Dopo molti anni di insegnamento al liceo scientifico mi sono resa conto che l’insegnamento del latino o trova nell’ambito di questi specifici studi una sua ragion d’essere – originale propria insostituibile, e magari efficace – o è fatalmente destinato alla scomparsa, come tutte le cose inutili. Meglio toglierlo: infatti.
La sola idea, però, per come amo il latino e soprattutto per come esso mi ha formata, mi repelleva. Togliendo il latino ai miei studenti mi parrebbe di togliere la straordinaria esperienza di senso delle cose che ho fatto io. Occorre però trovare una strada per far fare questa esperienza ai miei studenti sguardo spento-vita bassa passando attraverso le Caudine della morfosintassi[1].
Me ne sono resa conto da tempo; ma in un modo più persuasivo quest’anno per il concomitante insegnamento che ho ricoperto nel triennio del classico e dello scientifico: due classi parallele, nello storico liceo della nostra scuola[2], in cui insegno allo scientifico dalla fondazione, e nel nuovo promettente liceo classico di cui quest’anno abbiamo aperto il Triennio. Un’esperienza ricca di spunti e per me molto formativa.
Mi sono più precisamente resa conto che il problema dell’attinenza di una disciplina ad un ambito di insegnamento non dipende solo dalla dignità culturale ed educativa della disciplina in quanto tale (questa è fuori discussione): dipende anche dalla specificità di quest’ambito. Che cos’è allora il liceo scientifico? Che specificità ha nell’ambito degli orientamenti liceali? E poi: che specificità ha l’area umanistica all’interno degli studi scientifici, e, all’interno di questa, il percorso linguistico-storico rappresentato dal latino?
Il lavoro che segue è la modesta esposizione del percorso di latino che ho fatto nella mia terza scientifico di quest’anno. È anche l’esposizione delle ragioni per cui l’ho fatto proprio così e delle idee che ci stanno sotto.
Spesso noi insegnanti di area umanistica e formazione classica – ma non solo noi – consideriamo il liceo scientifico una specie di liceo classico in formato minore: un liceo senza il greco e con più matematica, scelto da studenti che hanno poca voglia di studiare le materie umanistiche e soprattutto pochissima di studiare latino. Italiano e latino vengono loro insegnati o da classicisti intristiti da questa situazione o da modernisti che come i loro studenti non sono particolarmente orientati agli studi classici.[3] In genere i risultati alla fine del quinquennio sono abbastanza deludenti sia dal punto di vista delle competenze linguistiche che letterarie.
All’inizio della carriera dicevo ai miei studenti che valeva la pena studiare il latino perché è proprio lo studio classico (quindi il latino, la filosofia ecc.) che contraddistingue il liceo in quanto tale dagli altri tipi di studi superiori. Che quindi il latino era l’unica rocca che difendeva lo scientifico da un ‘appiattimento’ culturale verso gli studi tecnici… Anche a me il liceo scientifico sembrava come il classico ma un po’ meno.
Poi però ho osservato alcune cose mi hanno fatto cambiare idea: mio marito innanzitutto, che ha fatto il liceo scientifico, si è laureato in fisica e ora lavora nel mondo della finanza, mantenendo una curiosità intellettuale ed un’apertura culturale non inferiore certo alla mia, anche se… diversa; il modo straordinariamente intelligente con cui il prof. Marco Bersanelli, astrofisico all’Università di Milano, legge la Divina Commedia e le nostre rade, preziosissime conversazioni; la formatività dell’insegnamento della matematica nella nostra scuola, con la distinzione che pone tra l’educazione alle verità ‘necessarie’ e ‘definitive’ della matematica distinta da quelle ‘contingenti’ e ‘transitorie’ delle scienze sperimentali; la capacità di osservare, definire, descrivere, l’attitudine ad un procedimento della conoscenza consequenziale, ordinato, che vedevo crescere nei miei migliori studenti e constatavo diverso –non meno efficace – dalla flessibilità creativa, più rapida ad apprendere ed istintiva, cui mi avevano formato i miei studi superiori; l’attitudine e la capacità – che vedevo crescere in loro – di recepire rielaborare giudicare le nuove scoperte della scienza e della tecnologia moderna… Infine la loro curiosità decisamente orientata e incentivata da quello che studiavano non verso il passato ma verso il moderno.
