da Zetesis 1995-2
Di fronte alla disarmante passività di gran parte dei miei studenti, sempre più sento l’esigenza di avviare i ragazzi ad un lavoro autonomo sugli autori, stimolando la loro capacità di osservazione e il loro spirito critico, in modo che possano essere fruitori attivi di un testo e non semplici ripetitori di ciò che l’insegnante spiega in classe.
Per la terza liceo ho tentato di elaborare uno schema sintetico sullo stile di Seneca – sicuramente perfettibile o modificabile – che permetta ai ragazzi, dopo le prime lezioni svolte in classe, di lavorare da soli su alcuni brani assegnati a casa, analizzandoli in modo accurato sotto il profilo della lingua e dello stile, oltre che del contenuto. Naturalmente le loro osservazioni sono poi riprese, corrette e integrate successivamente in classe.
L’esperienza degli ultimi due anni è stata positiva: la lettura dell’autore risulta più vivace e interessante, arricchendosi del contributo di tutti, e i ragazzi hanno la soddisfazione di poter intervenire in modo personale anche su materie nelle quali la difficoltà linguistica e il rigore metodologico richiesto sono sentiti come un freno alla loro creatività. Infine devo dire che ho imparato anch’io parecchie cose da loro!
Lo schema, per il quale mi sono servita in parte del lavoro di A. Traina, Lo stile “drammatico” del filosofo Seneca, Bologna 19874, è articolato in tre sezioni:
1) Una breve introduzione tratta dal Traina, che spiega i motivi storici e spirituali per cui si passa dalla concinnitas dell’età cesariana al particolare stile asiano di Seneca .
2) Le caratteristiche generali dello stile senecano con segnalazione delle possibili “tecniche” che concorrono a determinarlo.
3) La messa a fuoco dei due atteggiamenti di stile e di pensiero che il Traina individua come prevalenti e compresenti nel linguaggio del filosofo, la cui tensione polare dà luogo a quella “drammaticità” che è la sua cifra stilistica peculiare.
A. Traina, Lo stile “drammatico” del filosofo Seneca, Bologna, 19874, pp. 25-27, passim:
“La cellula stilistica di Seneca e della sua età è la frase, la sententia; nell’epoca di Cesare e di Cicerone era stato il periodo; nell’epoca di Frontone sarà la parola. È questa la parabola della prosa letteraria latina, finché i Cristiani, portatori di una spiritualità nuova, ne restaureranno l’architettura. (…)
Cesare e Cicerone sono, per temperamento interessi ideali, agli antipodi. Ma la loro prosa letteraria, pur nella diversità degli atteggiamenti stilistici, (…) ha un carattere comune: è retta da pochi centri sintattici e/o unificata da una ininterrotta trama di nessi logici. In questa struttura architettonica sembra tradursi il senso di una realtà bene organizzata, un equilibrio di valori morali politici religiosi. Tra i due punti estremi, l’individuo e il cosmo, c’è la mediazione della società. (…)
L’avvento dell’impero segna una frattura in quest’ordine. La realtà politica passa in secondo piano e individuo e cosmo si trovano di fronte. Il problema non è più l’inserimento del singolo nella società e nello stato, ma il suo significato nel cosmo. Riaffiora la solitudine esistenziale e l’urgenza di soluzioni individuali. Il contraccolpo stilistico di questo mutamento di valori è una prosa esasperata e irrelata che ha tanti centri e tante pause quante sono le frasi. (…) Questo stile nasce nelle scuole dei declamatori, dalle ceneri dell’eloquenza politica, ed è tenuto a battesimo da due madrine greche: la retorica con gli schemi convulsi dell’asianesimo e la filosofia con l’aggressività della diatriba cinica”.
PARATASSI. Nessi possibili tra una frase e l’altra:
– congiunzioni
– asindeto
– antitesi
– anafora
Es. di antitesi asindetica:
Hoc est, quo deum antecedatis: ille extra patientiam malorum es, vos supra patientiam. (De prov. 6, 6);
Antitesi avversativa:
Non vitae, sed scholae discimus. (Ep. 106, 12);
Anafora e antitesi:
Servi sunt: immo homines. Servi sunt: immo contubernales. Servi sunt: immo humiles amici. Servi sunt: immo conservi. (Ep. 47, 1).
