Raduniamo qui le recensioni di testi che affrontano il problema del valore degli studi classici.
Ivano Dionigi, Il presente non basta. La lezione del latino, Mondadori, Milano 2016
Nicola Gardini, Viva il latino. Storie e bellezze di una lingua, Milano 2016
Friedrich Maier, Warum Latein? Zehn gute Gründe, ed. Reclam, Stuttgart 2008
Tore Janson, Varför latin?, pag. 94, Pocketbiblioteket, SNS Förlag, Stockholm
M. C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, il Mulino, 2011
Andrea Del Ponte, Per le nostre radici. Carta d’identità del latino. pag. 176, Aracne, Anterano (RM), 2018
Silvia Stucchi, Come il latino ci salva la vita, Edizioni Ares, Milano 2020
Francesca Sensini, La lingua degli dei. L’amore per il greco antico e moderno, Il melangolo, Genova 2021
Nicola Gardini, Viva il greco – Alla scoperta della lingua madre, Garzanti 2021
Andrea Marcolongo, Lingua geniale – 9 ragioni per amare il greco, Laterza, 2016
Warum Latein? Zehn gute Gründe
Friedrich Maier, ed. Reclam, Stuttgart 2008
L’autore, che ha già pubblicato diversi saggi sulle lingue classiche, il loro insegnamento e il loro rapporto con la cultura europea, si propone in questa breve opera di dare motivazioni per lo studio del latino.
Dopo un capitolo intitolato Was ist Latein?, in cui si fa il punto sull’importanza storica del latino nella formazione dell’Europa e sulla situazione attuale dell’insegnamento di tale disciplina in Germania, si giunge alla parte centrale del testo che riprende il titolo e affronta le dieci motivazioni per lo studio del latino. Queste motivazioni sono, nell’ordine:
- Il latino serve per un’approfondita conoscenza linguistica;
- Il latino è un buon esercizio per la madrelingua (particolarmente interessante questo punto, dato che si parla di una madrelingua non neolatina.;
- Il latino è una scuola dello spirito (con citazione da M. Lutero);
- Il latino serve da ponte per l’apprendimento delle lingue straniere;
- Il latino è un laboratorio di analisi per smascherare la falsa retorica;
- Il latino ci conduce alle radici dell’Europa;
- Il latino è il prezioso deposito dello scenario linguistico europeo;
- Il latino è il luogo di studio per i testi fondamentali europei;
- Il latino è il punto d’incontro con uomini che hanno cambiato il mondo;
- Il latino porta alle fonti della poesia e della filosofia.
Come si vede, le motivazioni sono un po’ ripetitive (dieci sembra essere una buona cifra tonda) e sono riassumibili in alcune linee: l’utilità pratica per l’apprendimento linguistico; l’imparare a ragionare; le radici dell’Europa; l’incontro con testi poetici e filosofici. Tutte queste linee sono sicuramente condivisibili, anche se le prime due, le più tradizionali nella propaganda pro-latino anche da noi, ci sembrano un po’ forzate e strumentali. Quanto alle altre due, sarebbe auspicabile che si prendesse in considerazione anche il greco, che come fonte di poesia e filosofia è certo più accreditato.
Comunque un’opera interessante per la conoscenza di situazioni e idee al di fuori dell’Italia.
Varför latin?
Tore Janson,Pocketbiblioteket, SNS Förlag, Stockholm
Anche in Svezia la questione del latino e l’importanza della sua presenza è oggetto di discussione. Ricordiamo che in Svezia ha operato una scuola filologica di altissimo valore che ha prodotto opere di grande importanza. Il presente volumetto traccia un quadro dell’importanza del latino, sia dal punto di vista linguistico sia dal punto di vista culturale. Il libro si articola in quattro capitoli fondamentali:
Il Latino nell’Europa e nel mondo;
Latino, chiesa e insegnamento;
Il Latino nell’antichità;
Il latino nel futuro.