Ho infine realizzato che il liceo scientifico è ‘liceo’ in quanto educa ad indagare sulle ragioni profonde degli eventi ed a metterle in gioco secondo un giudizio personale; questa formatività non è appannaggio né esclusivo né preponderante delle materie umanistiche, anzi: la matematica – intesa come educazione ad un pensiero matematico – impedisce una conoscenza ‘incerta’, le scienze sperimentali educano all’osservazione, al realismo, ad un approccio concretamente quantitativo alla realtà… In definitiva ciò che distingue lo scientifico rispetto al liceo classico è la sua vocazione decisamente logico-quantitativa riguardo alla modalità di apprendimento e modernista rispetto ai contenuti. In questo tipo di formazione il primato della matematica è a mio avviso innegabile e qualificante[4].
Questa certezza ha maturato in me da un lato una libertà, come sempre quando si ha un’idea fondante di cui si è persuasi, nel pormi sia verso i ragazzi che verso le mie discipline; dall’altro mi ha imposto delle scelte di contenuti che si sono andati via via chiarificando nel tempo, fino a diventare un metodo.
La constatazione di questo ‘primato’ offre infatti una grande quantità di suggerimenti sul lavoro di impostazione metodologica sia di italiano che di latino nel Biennio: in questo caso la collaborazione con gli insegnanti di matematica e scienze è davvero preziosissima. Per esempio abbiamo scoperto che le azioni fondamentali cui si educano i ragazzi sono le stesse nei vari ambiti disciplinari: osservare, nominare e riassumere (definire), dedurre (argomentare), descrivere: oltre agli scopi dell’insegnamento linguistico sono anche i gesti fondamentali della traduzione, per fare solo una scontata osservazione…
Rimandando però ad altra sede la descrizione del curricolo del Biennio, vorrei qui parlare, come già detto, del Triennio. Esso aggiunge alla educazione metodologica l’esposizione dei contenuti fondamentali delle Discipline nel loro divenire storico. A mio modo di vedere, il Triennio del Liceo è dal punto di vista conoscitivo una delle più grandi occasioni della vita: nessuna area di conoscenza è potenzialmente e aprioristicamente esclusa dall’esperienza dello studente, ed è nel Triennio che ci si avvicina all’ideale della conoscenza unitaria proposta un tempo, come impeto ideale, dall’Universitas medioevale, cui l’uomo per natura continua a tendere, nonostante la frammentarietà cui lo condanna il sapere moderno, come ha ricordato in modo persuasivo ed affascinante Benedetto XVI a Ratisbona.
Come insegnante, mi sono proposta di combattere proprio questa tendenza al frammentario, al “meno”, che trovo menzognera proprio rispetto alla mia natura di essere umano.
Lo scopo dell’insegnamento del Triennio è dunque di proporre i contenuti fondamentali dei saperi di una tradizione, quella Occidentale cui apparteniamo, nelle necessità storico-culturali che li hanno posti e nelle vicissitudini che ne sono conseguite. Mi pare che lo scopo sia proprio proporli, educando la libertà degli studenti a rispondere a questa proposta nel modo che reputano opportuno. La grandezza della civiltà occidentale è secondo me sotto gli occhi di tutti, pur con tutte le sue contraddizioni e discussioni: anche oggi è la più libera del pianeta e quella in cui il benessere è più diffuso, e non ci si vive male… da donna, almeno.
Il latino è stata la lingua veicolare di questa civiltà per venti secoli. In latino è stata elaborata la sintesi tra la classicità, il cristianesimo ed il mondo barbarico che ha generato l’Europa moderna; in latino l’uomo europeo si è espresso per due millenni nel duplice registro elevato – veicolare della cultura – e umile – quello della religiosità e devozione popolare. Il latino è stato quindi uno strumento fondante della civiltà europea, lo strumento espressivo della sua antropologia, ed un mezzo primario della sua unità. Mi sembra opportuno per tutte queste ragioni, che esso permanga anche nel curricolo del liceo scientifico: la conoscenza dello strumento permette l’accesso diretto a due milleni di civiltà.
