da Zetesis 1991-01
Riflessioni e proposte didattiche
La letteratura cristiana antica (1) costituisce un momento significativo nel piano di studi di latino e di greco in un triennio liceale: l’innesto del pensiero e dell’esperienza cristiani nella grande tradizione della civiltà classica rappresenta, infatti, un nodo vitale dell’intera civiltà classica occidentale. Ciò nonostante, vuoi per oggettivi limiti di tempo, vuoi per cattiva volontà di alcuni insegnanti di discipline classiche (che giudicano tale parte del programma estranea, per contenuti, metodo e competenza specifica che essa richiede, a un corso di storia letteraria imperniato prevalentemente sulla cultura classica pagana), essa viene spesso trascurata, ridotta a poche e frettolose informazioni nelle ultime settimane di scuola. La conseguenza è che un alunno di liceo classico giunge normalmente alla conclusione dei suoi studi medi senza aver mai sentito parlare in modo serio, per esempio, dei Padri della Chiesa, o senza aver letto pagina alcuna di scrittori come S. Gregorio Nazianzeno o S. Gerolamo.
Questa situazione è forse la sopravvivenza di una certa “frattura fra mondo ecclesiastico e mondo laico, caratteristica dell’epoca moderna”, come scrive G. Lazzati, che così prosegue: “…..la filologia classica ignorò per molto tempo gli studi di autori cristiani. Solo in epoca relativamente vicina, dopo che la ricerca di studiosi cristiani, protestanti e cattolici, giunse a scoperte di grande interesse e si impose per il suo elevatissimo livello scientifico, si cominciò ad occuparsi della letteratura cristiana nelle storie della letteratura e in filologia: si veda ad esempio il largo spazio riservato al periodo cristiano nella storia della letteratura greca di Schmid e Stählin” (2). Ma ancora nella storia della letteratura latina di A. Rostagni si legge: “Noi lasceremo….da parte, come qualificata ormai per una sua autonoma trattazione (di carattere, in massima parte, inevitabilmente dogmatico e teologico ancor più che letterario), la letteratura cristiana: o piuttosto la guarderemo di scorcio, collocandola, al modo che storicamente conviene, nello sfondo del quadro generale” (3). E con argomentazioni non dissimili nella sostanza, anche se più asciutte nella forma, A. Lesky, nella sua storia della letteratura greca, uno dei manuali più diffusi e apprezzati, anche a livello di insegnamento liceale, giustifica l’assenza della letteratura cristiana dall’orizzonte della sua trattazione (4).
Di fronte a tali posizioni si può obiettare che il giusto riconoscimento dell’importanza e della dignità della letteratura cristiana non deve affatto comportare la sua esclusione dal disegno di una storia letteraria antica, greca o latina, quasi non fosse pienamente compresa entro le coordinate geografiche e cronologiche di tale civiltà, e di tale civiltà non costituisse uno dei momenti e degli aspetti più significativi e decisivi.Assai opportuno appare pertanto il recente intervento della Consulta Universitaria di Greco, che, a commento dei piani di studio e dei programmi della Commissione Brocca, “rileva che il riferimento esclusivo a testi della letteratura pagana rischia di limitare l’efficacia di questo studio proprio alla fine di comprendere il sorgere e l’affermarsi della civiltà europea, in quanto una componente fondamentale di tale civiltà è il Cristianesimo, che si espresse in lingua greca”, e “suggerisce che, nella scelta dei testi, non ci si limiti a quelli della letteratura classica, ma si ampli tale scelta ai testi ellenistici e a quelli d’età romana e oltre, in particolare a quelli cristiani” (5).
Sussiste tuttavia l’esigenza che questa parte del programma non rimanga confinata alle ultime settimane dell’ultimo anno di scuola (con l’ovvia e scontata conseguenza di una trattazione parziale e poco approfondita, con scarse possibilità di lettura diretta dei testi), come inevitabilmente accade qualora ci si attenga, nello studio della letteratura antica, a un critico rigidamente cronologico. E’ invece senz’altro più proficuo dedicare, all’interno dell’orario settimanale, uno spazio autonomo (una o due ore) alla letteratura cristiana, a partire dal secondo anno o, almeno, dall’inizio del terzo. Tale spazio dovrebbe comprendere entrambe le letterature cristiane, quella in lingua greca e quella in lingua latina, con l’evidente vantaggio di poter procedere per orizzonti cronologici omegenei e di poter abbracciare sinotticamente sviluppi coevi nelle due letterature; e dovrebbe altresì essere impostato e strutturato con una certa flessibilità, così da consentire, al proprio interno, richiami e riferimenti alla letteratura pagana.