Il primo capitolo ha un’impostazione soprattutto linguistica, e mira a rilevare quanti aspetti del latino siano presenti in svedese, sia di provenienza diretta sia di provenienza mediata attraverso l’inglese (pag. 18 Il latino nell’inglese e dall’inglese) sia attraverso le altre lingue romanze (pag. 25 Il latino e le altre lingue romanze) con una breve conclusione sull’importanza del latino nella formazione del lessico intellettuale che oggi si usa. Il secondo capitolo discute l’importanza del latino e la sua penetrazione in molti stati europei anche attraverso la presenza della Chiesa cattolica, e si sottolinea l’apporto del latino ecclesiastico all’epoca dell’impero e poi nell’epoca medievale. Nei capitoli finali si esaminano i rapporti fra greco e latino e l’apporto del greco nella formazione del latino come lingua di cultura. Alle pag. 64 ss. viene studiato il rapporto fra latino e istituzioni, e il rapporto fra latino, greco e scuole nell’Europa non solamente antica. In sostanza, il latino non è visto solamente come lingua che è stato strumento di una storia letteraria che pure ha prodotto alcuni monumenti di valore fondamentale nella storia della cultura, ma soprattutto come strumento di una civiltà che ha dato un impulso decisivo alla formazione della cultura europea che, pur differenziandosi sensibilmente come organizzazione concreta, riconosce (o dovrebbe riconoscere) nella cultura latina i principi a cui ispirarsi. Chiude il volumetto una piccola appendice (pag. 85 ss.) che enumera una serie di parole svedesi la cui origine è da individuare nel latino e nel greco. L’autore, Tore Janson, è presentato sul quarto di copertina come professore emerito di latino e di lingue africane. Aggiungiamo che nel 2004 aveva dedicato al latino un libro di cui esiste anche la traduzione inglese, A Natural History of Latin.
Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica
M. C. Nussbaum, Bologna, il Mulino, 2011
Nel suo recente saggio Not for Profit. Why Democracy needs the Humanities, Princeton 2010, edito da il Mulino nel 2011 nella traduzione di Rinaldo Falcioni, Martha Nussbaum si interroga ancora una volta sul valore dell’educazione umanistica.
Di rilevante interesse è che la domanda sorge proprio a partire dalla crisi economica globale nella quale ci troviamo, che diffusamente e rapidamente si sta trasformando nella crisi delle democrazie occidentali. La questione dunque prende vigore dall’emergenza dell’attualità e l’autrice in un saggio breve e denso mostra come l’educazione umanistica contenga gli strumenti per reagire alla negatività del momento e agire per rivitalizzare la democrazia nelle nostre società globalizzate.
Fatta una particolareggiata analisi dei comportamenti anti-morali nell’ambito delle società umane che facilmente assopiscono rapporti di rispetto e reciprocità e invece diffondono rapporti di prevaricazione, l’argomento forte in uno dei capitoli centrali del saggio è che la persona formata dal metodo del ragionamento critico, nella cultura occidentale di origine socratica, sia baluardo della democrazia e promotrice di sviluppo umano perché antiautoritaria in quanto la valorizzazione del buon ragionamento la pone al riparo dall’inganno della fama, del prestigio e del potere, dissidente per sua natura dal pensiero omologante dei pari se ingiusto o sbagliato infine capace di umanizzare l’altro anche se sconosciuto o diverso da sé perché nell’ambito della discussione vige l’egualitarismo del buon ragionamento.
Un’indagine storica che a partire dal metodo socratico arriva ai maggiori pedagogisti moderni contribuisce a dimostrare come il problema dell’educazione sia centrale per il nostro tempo, perché le democrazie non sopravvivono senza cittadini attenti, attivi, critici, curiosi, capaci di resistere alle pressioni omologanti o deresponsabilizzati.