Questo è quindi ciò che propongo ai miei studenti: attraverso lo studio del latino, ripercorrere la nascita dell’Europa e il suo divenire moderna e poi contemporanea, proponendo anche i contenuti fondamentali (non tutti, ovviamente, ma alcuni scelti esemplarmente), della Classicità. Le possibilità di attuazione di un progetto di questo tipo sono ovviamente enormi. Indico ora di seguito, a titolo esemplare, le scelte che ho fatto in terza quest’anno.
In una stretta collaborazione con il programma di italiano, ho strutturato il programma in tre sezioni e cinque temi fondamentali:
I sezione: grammatica
In questa parte ho ripercorso con i miei studenti i passaggi fondamentali della morfologia e della sintassi, spingendoli ad elaborare delle sintesi personali e dei repertori lessicali-morfologici sul loro quaderno (ad esempio: l’elenco di tutte le possibilità che offrono i morfemi del nome – ad esempio, tutto ciò che può terminare in ā–, le terminazioni verbali in ordine alfabetico, tutte le preposizioni a seconda della reggenza, le congiunzioni fondamentali, lo schema della subordinazione, ecc.). Mi lasciavo suggerire i vari argomenti dagli autori che via via incontravamo: lo studio della grammatica è sempre funzionale allo studio degli autori e dei testi.
II sezione: autori
In questa parte ho individuato cinque temi: tre di essi sono temi ‘tradizionali’, due sono invece nuovi e funzionali agli studi di tipo storico che procedono in modo più o meno concomitante in altre materie (italiano, storia, storia dell’arte). Questa scelta presenta il duplice vantaggio: didattico di ridurre ‘l’isolamento’ del latino rispetto alla altre materie curricolari dello scientifico, e culturale di comprendere concretamente ed effettivamente come esso sia in certo senso la ‘culla’ degli eventi descritti nelle altre materie.
Il primo tema, che ho chiamato Il passaggio dal mondo antico al Medioevo, è consistito in un percorso di letture (in latino e in italiano) concernenti il duplice registro culturale, cioè dei problemi che in questo passaggio si sono posti e affrontati, e linguistico (dall’unitarietà del latino alla differenziazione delle lingue europee).
Ho assegnato come lavoro estivo di introduzione al triennio una dispensa che presentava vari contenuti sul Tardo Impero: la battaglia di Adrianopoli di Ammiano Marcellino (con traduzione a fronte: il testo mi pareva impegnativo); la carestia in seguito alle guerre greco-gotiche e la successiva pestilenza narrata da Procopio (in italiano: mi pareva anche un bel confronto con i Promessi Sposi appena letti e un utile antecedente di Boccaccio); un piccolo excursus sulla Britannia, con testi di Beda e Gilda; un passaggio della Regola di San Benedetto (quello sulla dignità e necessità del lavoro manuale, la ‘rivoluzione’ benedettina); alcuni testi del V secolo (Ambrogio e Gerolamo) sul presentimento di essere alla fine del mondo; sempre Gerolamo e Agostino sul problema di cosa fare dei testi pagani; infine ho assegnato alcune letture da saggi ‘storici’ della cultura medioevale[5]. Nella parte iniziale dell’anno scolastico ho ripreso i contenuti fondamentali della dispensa, insistendo in particolare, secondo le domande che mi venivano dai ragazzi, molto curiosi di questo aspetto, sui contenuti di linguistica storica.
Il secondo tema, La cultura europea in lingua latina, è continuato per tutto il corso dell’anno in parallelo al programma di italiano. Tengo infatti moltissimo a far comprendOptimam frugem et vere divinam*
Un esempio di insegnamento del latino al Triennio del liceo scientifico
di Daniela Muzioere ai miei studenti come la lingua della cultura sia stato il latino fino a tempi molto recenti; spiego loro come questo abbia garantito l’unitarietà della comunicazione senza impedire la germinazione e fioritura delle lingue moderne, anzi: il fatto che nel registro della comunicazione culturale si usasse (fino ad un certo punto) esclusivamente il latino ha permesso che l’italiano, per esempio, si sviluppasse come lingua della comunicazione artistica e letteraria. I nostri autori sono stati tutti bilingui fino al Seicento[6]. Il mio scopo è dare agli studenti almeno sentore di questo bilinguismo.