Il disagio procurato dalla sfasatura cronologica rispetto alla restante parte del programma e dalla conseguente necessità di anticipare e richiamare, almeno sommariamente, argomenti, autori e problemi non ancora sistematicamente trattati, si rivela solo apparente; è un tipo di approccio, infatti, a cui gli studenti sono già abituati e che dovrebbe esser loro familiare: si pensi allo studio della letteratura latina, che richiede, soprattutto in prima liceo, il costante riferimento ad aspetti e argomenti di letteratura greca non ancora conosciuti; o al corso di letteratura italiana, nel cui ambito è costume abbastanza diffuso anticipare il Novecento e svolgerlo parallelamente alla restante parte del programma; si pensi infine alla lettura degli autori classici: in prima liceo si leggono solitamente Virgilio, Cicerone, Sallustio, gli storici greci, che rientrano tutti, come argomenti di storia letteraria, nel programma di anni successivi.
Per quanto riguarda gli strumenti di studio, i manuali scolastici di storia letteraria, latina e greca normalmente in uso dedicano per lo più uno spazio alquanto ridotto alla letteratura cristiana, e la trattazione è spesso generica e approssimativa, anche nei testi migliori. Poche, inoltre, sono, nei cataloghi delle case editrici scolastiche, le edizioni e le antologie di autori cristiani, e non tutte di livello almeno decoroso (6). Agli alunni dovrebbero quindi essere suggeriti manuali specifici, come quelli di M. Simonetti e di M. Pellegrino, che si raccomandano per il rigore della trattazione e la perspicuità del dettato espositivo. Per uno studio più approfondito, oltre ai saggi specifici sulle varie tematiche e sui diversi autori, sono da tenere in considerazione, almeno, il manuale di patrologia (ma in sostanza di letteratura cristiana antica) di B. Altaner e le agili sintesi sui Padri della Chiesa di G. Peters e di G. Bosio-E. dal Covolo-M. Maritano (quest’ultima con pagine antologiche degli autori in traduzione italiana) (7). Per la lettura degli autori si può far ricorso, più che alle specifiche edizioni critiche, difficilmente accessibili a uno studente liceale e per lo più alquanto costose, alle numerose collane di larga diffusione che nei loro cataloghi presentano diverse opere di scrittori cristiani, in edizioni di solito ben curate e provviste di ampie e ben informate introduzioni, note applicative, commento (8).
Si propone, ora, un modello di lavoro che, in parte, è stato attuato nel corso dell’anno scolastico 1990/91 in una terza liceo del Ginnasio Liceo “B. Zucchi” di Monza. L’esposizione si limita a un solo momento, senz’altro uno dei più delicati e difficoltosi, dell’intero progetto, ovvero all’impostazione del programma, alla fase, per così dire, preparatoria e introduttiva, quella riguardante la cultura e la letteratura giudaico-ellenistica.
E’ necessario impostare e svolgere questo argomento in modo adeguato e per quanto possibile esauriente, dedicando ad esso diverse ore di lezione, con letture ampie di testi, in traduzione e in lingua originale: solo così si potrà poi affrontare seriamente lo studio dell’antichità cristiana, a partire dagli scritti neotestamentari. L’incontro tra ellenismo e giudaismo, infatti, oltre ad essere di per sè un momento particolarmente denso di significato e suggestivo nella sua dinamica interna, costituisce il terreno storico e culturale su cui si svilupperanno la predicazione e la letteratura cristiane (9).
Indispensabile, naturalmente, è una coscienza sufficientemente circostanziata degli avvenimenti storici che fanno da sfondo e talora sostanziano questo incontro tra due culture così diverse (10); opportuno punto di partenza potrebbe essere la rivolta maccabaica, con l’approfondimento delle vicende che ad essa hanno condotto: passaggio della Palestina dal regno dei Tolemei a quello dei Seleucidi, politica oppressiva dei nuovi dominatori, situazione complessa e in parte contradditoria del giudaismo palestinese, teso tra la caparbia volontà di rimanere fedele alla propria identità e alle proprie radici culturali e religiose e la tentazione di cedere al fascino della cultura greca (saranno inevitabili richiami, più o meno particolareggiati, alla precedente storia del popolo ebraico, che agli studenti dovrebbe per altro essere nota, almeno nelle sue linee essenziali, dal ginnasio superiore).