Infine la studiosa mostra come la formazione umanistica, sul piano teorico messa in discussione dal modello dell’utile e del profitto, sia anche minacciata concretamente dai provvedimenti che la crisi economica impone, non solo per le limitazione esterne, che consistono per lo più in una drastica diminuzione dei finanziamenti e nei tagli conseguenti, ma anche dalle limitazioni interne, che costringono i docenti e dirigenti, costretti a tamponare le falle, a lavorare velocemente e male.
Un saggio in sintesi che, per echeggiare la citazione di J. Dewey riportata in calce al testo, collega solidamente l’impegno nell’educazione improntata sulla cultura umanistica alla promessa di una vita ricca di significato.
La lingua geniale – 9 ragioni per amare il greco
Andrea Marcolongo, ed. Laterza, 2016
Fa piacere incontrare un elogio del greco, dopo tante apologie, pur necessarie e significative, del latino. Il libro è questo ed altro: una dichiarazione d’amore (tale da far accettare all’autrice perfino il nome “maschile”), un’inconsueta grammatica con esempi classici, una sorta di ribellione per modalità d’insegnamento che spaventano invece di attrarre, una breve storia della lingua… Il tutto mediato dalla propria esperienza di liceale prima, laureata in lettere classiche poi e, aggiungiamo, impegni internazionali, politici e aziendali, che non hanno sopito gli antichi interessi e le antiche questioni aperte.
Ci soffermiamo solo sulla prima questione, la più rilevante. Giustamente l’autrice indica come caratteristica fondamentale del greco l’importanza dell’aspetto verbale, in genere disatteso sia dalle grammatiche (da zero a mezza pagina, nota l’autrice, a fronte delle centinaia di tavole di verbi) sia dagli insegnanti, del biennio ma anche del triennio. Ricordo lo stupore di un mio ex-allievo iscritto a lettere classiche, quando la prima lezione universitaria si aprì con l’aspetto verbale: me lo raccontò con l’aria di dire: ma allora non era una fissa solo sua! Ben venga quindi l’accento posto sulla modalità di osservare e comunicare l’azione propria dei greci.
Tuttavia ho qualche obiezione. Anzitutto di principio: che la categoria dell’aspetto sia superiore a quella del tempo, vale a dire che la logica greca sia superiore a quella prevalsa in latino e nell’area romanza è discutibile. Il come non rende più liberi del quando, è anch’esso una porzione del tutto, una visione e una comunicazione che salta qualcosa: l’architettura latino/romanza, che oltre al quando considera il prima e il prima del prima e il dopo e il dopo del dopo e il dopo del prima e il durante, pone le cose in una gerarchia e in uno spessore, mettendo le premesse anche del rapporto causa/effetto. In questo il latino (e noi suoi figli) è unico, e le lingue germaniche o altre lingue europee hanno sistemi verbali con un accentuato interesse per il tempo solo perché hanno ripreso e imitato strutture sintattiche del latino: le lingue slave o, al di fuori dell’indoeuropeo, ad esempio l’ebraico comunicano la relatività temporale in modo meno preciso. Forse è un essere prigionieri del tempo, ma nel tempo ci viviamo e comunichiamo. Inoltre il sistema greco possiede per l’aspetto durativo e per quello compiuto due indicativi (distinti dalle desinenze e in secondo tempo dall’aumento): quindi il tempo assoluto all’indicativo è rilevato accanto all’aspetto. Per l’aoristo l’indicativo è solo al passato, forse perché il presente è difficile da considerare senza durata: strano quindi che l’autrice intenda l’aoristo indicativo come una sorta di presente: in realtà è il perfetto, che ha in origine desinenze sue proprie e non ha l’aumento, ad essere sentito come un presente.
Resta comunque un punto importante. Interessanti e vivamente partecipati anche gli altri capitoli, sulla pronuncia, la metrica, il duale, l’ottativo, il sistema dei casi, i problemi di traduzione. Diremmo che è un libro che si legge volentieri.