In questo ambito ho trattato perciò del Medioevo latino, proponendo alcuni testi semplici (Alano da Lilla , i Carmina Burana[7]) tra gli infiniti possibili[8].
Ho poi proposto la lettura di testi più precisamente attinenti alla letteratura italiana: alcuni brani della Legenda aurea di Jacopo da Varazze[9] ed una antologia della Legenda Maior di Bonaventura da Bagnoregio, scegliendo tra i brani da cui Giotto trasse spunto per il ciclo degli affreschi sulla Vita di Francesco della Basilica superiore di Assisi.
Ho proposto poi alcuni brani di Dante Petrarca e Boccaccio. Anche qui la scelta è vastissima, ma ho optato nel caso di Dante per l’inizio del De vulgari eloquentia e per l’Epistula XIII a Cangrande della Scala, perché intanto la lettura dell’Inferno andava appassionando gli studenti.
Per Petrarca ho optato per alcuni passaggi delle Familiares (dal libro XXIV, tra quelle scritte agli auctores) che mi aiutavano ad impostare un discorso generale sull’Umanesimo. Per Boccaccio ho proposto un passaggio del libro XIV della Genealogia deorum gentilium in cui parla con suggestivi echi ovidiani della sua vocazione di poeta.
Un lavoro sul latino degli umanisti è stato proposto come compito per le vacanze e costituirà il punto di partenza per l’anno prossimo.
Il terzo tema è stata la lettura di Cesare, tradizionalmente proposta al terzo anno dello scientifico. Esso è stato approfondito in due direzioni: lo studio della civiltà celta, la sua diffusione in Italia Settentrionale ed in Gallia Transalpina, i suoi tre secoli di scontro con Roma[10]: l’allargamento del tema è molto piaciuto ai ragazzi che hanno poi letto con interesse la parte del De bello gallico attinente a Vercingetorige ed alla battaglia di Alesia; abbiamo studiato anche alcuni aspetti di civiltà (a partire ad esempio dalla costruzione dei fossati e terrapieni che circondavano la città assediata abbiamo affrontato il tema del castrum e dei suoi strumenti offensivi e difensivi); l’approfondimento della controversa interpretazione storica della figura di Cesare –l’uccisore della civiltà repubblicana o ‘l’uomo giusto al posto giusto’… – che è culminata poi in alcune letture del De bello civili e di alcuni passi paralleli dei Pharsalia di Lucano.
Il quarto tema, Il mito degli Argonauti, è consistito in una dispensa che conteneva una parte raccontata, intervallata da brani di Igino che i ragazzi dovevano tradurre, e dalla Medea di Euripide. Questa proposta è nata da una serie di esigenze. Innanzitutto, dalla necessità di far avere ai ragazzi una qualche esperienza del teatro greco[11] che cominciavano a conoscere grazie allo studio della letteratura latina. In secondo luogo, mi interessava far lor conoscere il mito degli Argonati per la sua costante permanenza nella cultura moderna e soprattutto il grande carico simbolico che esso ha in Dante Alighieri[12].
Il quinto tema, Ovidio e gli elegiaci, è un altro tema tradizionale della terza liceo, per cominciare a conoscere la poesia insieme alla prosa. La scelta degli elegiaci è stata suggerita da una serie di fattori: il legame tra Properzio e in generale la lingua dell’elegia e la poesia amorosa trobadorica ma anche petrarchesca; la curiosità di far conoscere il mondo delle Metamorfosi, nutrimento della cosiddetta aetas ovidiana (il XII secolo) che dette immagini e forme all’immaginario dantesco; infine la possibilità di un approccio ‘soft’ al tema della prosodia e della metrica.
