a cura di Redazione
E’un fatto interessante da osservare la precarietà nelle lingue dell’espressione del futuro. Come concetto è di particolare importanza perché il futuro ha a che fare con la previsione, la predizione, l’attesa, l’intenzione, lo scopo, la conseguenza, il comando, la minaccia, il desiderio, il timore…Ma molti di questi aspetti non rientrano nell’espressione linguistica del futuro, o vi rientrano solo in alcuni casi e in altri è sufficiente il contesto o il verbo reggente. Dopo alcune considerazioni a proposito di diverse lingue ci soffermiamo in particolare sul latino.
Un confronto tra diverse lingue
I) Un lavoro di confronto fra diverse lingue è utile e potrebbe aprire diversi campi di lavoro:
- Il greco non ha originariamente il futuro, ma lo ricava dal tema dell’aoristo (congiuntivo a vocale breve) e crea un tema temporale che ha valore di tempo nei suoi quattro modi (indicativo ottativo infinito participio) invece che nel solo indicativo come gli altri temi temporali, segno di formazione tarda; analogamente per l’aspetto risultativo del futuro utilizza il tema del perfetto con le terminazioni del futuro: tethnexo= sarò morto, sarò un defunto.
- Le lingue romanze perdono la forma di futuro della lingua madre e la ricreano a partire da una sorta di presente perifrastico: amare ho (ho da amare)
- L’inglese usa gli ausiliari shall (devo) e will (voglio) + infinito. Ma quando la congiunzione è sufficiente (if, wenn…), non si usa il futuro, segno di una tendenza ad evitare di specificarlo con forme apposite.
- Il tedesco usa l’ausiliario ich werde (propriamente=divengo) + infinito; il russo usa ja budu (un antico presente del verbo essere) + infinito.
- Interessante anche il fatto che l’ebraico nel suo ridotto sistema temporale abbia due tempi, un passato e un presente/futuro, la storia passata e il tempo da adesso in avanti, il tempo di Dio.
II) D’altra parte si nota la tendenza in diverse lingue a dotarsi di un mezzo per esprimere l’intenzionalità o la previsione:
in greco mello (= io indugio) + infinito, in francese aller (andare)+infinito, in italiano stare per + infinito, in inglese le diverse modalità di uso della forma –ing (del verbo specifico o con la perifrasi going to), ecc. In tutti questi casi il punto di partenza, cioè il verbo finito, non è al futuro ma al presente, o al passato per l’intenzionalità o la previsione rispetto al passato (del resto le forme perifrastiche già rilevate partono dal presente, anche quando sono sentite come unitarie).
III) Nel contempo possiamo notare la tendenza nei parlanti a sostituire il presente ad ogni forma di futuro: cosa fai stasera, dove vai in vacanza, ecc.
Il sistema del futuro in latino
A fronte di questo quadro, il latino si è dotato di un sistema di futuri complesso, utilizzando diversi temi temporali e mutuando da altre forme suffissi e desinenze. Il motivo è che il latino tende a sostituire all’originaria opposizione tempo/aspetto un’attenzione alla relatività temporale (consecutio temporum nei diversi modi) che richiede più espressioni di tempo:
1. All’indicativo
Il futuro primo nelle coniugazioni prima e seconda si forma dal tema del presente + la stessa b dell’imperfetto e le desinenze del presente della coniugazione tematica (terza coniugazione); nelle coniugazioni terza e quarta utilizza antiche forme di congiuntivo in disuso. Il futuro secondo, o perfetto o anteriore, parte dal tema del perfetto ampliato in –er- (originario –is-) con un’analogia rispetto alla formazione del futuro primo: amabam-amabo; amaveram-amavero. La confusione col perfetto congiuntivo (che ha la –i- dell’originario ottativo) ha modificato la terza persona plurale (ancora testimoniata in Plauto in –unt).
Abitualmente è rilevata la relatività temporale facendo dipendere da una frase al futuro primo un’altra al futuro secondo.
Ma a volte la relatività temporale è sottintesa: iam ego huc revenero (Pl.): sarò subito qui.