Il presente non basta. La lezione del latino
Ivano Dionigi, Mondadori, Milano 2016
Ordinario di lingua e letteratura latina all’Università di Bologna, di cui è stato Rettore dal 2009 al 2015, Ivano Dionigi si è dedicato sia all’approfondimento di autori latini quali Lucrezio e Seneca, sia alla questione sempre viva del rapporto col passato. Questo libro riprende appunto tale tema, in un momento in cui è risorta la polemica, a diversi livelli fra cui quello ministeriale, sia sullo studio linguistico e le prove di traduzione, sia sul liceo classico in generale. Dionigi parte da tre domande: sulla massima incomprensione proprio nell’era del web, sul maggior numero di lettori di classici latini rispetto agli adulti con interessi politici e sul rapporto presente/novità e novità/ verità. Ma dopo un breve excursus sui pregiudizi e sui segni di presenza attuale, il cuore dell’opera è essenzialmente una autobiografia, che cos’è stato il latino per lui, che cosa gli ha insegnato: un approccio non teorico, ma vivo e accattivante. Attraverso esempi e citazioni Dionigi ripercorre “ciò che ha imparato” dal latino: il primato della parola, la centralità del tempo, la nobiltà della politica.
Interessanti comunque anche i capitoli successivi, sul latino storicamente come lingua d’Europa e sulla brevitas delle sententiae in rapporto, o in analogia, coi limiti imposti da Twitter. Chiude il libro, inevitabilmente, il capitolo sulla scuola, in cui si suggerisce una doppia norma (aristotelicamente per un pubblico esoterico e exoterico): una scuola per studiosi di latino, in cui fornire una base culturale non solo agli specialisti, ma a professionisti seri, e una scuola in cui diffondere la cultura latina in traduzione, come canone di generi letterari.
Viva il latino – storie e bellezza di una lingua inutile
Nicola Gardini, Garzanti 2016
Anche questo libro, come altri usciti e recensiti di recente, è fondamentalmente autobiografico. L’autore, classicista e docente di letteratura italiana e comparata ad Oxford, ripercorre la propria storia col latino, in particolare ma non solo dall’infanzia curiosa alle letture del liceo classico (gli perdoniamo qualche piccola vanteria). Ne trae un ampio panorama linguistico, storico, letterario ed etico, con molte citazioni di autori ed epoche diverse, sempre coerente con l’idea di fondo, che cioè i programmi scolastici…sembra che dissimulino o addirittura cancellino il più accanitamente possibile un elemento fondamentale dell’istruzione: lo scopo per il quale si viene istruiti. Si viene istruiti nel latino per leggere gli autori antichi (pag. 36).
Il libro ha avuto un grande successo editoriale, sei ristampe in pochi mesi: ne siamo lieti. Condividiamo in gran parte i giudizi e apprezziamo l’entusiasmo e la partecipazione con cui l’autore si comunica.
Per le nostre radici. Carta d’identità del latino
Andrea Del Ponte, Prefaz. di Salvatore Settis. Aracne editrice, Anterano (RM), 2018
Rispetto ad altri libri simili presentati in questa rubrica quello di Andrea Del Ponte ha il vantaggio di nascere da una lunga esperienza didattica e da una intensa attività di promozione degli studi classici, realizzata attraverso incontri, conferenze, partecipazioni a seminari e convegni, organizzazione di spettacoli teatrali.