III sezione: letteratura. All’incirca nel mese di febbraio ho introdotto il tema della storia della letteratura latina. in seguito ad una interessantissima lezione che il prof.Morani ha tenuto nella nostra scuola[13] ho impostato innanzitutto il tema della storia della lingua latina. E’ una classe sorprendentemente interessata a questo tipo di approfondimenti: abbiamo parlato dell’indoeuropeo, della sua diffusione sul nostro continente, della marginalità del latino rispetto all’area di diffusione, della sua patina ‘rurale’, della sua lotta per emergere tra le altre lingue dell’Italia centrale; abbiamo poi affrontato il tema del suo rapporto con l’etrusco e la profonda mutazione cui andò incontro nel V secolo trasformandosi dalla rozza lingua del materiale epigrafico precedente ad una lingua molto più raffinata. Lo studio delle prime testimonianze scritte è stato l’occasione per ‘aprire un file’ sulla epigrafia, i suoi metodi e la sua singolare ‘vitalità’ tra le molte discipline antiche. Nello svolgimento del programma di letteratura ho sepre tentato di mantenere aperto l’incontro con gli autori e lo spessore della loro personalità: ho trovato utile per esempio quando ho fatto Catone leggere ai ragazzi alcuni passi del Cato maior e della Vita di Marco Catone di Plutarco.
Abbiamo letto integralmente due commedie: a casa, poi ripresa per punti in classe, la Mostellaria di Plauto; ad alta voce in classe, assegnando le varie parti che i ragazzi hanno interpretato, gli Adelphoe di Terenzio[14].
Mi pare di poter dire che la mia fondamentale preoccupazione sia stata in ogni passaggio del programma il far almeno presentire agli studenti l’esperienza della unitarietà della conoscenza, ed in alcuni passaggi almeno che l’abbiano esperita. Il pericolo dell’estinzione che corre al liceo scientifico mi pare sia causato proprio dal sentimento diffuso della sua lontananza ed inattinenza sia con il resto delle discipline sia con la vita moderna. E’ chiaro che i miei studenti non saranno dei latinisti nel senso squisitamente linguistico del termine: non pretendo neanche che lo diventino. Però spero che siano consapevoli che la lingua veicola un contenuto, e di questo siano curiosi: consapevoli inoltre del profondo legame con lingua che usano[15] e la cultura da cui derivano e quella in cui sono immersi.
Un’ultima osservazione vorrei fare sulle verifiche, in particolare sulla versione. Ho combattuto un po’, nel corso dell’anno, contro la versione intesa come puro esercizio linguistico, cercando invece che fosse anche quella occasione per approfondire la conoscenza, un testo portatore di un significato che era interessante conoscere. Ho perciò sempre dato, secondo il metodo delle varie dispense cui ho accennato, un testo inserito in un comprensibile contesto, attinente al programma che andavamo facendo, il cui significato potesse essere interessante. Offro in conclusione del mio intervento un esempio di questo tipo di verifiche.
Spero che questo contributo possa essere utile alla riflessione: non ha evidentemente nessunissima pretesa ‘scientifica’, ma insomma, è un’idea. Didattica.
* Lorenzo Valla, In sex libros elegantiarum praefatio: il principale merito dei nostri padri, chi li ha assimilati agli dèi è “l’aver distribuito ai popoli la lingua latina, messe ottima e davvero divina, cibo non del corpo ma dell’anima” (in Prosatori latini del Quattrocento, a c. di E.Garin)
[1] Scherzo. Adoro i miei studenti, da cui imparo sempre.
[2] L’Alexis Carrel di Milano.
[3] Per la cronaca io sono modernista, ma ho fatto il liceo classico e mi sono laureata in latino umanistico.
[4] Non certo per una ‘quantità’: fino alla Riforma Gelmini era il latino la materia preponderante in termini di ore di insegnamento nel corso del quinquennio.
[5] E. Auerbach, Introduzione alla filologia romanza e C. Dawson, Il Cristianesimo e la formazione della civiltà medioevale.
[6] Casi pur importanti di epoca successiva – per esempio la squisita poesia latina di Giovanni Pascoli – non mi sembrano più espressive della cultura della maggioranza.