Momento centrale di questa parte del programma è senz’altro la lettura del primo e del secondo libro dei Maccabei (11), che aiuta a meglio comprendere lo sviluppo dei fatti, con le dolorose lacerazioni all’interno del giudaismo, il rapporto con il mondo e la cultura ellenistici, le ragioni che hanno determinato la sollevazione. Il secondo libro, in particolare, offre diversi spunti di grande interesse: innanzitutto può essere letto, di per sè, come suggestivo esempio del modo in cui andò configurandosi il rapporto giudaismo-ellenismo: pur nella difesa appassionata e convinta del giudaismo e nella dichiarata avversione all’ellenismo, l’autore accoglie e rielabora schemi e atteggiamenti tipici della storiografia ellenistica, specie di quella di tendenza tragica. Istruttiva può essere, al proposito, l’analisi di alcuni episodi, quale quello di Eliodoro al tempio (2 Mach. 3, 14 ss.): le reazioni del sommo sacerdote, la disperazione della popolazione di Gerusalemme, soprattutto delle donne, le considerazioni dell’autore possono essere utilmente confrontate con le parole con cui Polibio condanna le tendenze storiografiche di Filarco (II, 56 ss.).
Si può richiamare l’attenzione, inoltre, sul motivo della persecuzione e del martirio (il martirio di Eleazaro, “protomartire dell’Antico Testamento, 2 Mach. 6, 18 ss.; quello dei sette “fratelli Maccabei”, 2 Mach 7), che eserciterà influsso profondo e incisivo sul costituirsi della letteratura martirologica cristiana; su quello della punizione dell’empio persecutore (morte di Antioco IV, 2 Mach. 9), che fornirà il modello del “de mortibus persecutorum”. Andranno, infine, messi in rilievo alcuni importanti aspetti teologici presenti in questo libro, come la prima affermazione, risoluta ed esplicita, nell’Antico Testamento, della fede nella resurrezione (episodio dei “fratelli Maccabei”) (12).
La versione greco-alessandrina della Bibbia, comunemente detta dei “Settanta”, consente di approfondire un altro aspetto dell’incontro tra giudaismo ed ellenismo, questa volta entro l’orizzonte storico e culturale della diaspora alessandrina (13). L’importanza che questa traduzione ha avuto per il Cristianesimo delle origini e poi presso i Padri della Chiesa e la tradizione cristiana in genere, la sua rilevanza come primo significativo tentativo di trasposizione dei testi sacri in una lingua diversa e come opera che “apre la via a tutta una corrente di pensiero giudaica la cui caratteristica essenziale è di unire in una sintesi originale i fondamenti della rivelazione biblica e i principi della filosofia pagana” (14), suggeriscono una trattazione meno frettolosa e superficiale di quanto comunemente si usi, possibilmente integrata dalla lettura diretta di qualche brano, che ne documenti anche le caratteristiche grammaticali, lessicali e stilistiche (15).
Della lettera di Aristea (16), oltre alle necessarie informazioni introduttive sul carattere e la finalità dell’opera, non sarà da trascurare la lettura almeno di qualche capitolo, considerati l’interesse stilistico e contenutistico dello scritto, la fortuna di cui esso godette nella successiva letteratura giudeo-ellenistica e poi cristiana, il suo valore come espressione e testimonianza della sincera convinzione della possibilità di incontro e di intesa tra Giudei ed Elleni. Molte sono le pagine che meriterebbero di essere scelte: il dialogo iniziale tra Tolemeo e Demetrio, la descrizione di Gerusalemme e dei suoi sobborghi, l’apologia della Legge da parte di Eleazaro (e con il tentativo di interpretazione allegorica del Pentateuco e con l’ampia comparazione tra civiltà ebraica e civiltà alessandrina), il famoso bachetto dei settantadue sapienti giudei (con la raccolta di altrettante sentenze morali che intendono realizzare una ideale fusione tra sapienza ebraica e saggezza stoica). Innumerevoli sono poi gli spunti e gli stimoli che ognuna di queste sezioni è in grado di offrire.
Sul versante opposto, attestato su una intransigente posizione di difesa del monoteismo ebraico e della Legge contro ogni lusinga proveniente dalla raffinata cultura greca, troviamo l’autore del libro della Sapienza, anch’egli vissuto in ambiente alessandrino. Sarebbe senz’altro utile dedicare almeno un’intera lezione a questo libro, mostrandone i pregi di forma e di contenuto e le caratteristiche compositive, pur senza affrontarne le numerose e rilevanti difficoltà esegetiche (17). Si avrebbe, così, un quadro più articolato e completo del giudaismo alessandrino, nel cui ambito i due opposti atteggiamenti di conciliazione e di rifiuto nei confronti della saggezza greca prefigurano quasi l’analoga divaricazione che si manifesterà nella prima letteratura cristiana di fronte alla filosofia e alla cultura pagane.