Il libro è organizzato in tre sezioni. La prima (Radici storiche e attualità della Latinitas) muove inizialmente da una prospettiva di fondo linguistica. L’autore parte dalla constatazione che la Latinitas (intesa sia nel senso di sfondo ed eredità culturale sia nel senso proprio di area dove si parla una lingua romanza) è una delle più vaste macrozone linguistiche e culturali del mondo, anche se il progressivo rafforzamento dell’inglese come lingua veicolare in diversi settori ha portato spesso a una perdita di contatto con le radici latine, al punto che si può oggi parlare di una Postlatinitas. Dopo essere stato per secoli la lingua veicolare della scienza e della Chiesa, il latino ha subito una lunga fase di riduzione dei propri ambiti di uso e si trova oggi in uno stato di conflitto con l’emergere di una lingua non neolatina (anche se fortemente modellata sul latino e intrisa di elementi neolatini), l’inglese appunto. Questo conflitto ha portato a un disinteresse, o addirittura a un’insofferenza per il latino (e dunque anche per il suo insegnamento) in molti ambienti culturali. Perché far studiare il latino e sottrarre ore a materie più coinvolgenti e di utilità immediata e più vasta? Nonostante questo, si registra, secondo Del Ponte, un interessante riemergere del latino (per esempio nel mondo della politica, dove spesso si usano frasi latine come motto di organizzazioni o Stati). Tutto ciò, in conclusione, sconsiglierebbe di diminuire o addirittura di eliminare la presenza del latino nel tessuto scolastico italiano, come fatalmente accadrebbe, se si rendesse l’insegnamento del latino puramente opzionale e limitato a pochi corsi liceali.
Il secondo capitolo segue il dibattito sull’utilità del latino a partire dagli inizi del XIX secolo (in realtà il dibattito era cominciato prima, con la Querelle des anciens et des modernes), attraverso un’antologia di testi: vi compaiono voci di personaggi interessanti, da Monaldo Leopardi fino ad autori recentissimi, interventi di intellettuali (come Gramsci o Pasolini o Magris) o di cultori della materia (come Mastrocola, Gardini, Tonelli). Negli epilegomena si fa cenno ad altri interventi importanti degli ultimissimi anni, dal momento che la polemica sulla validità del latino si è fortemente insediata in organi di stampa e nei media. L’autore rileva come il pensiero contemporaneo sia orientato a considerare importante solamente ciò che genera reddito: tutto questo relega fatalmente in secondo piano l’interesse per gli studi umanistici, e questa mentalità irrompe anche nel mondo della scuola orientando il sistema alla valorizzazione di forme di sapere immediatamente spendibili nel mondo del lavoro e dell’economia (ricordiamo le fatidiche e famigerate tre I: inglese, informatica, impresa). Quale dunque il rimedio? Del Ponte ritiene «del tutto controproducente continuare nello sforzo di uniformarsi alla linea di pensiero dominante per essere accettati; prestarsi a un defatigante e quotidiano esercizio di mimetismo culturale per dimostrare di avere almeno una parvenza di affinità con il sistema; piegarsi a qualunque contorsione intellettuale pur di dimostrare – per sopravvivere – che sì, almeno a livello di eterogenesi dei fini le humanae litterae possono prestare ancora qualche servizio alla società postindustriale, nel ruolo fosse anche di paria o di sherpa.» Il rimedio consiste piuttosto nella presentazione «di un’offerta ‘alta’ dei valori del Latino e della classicità ai nostri contemporanei, presentata come un’alternativa secca, e di altissima qualità, al deserto etico nel quale ormai da troppo tempo ci siamo incamminati».
Il capitolo termina con una vigorosa puntata polemica indirizzata a quei cultori delle materie antiche che tendono a limitare l’importanza dell’antico sminuendone il valore. In modo particolare ricadono sotto le puntate polemiche di Del Ponte le tesi di Maurizio Bettini e dei suoi collaboratori dell’AMA (“Antropologia e mondo antico”). Una sezione interessante del capitolo controbatte le tesi di Bettini sull’inutilità (anche sotto il mero profilo didattico ed educativo) della traduzione. Le tesi di Bettini hanno come conseguenza anche un appello a una “ibridazione di culture” e a una sostanziale diluizione della nostra identità in vista di un’Europa più multiculturale e politeistica, tesi che Del Ponte confuta perentoriamente, affermando «con forza che i classicisti europei (…) non hanno nessuna intenzione di ‘chiudersi in una difesa della tradizione umanistica’, ma non sono neanche disposti a subire passivamente gli attacchi distruttivi di orientamenti culturali quanto meno discutibili, che vorrebbero (…) estromettere dall’Italia e dall’Europa il patrimonio della classicità, (…) sfigurare e sconciare ciò che di meglio essa ha saputo esprimere, da Omero al Rinascirnento, in termini di λόγος, di spiritualità e di un’autentica humanitas capace di indicare le coordinate per un vivere bello, armonioso, altarnente civile».