[7] Molto utile l’ascolto guidato dell’opera di Orff :essa ha permesso, tra l’altro, di impostare il grande tema del rapporto della letturatura con la storia dela musica che normalmente affronto nel programma di Italiano.
[8] Per questo aspetto, una vera fucina di idee e spunti è la lettura dell’opera di E. Curtius, Letteratura europea e Medioevo latino.
[9] La Vita di San Giuliano: per mostrare loro un esempio di come questa tradizione di latino medioevale sia vitale in Occidente e per tenere sempre aperta la loro mente su una dimensione ‘europea’ della cultura ne ho proposto il rifacimento nei Trois Contes di Gustave Flaubert.
[10] Anche qui, lo strumento è stato una dispensa che proponeva alcuni brani in lingua di Cesare e Livio accompagnati da un commento e da qualche documentazione grafica (immagini e cartine).
[11] Per questa specifica esigenza è stato efficacissima per la sua intensa tragicità davvero classica nella sua modernità la visione del film Medea di Lars Von Trier (Danimarca 1988), che abbiamo visto dopo la lettura del testo euripideo.
[12] Nel Paradiso si propone come nuovo Giasone protonauta; il mito degli Argonauti suggestionò profondamente l’Alighieri che lo usa ampiamente, con la mediazione di Ovido e soprattutto Stazio, in tutte e tre le cantiche.
[13] Su Il Latino tra le lingue indoeuropee. I contenuti che ha proposto sinteticamente in quella lezione sono reperibili in un suo dottissimo e impegnativo libro, che ha notevolemente ampliato i miei orizzonti di latinista, M. Morani Introduzione alla linguistica latina, München 2000.
[14] Questa esperienza è stata davvero gustosa ed anche molto interessante, se si considera che la mia Terza di quest’anno era casualmente tutta maschile. Il modo con cui hanno interpretato le parti femminili, chi recitando in falsetto e chi imitando modi ed atteggiamenti femminili, oltre a farci sbellicare dalle risa, ci ha messo nelle condizioni dello spettatore antico, che non vedeva recitare le donne se non nel mimo (a proposito: grande entusiasmo in classe quando ho raccontato dell’abitudine della nudatio mimarum alla fine delle rappresentazioni mimiche…).
[15] Una vera chiave di volta nell’atteggiamento verso la conoscenza del lessico, ad esempio, sono stati alcuni esempi di trasferimenti semantici avvenuti nel latino volgare: che, ad esempio ingegnere deriva non dal primo significato di ingenium, ancora presente nell’italiano, ma da un secondo perduto nel nostro ingegno, il significato di <congegno> che esite oltre che in ingegnere in marchingegno. Chi è un ingegnere? Uno che sa fare e usare i congegni. L’ingegnere sa come usarli, lo scienziato sa perché. Infatti Ingegneria nacque come un Politecnico, non come una facoltà universitaria. La percezione del perché di una parola, della sua storia, è per lo studente sempre affascinante. Questo offre il latino.
JACOBUS DE VORAGINE
HISTORIA SANCTI CHRISTOFORI
JACOPO DA VARAZZE
LA STORIA DI SAN CRISTOFORO
Christophorus, gente Cananaeus, procerissimae staturae vultuque terribili erat et XII cubitos in longitudine possidebat. Qui, ut in quibusdam gestis suis legitur, cum staret cum quodam rege Cananaeorum, venit sibi in mentem, ut maiorem principem, qui in mundo esset, quaereret et ad eundem secum moraturus accederet. Venit igitur ad quendam maximum regem, de quo generalis fama habebatur, quod maiorem mundus principem non haberet. Quem rex videns libenter recepit et in sua curia manere fecit. Quodam autem die ioculator quidam cantionem coram rege cantabat, in qua frequenter diabolum nominabat. Rex autem cum fidem Christi haberet, quemcumque diabolum nominari audiebat, protinus in faciem suam crucis signaculum imprimebat. Quod videns Christophorus plurimum admirabatur, cur hoc rex ageret et quidnam huiusmodi signum sibi vellet. Cum autem de hac re regem interrogaret et ille hoc sibi manifestare nollet, respondit Christophorus: “Nisi hoc mihi dixeris, tecum ulterius non manebo.” Quapropter coactus rex dixit ei: “Quemcumque diabolum nominari audio, hoc signo me munio timens, ne in me potestatem accipiat mihique noceat.” Cui Christophorus: “Si diabolum, ne tibi noceat, metuis, ergo ille maior et potentior te esse convincitur, quem in tantum formidare probaris. Frustratus igitur sum spe mea putans, quod maiorem et potentiorem mundi dominum invenissem, sed iam nunc valeas, quia ipsum diabolum quaerere volo, ut ipsum mihi in dominum assumam et eius servus efficiar.”