L’ambiente del giudaismo alessandrino porta a parlare della complessa personalità di Filone. Schematicamente la trattazione di questo autore può essere impostata in questo modo:
I rapporti con Roma e lo stato romano (ambasceria del 39 presso Caligola e gli scritti In Flaccum e Legatio ad Caium, in cui, tra l’altro, si instaura un importante criterio storiografico, già presente, si è visto, nel secondo libro dei Maccabei e poi ripreso dagli apologisti cristiani: Dio punisce gli empi. Il problema storico del rapporto tra stato romano e giudaismo verrà ripreso poi con Flavio Giuseppe, per arrivare sino al momento cruciale e risolutivo dell’insurrezione di Bar Kochbà. D’altra parte esso si intreccerà con quello del rapporto tra stato romano e Cristianesimo;
– De vita Mosis, strutturata secondo i moduli tipici della biografia ellenistico-romana;
– scritti esegetici sull’Antico Testamento e interpretazione allegorica (ereditata dalla filosofia stoica).
– De Providentia. Si insisterà, naturalmente, sull’importanza di questo autore in rapporto al Nuovo Testamento e ai Padri della Chiesa (soprattutto in relazione alla sua concezione del Logos). In particolare risulterà stimolante il confronto tra il pensiero di Filone da una parte e la filosofia greca dall’altra, con le discussioni di studiosi moderni intorno alla scuola filosofica verso cui Filone è maggiormente debitore (18).
Da ultimo si proporrà lo studio di Flavio Giuseppe. La natura della sua opera è tale, per cui certi argomenti sopra suggeriti potrebbero anche essere recuperati e trattati in questo contesto. Penso soprattutto alla storia dei rapporti tra stato romano e giudaismo che, in ogni caso, qui dovrà trovare un più preciso inquadramento e una più attenta considerazione. Alcuni scritti di Giuseppe saranno occasione per approfondimenti particolari. Così le pagine dedicate agli Esseni (Bellum Iudaicum II, 8, 2 ss.) potranno essere confrontate con la descrizione della misteriosa comunità dei Terapeuti come la leggiamo nel De Vita contemplativa di Filone; e questo confronto potrà rientrare a pieno diritto nello studio del rapporto tra vita attiva e vita contemplativa nel mondo antico. E’ un problema, quest’ultimo, che non dovrebbe essere considerato solo entro i confini della filosofia pagana, ma disporsi lungo un asse che, partendo da Platone, giunga sino alle filosofie ellenistiche e di età imperiale, abbracciando anche il giudaismo e il Cristianesimo (dalle figure evangeliche di Marta e di Maria sino ai Padri della Chiesa).
In conclusione alcune poche considerazioni sul modo di affrontare il Nuovo Testamento. Non è certo possibile, all’interno del programma di letteratura greca, un’analisi approfondita di testi che presentano tanti e tanto grandi problemi di natura esegetica, teologica, storica. E’ pertanto consigliabile una ricognizione complessiva e generale, che richiami e precisi alcune nozioni essenziali, tenendo conto che in questa materia gli studenti liceali sono per lo più del tutto sprovvisti delle più elementari conoscenze.
Sarà poi opportuna la lettura, in lingua greca, oltre che di alcune pagine dei Vangeli, di qualche brano degli Atti degli Apostoli (sicuramente il capitolo XVII, con il discorso di S. Paolo all’Areopago) e delle lettere di S. Paolo. Si può suggerire, innanzitutto, la prima lettera ai Corinzi, dove sono ribaditi i principi che più radicalmente contrastano con la mentalità e la filosofia pagane (in particolare il capitolo I, incentrato sul rapporto tra Vangelo e saggezza; il capitolo XV, che espone una delle verità più ostiche per chi proveniva dal paganesimo, ossia la resurrezione dei corpi; e, naturalmente, il capitolo XIII, con l’inno alla Carità); poi la breve lettera a Filemone, l’esempio più fulgido dell’epistolografia familiare antica, da leggere insieme con le due lettere di Plinio il Giovane a Sabiniano (IX, 21 e 24). Il testo paolino e i due testi pliniani presentano sorprendenti analogie (la situazione da cui essi muovono è sostanzialmente identica); ma il loro raffronto mostra, nel modo più chiaro, tutta la distanza che separa la carità cristiana dalla filantropia stoica e pagana (19).
Giunti a questo punto, ci si potrà addentrare nello studio della letteratura cristiana antica, seguendo i tradizionali percorsi cronologici e tematici, approfondendo questo o quell’aspetto, questo o quell’autore, a seconda degli interessi che si saranno manifestati tra gli alunni o del taglio particolare che si intende dare alla materia. Sui numerosi e complessi problemi inerenti a tutta questa parte del programma si tornerà, eventualmente, in una prossima occasione. Essenziale, in ogni caso, è che gli scolari maturino la consapevolezza che quando si parla di radici cristiane della nostra civiltà non si evoca un’entità astratta e generica, ma ci si richiama a una realtà spirituale e culturale concreta, la cui ricchezza e profondità non possono non costituire patrimonio irrinunciabile di ogni uomo, prima ancora che di ogni cristiano.