O prevale il valore d’aspetto perfettivo (data la formazione dal tema del perfetto): Qui Antonium oppresserit is bellum confecerit (Cic.): avrà bell’e finito la guerra; Dum loquimur, fugerit invida / aetas (Hor.). O prevale il valore d’aspetto aoristico (per lo stesso motivo) rispetto ad un futuro primo di aspetto continuativo: hanc miserrimam vitam vel sustentabo vel, quod multo est melius, abiecero (Cic): o protrarrò questa infelicissima vita o, cosa che è molto migliore, la butterò via.
NB. Si trova la forma faxo (per fecero) seguita paratatticamente da un altro futuro (a volte da un congiuntivo presente): Iam hic faxo aderit (Pl.): Avrò già fatto in modo che sia qui; sarà subito qui.
Si trova anche un uso del futuro primo per indicare non un tempo, ma un’ipotesi o una concessione: Laudabunt alii claram Rhodon aut Mytilenen… (Hor.: ammettiamo pure che… oppure lodino pure…). Un uso molto interessante perché si ritrova anche adesso, tipo: sarà pure simpatico, ma…; o semplicemente il commento scettico: sarà. Il futuro cioè viene ad esprimere qualcosa di diverso dall’oggettività della realtà incontrabile: interessante anche il fatto che in greco il secondo tipo di periodo ipotetico (eventualità) ha generalmente l’apodosi al futuro.
2. All’imperativo
L’imperativo futuro è una creazione latina a partire dalla forma non utilizzata di terza persona dell’imperativo presente: cfr. il greco φερέτω (feréto porti egli) e il latino rogato. Le altre persone prendono desinenze da altre forme, aggiungendo –te di seconda plurale e –nto per analogia legit-legunt / legito-legunto. L’imperativo futuro formato sul cosiddetto perfetto logico indica l’ordine di conservare una stabilità raggiunta: memento= tieni nella memoria.
E’ usato soprattutto in formule legislative o testamentarie, a indicare un comando che vale per sempre o che vale dopo la morte del testatore. Ma in particolare nella commedia si trova usato per indicare uno passaggio di tempo rispetto ad un altro imperativo (ricordo che la commedia tende alla paratassi): I, rogato (Pl.) quasi fosse: va a chiedere. A volte invece indica un comando al futuro rispetto ad un futuro anteriore: ubi id erit factum, a me argentum petito (Pl.); oppure serve a dare un tono tronfio e pomposo alla battuta: Adito / Videbitur. Factum volo. Venito. Promoneto (Pl.).
Osserviamo qui l’uso dei futuri nella predizione/comando di Anchise (Aen. VI, 847 segg.): Excudent alii spirantia mollius aera / (credo equidem), vivos ducent de marmore voltus; / orabunt causas melius caelique meatus / describent radio et surgentia sidera dicent: / tu regere imperio populos, Romane, memento / (hae tibi erunt artes) pacique imponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos. Nel futuro della profezia, rivolta ad un popolo che ancora non ha vita né nome, si uniscono la concessione (il tipo laudabunt di Orazio, proiettato nel futuro ma con qualche incertezza: credo equidem), l’ordine definitivo (memento) e la predizione che è anche compito (hae tibi erunt artes).
3. Al participio
Sempre valore di posteriorità ha il participio in -turo nelle sue funzioni variabili nelle diverse epoche. Gli usi infatti sono analoghi a quelli dei participi presente e passato, ma il participio futuro nell’età classica è molto meno frequente:
Vidi fratrem tuum moriturum: ho visto tuo fratello sul punto di morire (valore predicativo)
Aequam memento rebus in arduis / servare mentem…moriture Delli (Hor.: valore attributivo)
Haud ignara futuri (Verg.: sostantivato)
Tamquam semper victuri vivitis (Sen.: congiunto)
Si visurus eum vivo et venturus in unum, vitam oro (Verg.: congiunto con valore finale: caso dunque in cui lo scopo ha una forma specifica). A volte si trova il participio presente col medesimo valore finale: Missitare supplicantis legatos (Sall.: continuava a mandare degli ambasciatori a supplicare).
Raro e tardo è l’uso del participio futuro negli ablativi assoluti: oppugnaturis hostibus castra (Liv. 28,15,3); rex apum non nisi migraturo examine foras procedit (Plin.); parum tuta frumentatio erat, dispersos milites per agros equitibus extemplo invasuris (Liv.).