Il terzo e ultimo capitolo ha un taglio molto originale: è un’antologia di passi di autori latini inquadrati in parole chiave della cultura contemporanea presentate in ordine alfabetico (da Architettura a Zucca passando p.es. attraverso Giardinaggio, Inquinamento, Vegetarianesimo): per ogni parola un breve passo latino con un rapido ed efficace inquadramento sull’autore e una riflessione sulla problematica attinente alla parola esaminata.
Una breve introduzione rende conto delle ragioni che hanno spinto l’autore alla stesura di questo libro. In particolare ha avuto un peso importante la sua attività di redazione di una Carta del latino, un testo sull’importanza della cultura classica e umanistica e sul peso che essa dovrebbe avere nella società: nella sua genesi il testo si poneva come punto di riferimento per l’associazione di cui il Del Ponte è presidente nazionale (il Centrum Latinitatis Europae). L’autore si oppone alle prospettive di una orizzontalità culturale e realitivistica e si colloca tra «gli ammiratori dell’arborea verticalità proiettata sia verso il cielo che nel profondo della terra (le radici greco-romane e assieme giudaico-cristiane della nostra civiltà occidentale)». Completa il volume, come prefazione, un saggio di Salvatore Settis dal titolo significativo Salviamo il latino.
In conclusione un volume interessante, con una panoramica molto estesa di problematiche, che toccano sia il profilo culturale sia il profilo educativo o strettamente didattico. Le tesi dell’autore sono presentate in modo sempre energico e con uno stile chiaro. Il libro può essere argomento di discussione o anche di polemica, ma certamente l’autore non è personaggio che si sforza di nascondersi o di mimetizzarsi per non urtare chi la pensa in maniera diversa, come purtroppo tendono oggi a fare molti cultori del mondo classico: anzi, in vari passaggi Del Ponte preferisce la verve polemica rispetto all’accondiscendenza logorante. Lo stile è sempre molto nitido ed efficace.
Come il latino ci salva la vita
Silvia Stucchi,Edizioni Ares, Milano 2020
La scrittrice, dottore di ricerca in Filologia e Letteratura latina e autrice di saggi su Plauto, Seneca e Apuleio, s’inserisce nel dibattito sull’importanza e l’attualità del latino con un libro dal titolo accattivante, riprendendo anzitutto e commentando la pubblicistica sull’argomento, parte della quale abbiamo recensito in questa sezione del sito. Dopo un capitolo sui diversi latini, con particolare attenzione al latino degli epitaffi cristiani, il libro si sviluppa in una serie di tematiche su cui gli antichi ci hanno lasciato la loro testimonianza: l’istruzione, le vacanze, la natura, la famiglia, l’educazione, i canoni estetici, l’amore, il denaro, l’ansia, la vecchiaia, l’amicizia, la dieta, la politica, la morte. La vasta panoramica di autori mostra una particolare predilezione per scrittori in prosa, Cicerone, Sallustio, Plinio il Vecchio e il Giovane, Seneca, Quintiliano, Apuleio, Agostino. Di poeti troviamo Catullo e Ovidio per amore e cosmesi, Terenzio, Lucilio e Orazio su temi etici. Sentiamo la mancanza di Virgilio e in generale di un a-fondo sul rapporto uomo-Dio, uomo-destino nella ricerca pagana: questione che per la vita riteniamo fondamentale.
Si tratta comunque di un’opera ricca di spunti, con molti passi utilizzabili, seria pur nell’approccio apparentemente leggero.
