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Note: La terminologia per ‘popolo’ n greco

by Mariapina Dragonetti


[1] E. Benveniste, Vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino 1976 (ediz. originale col tit. Vocabulaire des institutions indo-européennes, Parigi 1969).

[2] Benveniste, op. cit.,pp. 226-246.

[3] E non si dimentichi che quando parliamo di indoeuropeo comune ci proiettiamo in un periodo in cui per ovvie ragioni non erano possibili processi di standardizzazione linguistica come quelli delle lingue contemporanee o anche semplicemente del latino o del greco ellenistico.

[4] G. Devoto, Origini indoeuropee, Firenze 1962.

[5] G. Devoto, op. cit., p. 230 ss.

[6] Il termine è da *dems pot-: nella prima parte abbiamo l’antico genitivo singolare di un tema in consonante (la formazione tematiche in –o, che ha finito per prevalere in greco, è sicuramente secondaria e più recente): la nasale dinanzi a un nesso costituito fda sibilante + occlusiva cade senza provocare allungamento di compenso, secondo l’esito consueto.

[7] Analogamente il lituano conserva come relitto vies-pats, ma non il termine semplice per indicare il clan.

[8] Sulla terminologia indoeuropea per ‘nemico’ cfr. M. Morani, Il  “nemico”  nelle  lingue indoeuropee, in AA.VV., Amicus (inimicus) hostis. Le radici concettuali della conflittualità ‘privata’ e della conflittualità ‘politica’, ricerca diretta da Gianfranco Miglio, Giuffrè Editore, Milano, 1992, pag. 7-83.

[9] In gr. οἶκος è da *ϝοῖκος, identico formalmente all’ant.ind. veśa– ‘villaggio’ e al lat. vīcus; rispetto a tutte queste parole le forme indiane viś-, av. vīs– (la ragione della lunga non è chiara) e l’ant.slavo vĭsĭ rappresentano delle formazioni a grado ridotto. In greco è presupposta l’esistenza di un corradicale di οἶκος appartenente ai temi in consonante: l’omerico οἴκα-δε reca infatti la traccia di un antico accusativo οἶκα.

[10] L’idea di una tripartizione originaria sembra sussistere anche nel mondo greco. Da una parte si ricordi che la φυλή era costituita da tre fratrie, dall’altra il termine dorico τριχαϊκες è analizzabile come formato da τριχα- ‘tre’ + ϝικες ‘clan’.

[11] Può essere un buon indizio per la risoluzione del problema il rinvio alle forme iraniche antiche rappresentate p.es. dall’avestico airyaman– (una continuazione delle quali si ha fino ad oggi nel persiano moderno ērmān), che vale ‘ospite’. Per dovere di completezza riportiamo qui la traduzione di RV 5, 85, 7: “l’uomo protetto da Aryaman, o Varun..a, e l’uomo protetto da Mitra, o il compagno sempre o il fratello o il vicino, sia prossimo, o Varun..a, sia straniero, quello che a lui di male abbiamo fatto, così perdona”. Andrebbe inoltre considerato anche RV 2, 26, 3, ove l’ordinamento è il seguente: putrās (i figli, la discnendenza), janman (la gente), viś- (il villaggio, la tribù), janam (un’unità più vasta).

[12] Per i due termini antichi di ‘fratello’ e ‘sorella’ (conservati, p.es., nel lat. frater e soror, o nell’ingl. brother e sister), formati su due radici diverse come quasi tutte le coppie dei termini indicanti parentela, il greco ha l’innovazione ἀδελφός e ἀδελφή: le due parole greche valgono propriamente, da un punto di vista etmilogico, ‘dello stesso grembo’.

[13] Op. cit., p. 278.

[14] Op. ciτ., p. 319.