4. Col participio futuro e il verbo esse all’indicativo
Come sempre quando una lingua ha dei doppioni li specializza. All’indicativo la cosiddetta perifrastica attiva è di largo uso (è l’uso preferito del participio futuro fino all’età imperiale) per indicare l’intenzionalità o la prossimità nel tempo: come si è visto al punto II l’espressione dell’intenzionalità è comune a varie lingue ed epoche, e rileva non tanto l’azione futura quanto l’aspettativa nel presente: cum apes evolaturae sunt, consonant vehementer (Varr.: c’è nello schiamazzo delle api l’aspettativa della partenza); iniuriam qui facturus est, iam facit (Sen.: cioè l’intenzione è già colpa nel cuore). Mentre quindi il futuro è proiettato avanti nel tempo, questo costrutto è centrato nell’attesa.
Nell’età arcaica e imperiale l’uso è molto ampio e non sempre si spiega la preferenza rispetto al futuro primo: “Futura es dicto oboediens…?” “Futura” (Pl.); Ego nunc quod non futurumst formido tamen (Pl.); In tria tempora vita dividitur: quod fuit, quod est, quod futurum est (Sen.: qui la scelta rispetto all’atteso erit potrebbe essere stilistica)
Fa parte inoltre della tendenza alla relatività temporale l’uso della perifrastica per indicare il futuro rispetto al passato: quod crediturus tibi fui omne credidi (Pl.): non è concorrenziale con un’altra forma e non sempre il significato intenzionale è evidente.
5. Col participio futuro e il verbo esse al congiuntivo
Questo ci porta alla perifrastica al congiuntivo, anch’essa non concorrenziale e quindi più generica nel valore di futuro. Si dice abitualmente che sfuggono all’uso la maggior parte delle subordinate al congiuntivo: questa precisazione, che risponde alla “necessità” di salvare lo schema canonico della cosiddetta consecutio temporum in cui certe caselle restano vuote, implica comunque il fatto che certi aspetti dell’evento futuro non richiedono per lo più una forma specifica che li evidenzi, essendo sufficiente il contesto o il verbo reggente (lo scopo, la conseguenza, il comando, il timore). La perifrastica, cioè l’espressione di futuro, è riservata prevalentemente (oltre ad alcune completive, ad esempio con quin) all’interrogativa indiretta e, come si è detto, difficilmente è riconoscibile la richiesta di un fatto previsto rispetto all’intenzionalità: Dic quid amicus tuus fecerit, aut quid ipsi acciderit, aut quid dixerit, aut quid faciat, quid ipsi accidat, quid dicat aut quid facturus sit, quid ipsi casurum sit, qua sit usurus oratione (Cic.). Non me fallit quid sitis responsuri (Cic.). Si ii vicissent intellegebam quam crudelis esset futura victoria (Cic.).
Un uso particolare della perifrastica al congiuntivo si trova nel periodo ipotetico irreale dipendente al passato: Adeo mihi acerbae sunt contentiones cum tribunis plebis ut non, si millies revocaretis, rediturus umquam fuerim (Liv.); Ea res tantum tumultum ac fugam praebuit ut, nisi castra Punica extra urbem fuissent, effusura se omnis pavida multitudo fuerit (Liv.). Quis dubitat quin si Saguntinis obsessis impigre tulissemus opem totum in Hispaniam aversuri bellum fuerimus? (Liv.). L’uso, anomalo sia come tempo sia per l’idea di futuro che sembra esprimere (o nuovamente qualcosa di diverso dalla realtà oggettiva incontrabile?), non è sempre seguito, anche per l’assenza del participio futuro in molti verbi e per l’assenza di un passivo corrispondente; si ricade allora nel più atteso piuccheperfetto del verbo: Quod si ille repudiasset, dubitatis quin ei vis esset allata? (Cic.)
6. Col participio futuro e il verbo esse all’infinito
E’possibile che l’origine fosse un participio neutro sostantivato senza verbo esse come in alcuni esempi arcaici: polliciti sese facturum omnia (Cat.): occisurum ait (Pl. Cas. 693, riferito al femminile). In ogni caso il participio accordato all’accusativo si trova spesso senza il verbo essere.
Anche qui non c’è concorrenzialità e quindi è l’espressione generica di una posteriorità rispetto alla reggente. Nemo provocare, nemo audet offendere quem intellegit superiorem esse pugnaturum (Veg.).
