel secondo punto.
4. Come è ovvio a questo punto, anche il compito in classe dove rispondere agli scopi e al metodo dell’ora di versione. Non è sicuramente facile, e più volte mi è capitato di venir meno ai miei stessi principi: ci vuole un brano di una lunghezza precisa, non troppo facile né troppo difficile; se poi se ne danno due differenti per evitare (o ridurre) le copiature, devono essere dello stesso autore, di difficoltà e lunghezza pari, ecc. Tuttavia occorre cercare il più possibile di scegliere passi legati al resto del lavoro scolastico come argomento, autore, problematica: l’idea che il brano ideale sia quello di fronte a cui il ragazzo è totalmente al buio è da accantonare, anche perché, come diceva un collega durante un seminario sulla valutazione degli scritti, anche noi insegnanti, se di un brano non conoscessimo né autore né contesto, saremmo forse in difficoltà.
Non escluderei la possibilità, benché non contemplata dai programmi, di dare un passo di poesia, tratto dall’autore che si sta leggendo. Esperimenti in tal senso sono stati fatti con esito buono.
Allo studente va richiesto che svolga il suo lavoro con lo stesso metodo usato nell’ora di versioni: si tratta cioè di verificare la capacità di svolgere autonomamente un lavoro fatto più volte sotto una guida. Soprattutto va raccomandato di usare il dizionario solo in un secondo momento, durante la verifica della precomprensione, invece di buttarvisi sopra come primo gesto. l’esito finale che ci si aspetta è un brano italiano che abbia lo stesso senso di quello originale: l’affermazione sembra più che ovvia, ma comporta problemi non piccoli per la correzione, perché càpita che errori morfologici anche gravi non incidano più che tanto sul significato del testo, mentre il singolo errore lessicale può indicare, e provocare, un completo fraintendimento, specie in un brano filosofico. Un brano di Seneca dato in una terza liceo classico parlava della bontà come caratteristica naturale degli dèi e proponeva come massima forma di devozione l’imitazione degli dèi in questa loro qualità: la studentessa che mi ha presentato un brano tradotto correttamente me terminante con un bonus esto tradotto “sii valoroso” ha fornito, di fatto, una prova clamorosamente errata e senza senso: occorrerebbe riflettore, in questi casi, prima di assegnare una sufficienza. Non è sicuramente facile convincere i ragazzi ad un lavoro metodico nel panico del compito in classe. In una terza liceale particolarmente superficiale ho introdotto una verifica, con voto, di tipo intermedio, corrispondente, cioè, al solo momento della precomprensione. Ho assegnato un brano di greco piuttosto facile, di tipo narrativo: in circa tre quarti d’ora, senza dizionario, dovevano giungere, a scelta, o ad una spiegazione del contenuto del brano, o ad una traduzione (eventualmente con qualche parole mancante), o ad entrambe. Il risultato è stato mediamente assai migliore, non solo del normali compiti con dizionario, ma delle ore di versione guidata in cui la reazione abituale era “non si capisce niente, non siamo capaci”. Alcuni ragazzi sono stati in grado di presentare una traduzione completa o quasi, con un paio di spazi bianchi corrispondenti a parole effettivamente di uso raro, o con ipotesi formulate interrogativamente (e azzeccate) sul senso di un termine intuito del contesto. Altri hanno raccontato il brano nelle linee essenziali, o hanno tentato l’uno e l’altro lavoro con risultati dignitosi. L’unico rischio che si corre, proponendo le due possibilità alternative, è che vengano confuse, cioè che si giunga ad un testo misto di traduzione e riassunto: cosa in sé non negativa, so le parti sono ben distinte, ma metodologicamente controproducente, perché l’obiettivo di un lavoro del genare è di indicare i diversi passaggi, non la loro commistione. È mia intenzione ripetere l’esperienza con un brano di contenuto filosofico, per verificare la capacità di individuare lo sviluppo di un pensiero.