a cura di Giulia Regoliosi
Serie televisiva di cartoni animati tratti dal fumetto giapponese Olympus no Pollon di Hideo Azuma, prodotta da Movie International Co.(1982). DVD prodotti da Yamato/Video e per l’Italia da De Agostini Editore come supplemento alla rivista dello stesso titolo della serie (2008).
Recensiamo questa serie di cartoni, apparsi in Italia in TV e quasi subito in DVD, perché il personaggio incuriosisce. Si tratta di una bambina, dai grandi occhi come tutti i personaggi occidentali dei cartoni giapponesi e dai lunghi capelli biondi, segno anche in Grecia di bellezza particolare, tipica delle dee e di Elena, diversa quindi dalle brune mediterranee (nonché dalle giapponesi).
Pollon è figlia di Apollo (la madre non risulta) e abita con lui sull’Olimpo; ma è solo un’apprendista dea e non ha ancora nessun potere, neppure quello di volare: di questo è molto seccata, e fa di tutto per ottenere qualche capacità, anche per far bella figura di fronte ad Eros, piccolo e brutto ma già alato e potente. Nei vari episodi, che vengono introdotti da un narratore rappresentato come una specie di coleottero con un pennino in testa, compaiono divinità caricaturali (Apollo pigro e ubriacone, Zeus succube della moglie, che è una virago con calze a rete e fulmini, Posidone che quando è ubriaco crede di non saper nuotare…), e diversi personaggi mitologici che danno occasione per una rivisitazione di vari miti (ad esempio quello di Atteone, qui divenuto un pittore trasformato per punizione in papero, o Icaro nel lungo secondo episodio); a volte alla stessa Pollon capitano le avventure di personaggi mitici ( Fetonte, ad esempio, o Andromeda). E’ curioso il fatto che la piccola pestifera apprendista-dea abbia (volutamente?) caratteristiche simili alla piccola Artemide dell’Inno ad Artemide di Callimaco, graziosa rivisitazione ellenistica del mito: condotta dalla madre nella fucina dei ciclopi, la dea bambina s’insedia in braccio ad uno di loro, Bronte, con dispetti e sussiegose pretese:
Gli afferrasti
Io pure sono figlia di Letò” (vv. 76-83).
sul vasto petto un gran ciuffo di peli
e tirasti con forza…Allora, senza l’ombra di paura
in questo modo ad essi si rivolse:
“Ciclopi, fabbricate anche per me,
suvvia, qualche arco dei Cidonii e i dardi
ed un concavo astuccio per le frecce.