Discessit igitur ab illo rege et diabolum quaerere properabat. Cum autem per quandam solitudinem pergeret, vidit magnam multitudinem militum, quorum quidam miles ferus et terribilis veniebat ad eum et, quonam pergeret, requisivit. Cui Christophorus respondit: “Vado quaerere dominum diabolum, ut ipsum in dominum mihi assumam.” Cui ille: “Ego sum ille, quem quaeris.” Gavisus Christophorus se sibi in servum perpetuum obligavit et ipsum pro domino accepit. Cum ergo ambo pergerent et in quadam via communi crucem erectam invenissent, mox ut diabolus ipsam crucem vidit, territus fugit et viam deserens per asperam solitudinem Christophorum duxit et postmodum ipsum ad viam reduxit. Quod videns Christophorus et admirans interrogavit illum, cur in tantum timens viam planam reliquerit et tantum devians per tam asperam solitudinem ierit. Quod cum ille nullatenus indicare vellet, dixit Christophorus: “Nisi mihi hoc indicaveris, statim a te discedam.” Quapropter compulsus diabolus dixit ei: “Quidam homo, qui dicitur Christus, in cruce fixus fuit, cuius crucis signum cum video, plurimum pertimesco et territus fugio.” Cui Christophorus: “Ergo ille Christus maior et potentior te est, cuius signum in tantum formidas! In vacuum igitur laboravi nec adhuc maiorem mundi principem inveni. Iam nunc valeas, quia te volo deserere et ipsum Christum inquirere.”
Cum igitur diu quaesivisset, qui sibi Christi notitiam indicaret, tandem ad quendam eremitam devenit, qui sibi Christum praedicavit et in eius fide ipsum diligenter instruxit. Dixitque eremita Christophoro: “Rex iste, cui servire desideras, istud requirit obsequium, quia frequenter ieiunare oportebit.” Cui Christophorus: “Aliud a me requirat obsequium, quia istam rem nequaquam agere valeo.” Rursus eremita: “Multas quoque orationes te sibi facere oportebit.” Cui Christophorus: “Nescio, quid sit hoc, nec huiusmodi obsequium perficere possum.” Cui eremita: “Nosti talem fluvium, in quo multi transeuntes periclitantur et pereunt!” Cui Christophorus: “Novi.” Et ille: “Cum procerae staturae sis et fortis viribus, si iuxta fluvium illum resideres et cunctos traduceres, regi Christo, cui servire desideras, plurimum gratum esset, et spero, quod ibidem se manifestaret.” Cui Christophorus: “Utique istud obsequium agere valeo et me sibi in hoc serviturum promitto.” Ad praedictum igitur fluvium accessit et ibidem sibi habitaculum fabricavit portansque loco baculi quandam perticam in manibus, qua se in aqua sustentabat et omnes sine cessatione transferebat.