La lingua degli dei. L’amore per il greco antico e moderno
Francesca Sensini, Il melangolo, Genova 2021
L’autrice è un’italianista, specialista di letteratura dell’Otto-Novecento, che ha per la grecità interesse e passione non solo accademici. La sua posizione verso questa cultura è ben espressa dalle parole dello Zibaldone di Leopardi citate a pag. 18: Non si distinguono più le razze gote, longobarde ec. dalle italiane, né le franche dalle celtiche o romane, né le moresche dalle spagnuole…Ma i greci non sono divenuti mai turchi né i turchi greci; e ancora, citando un testo leopardiano del 1827: la nazione greca che, per ispazio dintorno di ventiquattro secoli, senza alcuno intervallo, fu nella civiltà e nelle lettere, il più del tempo, sovrana e senza pari al mondo (pag. 19-20); e di nuovo con Leopardi elogia la ricordanza e la tenacità delle cose loro (pag. 20). La chiave interpretativa del mondo greco è quindi per la Sensini la ricordanza e la tenacia, cioè l’aver conservato nei millenni una lingua (e una scrittura) passata attraverso cambiamenti epocali e soprattutto attraverso la dominazione turca che aveva cercato di soffocare identità e memoria. Nel corso del breve saggio l’autrice indaga quindi sulla civiltà greca utilizzando le parole più significative della sua lingua e costruendo su di esse delle rapide storie: métis, il nome della prima amante di Zeus che simboleggia l’intelligenza, daidalos e lo storico contrasto fra filosofia e tecnica, la molteplicità di Ermes, le parole per “stato”, l’hybris e il senso del limite, il doppio senso di xenos come straniero e come ospite, le parole per mare, i nomi degli dèi che restano nella memoria e dell’onomastica… La lingua antica è ricercata nella sua evoluzione moderna, la poesia e il mito nelle riprese e nelle riletture, con la raccomandazione di non operare riduzioni e banalizzazioni di una civiltà sempre viva e molteplice.
Apprezziamo nell’autrice l’entusiasmo e l’affetto per una cultura che amiamo, nonostante qualche etimologia discutibile.
Viva il greco. Alla scoperta della lingua madre
Nicola Gardini, Milano, Garzanti, 2021
Ci pare che con questo libro l’autore si senta più libero rispetto al precedente Viva il latino, dalla fortunata vicenda editoriale. In quello lo scopo evidente era la difesa di una disciplina scolastica sempre osteggiata per i motivi più diversi: chi scrive, con un’esperienza molto più lunga di Gardini, ricorda le accuse di fascismo, di imperialismo, di studio elitario non aperto alle masse popolari, poi le contrapposizioni latino / tecnologia, latino / informatica, latino / inglese, latino / diritto ed economia, i progetti di riforma faraonici o minimalisti ma sempre a scapito del latino, i tentativi di attualizzazione che diviene banalizzazione, la riduzione delle letture in originale a fronte di una storia letteraria pretensiosa. E’ straordinario che il latino sia sopravvissuto, e certo è sempre stato necessario difenderlo.
Per il greco questo assalto non c’è stato, è rimasto al liceo classico con orario inalterato, con programmi ridotti di fatto, ma non per principio o per qualche attacco fazioso. Per questo scrivere un libro sul greco è più facile, appunto, come si diceva, più libero; può darsi che la furia iconoclasta della cancel culture lo tocchi, ma siamo ancora distanti.
La fondamentale chiave di lettura che l’autore sceglie è il contrasto, l’opposizione. Partendo dalle particelle mèn e dé, dall’eris di Eraclito e dall’uso del duale, Gardini percorre il mondo greco all’insegna della diversità, delle scelte differenti, delle guerre e delle gare, dei processi, della giustizia e dell’ingiustizia, dell’obbedienza e della disobbedienza, delle similitudini e dei confronti. In questo percorso inserisce molti testi noti e cari, fino a comporre un mondo che vale la pena di conoscere e riconoscere come nostro.