Alcuni concetti, quali quelli della promessa oppure della speranza e del giuramento (sempre che si riferiscano ad un futuro) tendenzialmente si esprimono facendo dipendere dal verbo reggente un’infinitiva al futuro. Tuttavia questo uso (espresso dalla formula scolastica “spero promitto e iuro vogliono l’infinito futuro”) non è sempre seguito: si trovano vari esempi con l’infinitiva al presente o con altri tipi di costrutti: Sperare pro eius iustitia quae petierint impetraturos (Caes.); spero ex hoc ipso non esse obscurum (Cic.); neque ego hanc ascondere furto fugam speravi (Verg.); quantum se posse sperat imitari (Cic.); ex voluntate Sullae omnia se facturum promittit (Sall.); strenuum remedium afferre tantamque vim morbi levaturum promisit (Curt.); iurant omnes se exercitum ducesque non deserturos (Caes.); non ego cum Danais Troianam exscindere gentem Aulide iuravi (Verg.); iuraverunt ut si quid alteri obtigisset alter moreretur (Sen. rh.).
Ricordiamo l’utilizzo dell’impersonale futurum esse ut…o anche dell’antico infinito futuro di esse fore (fu-se dal tema fu-) ut… in caso di passivo o di assenza del participio futuro del verbo. Puto fore ut aliquando commoveatur senatus (Cic.); Exaudita vox est a luco Vestae futurum esse ut Roma caperetur (Cic.).
N.B. Notiamo che fore tende però a perdere il valore di futuro, tanto che il derivato forem corrisponde di fatto ad essem e occisus forem a occisus essem.
Un uso analogo a quello del tipo –urus fuerim si trova nella dipendenza all’infinito dell’apodosi irreale: urum (urus se dipende da un verbo costruito personalmente) fuisse: Licet Varro Musas…dicat Plautino sermone locuturas fuisse si Latine loqui vellent (Quint.). Videmur enim quieturi fuisse nisi essemus lacessiti (Cic.)
7. Con eo e il supino
I verbi di movimento sono spesso seguiti dal supino in –um col significato di moto a luogo o termine del movimento: Cubitum discessimus (Cic.); anche col verbo al passivo: Greges ovium abiguntur ex Apulia in Samnium aestivatum (Varr.). Questa costruzione, che le grammatiche inseriscono spesso nell’elenco dei modi di “tradurre la finale”, tende ad assumere un valore di futuro, o a fare concorrenza con l’intenzionalità della perifrastica. Interessante il fatto che in francese l’intenzionalità è espressa con aller (andare) + infinito (v. punto II), in perfetta corrispondenza con l’opposto venir de (venire da) +infinito “aver appena terminato di…”; in inglese fra le varie strutture per esprimere l’intenzionalità troviamo I’m going to…. Sembra quindi che ricorra nelle lingue l’idea di movimento come indicazione dell’esito futuro.
Più chiara comunque è l’idea di futuro in casi in cui eo è usato al passivo impersonale + supino: rarissimo in forme finite, ha un certo uso all’infinito (il cosiddetto infinito futuro passivo in alternativa a futurum esse ut…):
Rumor venit datum iri gladiatores (Ter.) “…che si va a presentare (uno spettacolo di) gladiatori” quindi “che sarà presentato…”; Haec sciebam tarde tibi redditum iri (Cic.); Longius bellum ductum iri (existimabat) (Caes.). E’evidente che l’accusativo in questi casi è l’oggetto del supino, ma la struttura è così strana che in classe è bene precisarlo. Del resto nel latino tardo il tutto diventa –uiri in parola unica, segno anche che se ne sta perdendo l’origine.
Conclusioni
Concluderei notando come l’italiano, pur perdendo le forme originarie, ha ricreato un sistema di relatività temporale molto raffinato, elaborando in particolare la forma del condizionale. A fronte di dicit / dixit se venturum esse l’italiano distingue: dice che verrà, ha detto che verrà (ha detto in passato che verrà in futuro), ha detto che sarebbe venuto (si rileva il futuro rispetto al passato, in un tempo che potrebbe già essere trascorso). Ma, come si diceva, l’uso del futuro primo tende a perdersi (basta l’indicazione di tempo, stasera, domani, in estate).