BREVITAS. Raggiunta tramite:
– ellissi del verbo essere in costrutti dove è richiesto;
– altri tipi di ellissi;
– costrutti post-classici che permettono il risparmio di congiunzioni subordinanti, p.es.:
contingo + infinito (lat. classico ut + congiuntivo):
Nulli contigit impune nasci. (Marc. 15, 4)
Cui nasci contigit, mori restat. (Ep. 99, 8);
timeo + infinito (lat. classico ne/quominus + congiuntivo):
Quidam fallere docuerunt, dum timent falli. (Ep. 3, 3);
aggettivo concordato col nome, sintetico di una frase/concetto;
participio in luogo della relativa;
uso assoluto del participio futuro, in epoca classica usato solo col vb. sum, che permette di concentrare il massimo di significato nel minimo di parole:
Nulli…nisi audituro dicendum est. (Ep. 29, 1)
Accipimus peritura perituri. (De prov. 5, 7).
ABRUPTUM SERMONIS GENUS
Non è del tutto vero che lo stile di Seneca è asimmetrico e diseguale (Castiglioni); per es. l’isocolia è un caposaldo dello stile “moderno” dei declamatori. Ma spesso entro la concinnitas scatta la variatio; non quella di Sallustio e Tacito, che dissocia un gruppo sintatticamente omogeneo (es. imbecilla atque aevi brevis, Iug. 1,1). Essa invece consiste nel variare un membro di una serie ritmica, anaforica o isocolica, preferibilmente l’ultimo:
De divinis humanisque discendum est, de praeteritis de futuris, de caducis de aeternis, de tempore. (Ep. 88,3)
Non est fortis oratio eius, quamvis elata sit; non est violenta nec torrens, quamvis effusa sit; non est perspicua, sed pura. (Ep. 100,10).
ESPRESSIVITÀ. Ottenuta mediante:
– il lessico: coloritura poetica/drammatica:
neologismi;
prefissi, suffissi, verbi frequentativi, intensivi, ecc.;
– uso insistito della metafora: da quali campi semantici? con quali immagini, effetti?
– uso delle figure retoriche, in particolare il chiasmo, la variatio, la figura etimologica, cara al latino e carissima a Seneca:
Tamquam semper victuri vivitis. (De brev. 9,4)
Saepe admonendus est animus, amet ut recessura, immo tamquam recedentia. (Marc. 10,3).
LA LINGUA DELLA PREDICAZIONE, o “movimento dall’interno all’esterno”:
– tono parenetico;
– interrogative retoriche, esclamative;
– ripresa di un concetto per esaminarlo da tutti i punti di vista;
– anafora (semplice, polittotica, di una parola, di una frase; con chiasmo, con climax, asindetica);
– sententia finale, secondo la tecnica epigrammatica; tale tecnica si esprime anche nella brevità;,
– concisione, concettosità, fulmen in clausula (conclusione a sorpresa):
Non vixit iste, sed in vita moratus est, nec sero mortuus est, sed diu. (Ep. 93, 3);
– abbreviazione dell’ultimo colon del periodo: l’ultimo membro tende ad essere il più breve, violando la legge dei cola crescenti tipica della prosa classica, e può arrivare al monosillabo:
Nec speraveris sine desperatione nec desperaveris sine spe.
LA LINGUA DELL’INTERIORITÀ, o “movimento dall’esterno all’interno”:
– tono intimistico, afflato mistico-religioso:
Deus ad homines venit, immo, quod est proprius, in homines venit.(Ep. 73, 16)
Prope est a te deus, tecum est, intus est. (Ep.41, 2);
– uso di preposizioni particolari, come intus o intra, più espressive del comune in:
Ita dico, Lucili: sacer intra nos spiritus sedet. (Ep. 41, 2);
– lessico, metafore, ripetizione di pronomi/aggettivi personali, che esprimono:
a) l’interiorità come possesso, con ricorso alla lingua giuridica:
Ita fac, mi Lucili, vindica te tibi. (Ep. 1,1)
Ille illius cultor est, hic illius: suus nemo est. (De brev. 2, 4)
omnia mea mecum sum (De const. sap. 5, 6)
in se ipsum habere maximam potestatem (Ep. 75,18);
b) l’interiorità come rifugio:
Recede in te ipsum, quantum potes (Ep. 7, 8)
tunc praecipue in te ipsum secede, cum esse cogeris in turba (Ep. 25, 6);
– uso del riflessivo, sia diretto che indiretto, che di fronte alla meccanicità e passività del medio (= azione subita e non voluta dal soggetto) afferma la consapevolezza della gente che prende se stesso a oggetto della propria azione:
multa effugisti, te nondum (Nat. Quaest. 6)
deprehendas te oportet, antequam emendes (Ep. 28, 9)
excute te et varie scrutare et observa (Ep. 16, 2).