[15] Cfr. O. Schrader, Reallexikon der indogermanischen Altertumskunde, seconda ediz. curata da A. Nehring, Berlino-Lipsia 1921, s.v. Volk, p. 606: gli autori tendono a vedere nelle parole più antiche per ‘popolo’ un valore originario di ‘esercito’. – Sulla terminologia della parentela nelle lingue indoeuropee si veda anche B. Delbruck, Die Indogermanischen Verwandtschaftsnamen: Ein Beitrag Zur Vergleichenden Alterthumskunde, Abh. der sächs. Ges. der Wiss., Phil-hist. Klasse, Bd. XI, Nr. 5, Leipzig, 1889.  

[16] Questa problematica è affrontata sinteticamente da E. Campanile negli scritti Antichità indoeuropee (in: A. Giacalone Ramat e P. Ramat (edd.), Le lingue indoeuropee, Bologna 19942, pp. 19-43) e La ricostruzione linguistica e culturale (in: R. Lazzeroni (ed.), Linguistica storica, Roma 1987, pp. 115 ss.).

[17] In assenza di diversa indicazione la parola vale ‘popolo’.

[18] E’ difficile precisare quale delle due forme (quella appartenente ai temi in consonante o quella appartenente alla quinta declinazione) sia da considerare più antica.

[19] Alcune di queste parole germaniche hanno assunto presto il valore secondario di ‘esercito’: il termine è passato in slavo (paleosl. plŭkŭ, polacco polk ‘reggimento’) con questo valore.

[20] Si tratta di una tesi ampiamente sviluppata a più riprese da G. Devoto, cfr. p.es. Origini cit., pag. 218. Secondo il medesimo autore (pag. 319) il re sovrasta raggruppamenti sociali più vasti rispetto al *potis.

[21] Buck, A Dictionary of Selected Synonims in the Principal Indo-European Languages, Chicago 1949: in particolare si veda 19.21 People (populace); 19.22 A People, Nation; 19.23 Tribe, Clan, Family.

[22] I tentativi di dare un’etimologia indoeuropea alla parola non hanno dato esiti soddisfacenti, e in taluni casi hanno dato adito a soluzioni grottesche (si vedano alcuni dei tentativi richiamati nel lessico di Schrader citato: p.es. populus confrontato con gr. κύκλος!). L’ipotesi che si tratti di una parola di origine etrusca, per quanto non sostenuta da prove inconfutabili, sembra più convincente. Rinviamo comunque, per maggiori informazioni, ai lessici etimologici.

[23] Cfr. Schol. AD ad Il. III 201.

[24] P. Chantraine, Grammaire homérique, vol. II, Parigi 1963, p. 80.

[25] Hj. Frisk, GEW (= Griechisches etymologisches Wörterbuch), Heidelberg 1960 e ss., vol. II, pag. 60 (sub voce).

[26] Secondo Devoto (op. cit., pag. 231) il lawagetās è il capo del popolo in armi. Il termine è sopravvissuto nella lingua poetica (nella forma λαγέτας) e lo si ritrova in un paio di passι di Pindaro e in un frammento di Sofocle (221 P) col valore generico di ‘leader del popolo’: cfr. Pind. Ol. I 89 ἔτεκε λαγέτας ἓξ ἀρεταῖσι μεμαότας υἱούς. .

[27] Cfr. anche G. Maddoli, La società e le istituzioni, in: G. Maddoli (ed.), La civiltà micenea, Roma-Bari 19922, pp. 84 ss.

[28] Cfr. anche AT Isaia 43, 20 s.; Ex. 19, 6; Osea 1, 9; 2, 1; 2, 23 e soprattutto NT Rom. 9, 25. Il testo ebraico del passo di Osea richiamato nell’epistola di S. Pietro ha ·am, e questa è la parola usata abitualmente nell’AT per indicare il popolo come realtà etnica. Accanto a questa sta, sempre nell’AT, il termine qahal, che sottolinea con maggior vigore l’idea della convocazione, o del popolo che si raduna per una ragione particolare (ad esempio intorno a un valore). Il confine semantico delle due parole è molto labile, e spesso queste si scambiano o si trovano in contesti sostanzialmente uguali.