Cristoforo, Cananeo di stirpe, era di altissima stazza e aspetto spaventoso e possedeva 12 cubiti (ca. 5 metri) in altezza Come si legge in qualche sua biografia, mentre egli si trovava presso un re Cananeo, gli venne in mente di cercare il principe più grande che ci fosse al mondo e di andare a stabilirsi presso costui. Giunse dunque presso un grandissimo re del quale si riteneva per fama generale che il mondo non avesse un principe più grande. Il re, quando lo vide, lo accolse ben volentieri e lo fece rimanere nella sua corte. Un bel giorno un giullare prese a cantare davanti al re una canzone, nella quale frequentemente parlava del diavolo. Il re, giacché aveva fede in Cristo, a chiunque sentisse nominare il diavolo tracciava sul volto il segno della croce. Al vedere ciò Cristoforo si domandava ardentemente perché il re facesse quel gesto e che cosa mai potesse significare per lui un segno di tal fatta. Avedo richiesto al re lumi a tal proposito e poiché quegli non voleva svelarglielo rispose Cristoforo: “ Se non me lo dirai, non rimarrò più a lungo con te”. Perciò, costretto, il re gli disse: “Chiunque sento nominare il diavolo, mi proteggo con questo segno, temdno che mi prenda in suo potere e mi nuoccia”. Cristoforo gli disse: “Se tu temi che il diavolo ti possa nuocere, si deduce quindi che egli è più grande e potente di te, che sei così scosso dalla paura di lui. Sono stato quindi deluso nella mia speranza quando ho pensato di aver trovato il signore più grande e potente del mondo: a ora addio, perché voglio cercare il diavolo in persona, per prenderlo come mio signore e diventare suo servitore”.
Se ne andò quindi da quel re e si aggirava in cerca del diavolo. Mentre si aggirava in una landa deserta vide una gran moltitudine di soldati, tra i quali un soldato feroce ed orribile veniva presso di lui e gli chiese dove stesse andando. Cristoforo gli rispose: “Vado a cercare messer diavolo, per assumerlo come mio signore.” E quello: “Sono io quello che cerchi.” Rallegratosi, Cristoforo si vincolò ad un perpetuo asservimento e lo accolse come suo signore. Mentre entrambi viaggiavano e avevano trovato al crocevia di una strada una croce, subito, non appena il diavolo vide la croce, fuggì via terrorizzato e solo dopo un bel po’ riprese la strada di prima. Al vedere ciò Cristoforo, stupito, gli chiese perché mai così spaventato avesse abbandonato la via diritta e se ne fosse andato per un deserto così accidentato facendo una tale deviazione. Poiché quello non glielo voleva dire in nessun modo, disse Cristoforo: “Se non me lo dirai me ne andrò immediatamente via da te.” Per cui, messo alle strette, il il diavolo gli rispose: “Un certo uomo che chiamano Cristo fu inchiodato alla croce: quando io vedo il segno della croce mi spavento a morte e fuggo terrorizzato.” E Cristoforo a lui: “Allora questo Cristo è maggiore e più potente di te, visto che hai tanto terrore del suo simbolo! Quindi mi sono affannato per nulla e non ho ancora trovato il principe più grande. Allora addio, poiché voglio lasciarti e cercare Cristo stesso”.
Avendo dunque cercato a lungo chi potesse fargli conoscere Cristo, finalmente giunse presso un eremita, che gli parlò di Cristo e lo istruì diligentemente sulla fede in lui. Disse l’eremita a Cristoforo: “Codesto Re, del quale desideri essere servitore, ti chiede codesta forma di obbedienza, che cioè sarà opportuno che digiuni di frequente”. E a lui Cristoforo: “Mi chieda un’altra forma di obbedienza, perché questa cosa non sono proprio in grado di farla.”. E ancora l’eremita: “Sarà opportuno che tu dica molte preghiere”. E Cristoforo: “Non so che cosa sia questa cosa, e non posso compiere questo tipo di servizio”. E l’eremita: “Hai mai sentito parlare di quel fiume nell’attraversare il quale molti si trovano in pericolo e annegano?” “Sì, l’ho sentito” “Giacchè sei così alto e forte, se vai a stare vicino a quel fiume e aiuti tutti a guadarlo, credo che sarebbe molto gradito al re Cristo e, spero, lì ti si manifesterà.”. E a lui Cristoforo: “Senz’altro questo tipo di obbedienza la posso fare e prometto che in questo lo servirò”. Quindi si recò presso quel fiume e lì si costruì una capanna e portando al posto di un bastone una pertica nelle mani, con la quale si sosteneva nell’acqua, senza interruzione portava tutti sull’altra riva.