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A completamento della lettura di Giuseppe Flavio questa volta leggiamo tre testi.
Partiamo dalla Contra Apionem, I, II (6-14).
- Questo passo mi interessa molto per due motivi. Anzitutto perché ormai da tre anni sto lavorando sugli Stromati di Clemente Alessandrino, che affronta fra gli altri il rapporto fra la cultura greca e quella ebraica, con una posizione che in parte coincide con questa di Giuseppe (anteriorità e superiorità della cultura ebraica), in parte tende a valorizzare la cultura greca, da cui proviene la sua personale formazione. In secondo luogo perché solo attraverso una versione (maturità prima sessione 1948, presente in alcuni versionari) avevo avuto modo anni fa d’incontrare la posizione di Giuseppe sulla questione omerica, in genere trascurata dalle letterature, anomala rispetto alla questione omerica antica, e anticipatrice delle posizioni moderne.
- Leggiamo anzitutto il testo fino a metà del par. 10.
- C’è un problema testuale al par. 7: εὗρον o εὕροι? L’ottativo pare difficilmente difendibile, senza ἄν e senza soggetto; l’indicativo è presumibilmente una prima persona, ho trovato, costruito con l’oggetto (τὰ……παρὰ…) e il predicativo (uso normale di εὑρίσκω).
- La traduzione della Calabi (ed. Marsilio) rende con Si può notare, molto libero e in realtà non corrispondente a nessuna delle due lezioni.
- Come rendere ἐπινοίας?
- Ci aspetteremmo un termine connesso con εὑρίσκω, dato che gli inventori sono detti di solito πρῶτοι εὑρεταί.
- Ἐπινοίας significa propriamente “ideazioni”.
- Ciò che importa soprattutto a Giuseppe è la recenziorità della storiografia greca.
- Al contrario è antica cura dei popoli orientali di lasciare τῆς μνήμης τὴν παράδοσιν.
- Il motivo è la stabilità di questi popoli riguardo alle condizioni ambientali, che hanno permesso una continuità di memoria.
- Ma è importante anche il fatto che presso questi popoli la storia sia stata affidata ai σοφώτατοι e registrata ufficialmente con una connotazione sacrale (ἐν δημοσίαις ἀναγραφαῖς…καθιεροῦσθαι.), non invece lasciata alla stesura di chiunque volesse occuparsene.
- Giuseppe tralascia qui gli Ebrei, perché non potrebbe certo parlare di stabilità in un popolo sempre nomade o profugo.
- Distruzioni, cataclismi e alluvioni sono ricordate nel mito greco: pensiamo in particolare al Timeo di Platone e al mito di Atlantide. Giuseppe parla di μυρίαι φθοραί.
- Ma il diluvio è presente anche in altre culture. Come pure invasioni di popoli stranieri.
- Comunque l’idea di fondo è che ogni generazione in Grecia iniziava da capo, senza memoria.
- Testo molto difficile al par. 10, soprattutto la seconda parte: e ciascuno, istituendo ogni volta nuovi modi di vivere, riteneva che il proprio desse inizio a tutto. Il soggetto è ἕκαστοι, plurale, ma come si può renderlo?
- Ciascun gruppo? Ciascuna generazione?
- Il mio testo ha τῶν ἀφ᾿ ἑαυτῶν: il genitivo è inteso come dipendente da ἕκαστοι ciascuno dei loro?
- Il genitivo non dà senso, l’accusativo τὸν si riferisce a βίος, nel senso di ‘il modo di vivere nato da loro’.
- Il mio testo mette virgola prima di ὀψὲ e conclude la frase con γραμμάτων. Μa la tarda conoscenza della scrittura apre un nuovo campo di critica ai Greci.
- Solo dal 13 in poi si riprende la polemica sugli storici, e poi sui filosofi.
- Leggiamo il resto del testo
- Giungiamo così alla questione della scrittura, che, dice Giuseppe, i Greci si vantano di aver appreso dai Fenici e da Cadmo. In realtà la tradizione sull’origine della scrittura è molto varia, oltre a Cadmo c’è almeno Palamede, che è argivo.
- Ma entrambi i personaggi appartengono alla genealogia mitica che deriva da Zeus e Iò, ragazza argiva, quindi l’origine è greca, anche se Cadmo fa parte del ramo fenicio della stirpe.
- Il fatto è che i Greci hanno assunto nella loro storia mitica anche il debito culturale straniero.
- Su Cadmo si può leggere il IV libro delle Dionisiache di Nonno di Panopoli.
- Conoscevano i Greci della guerra di Troia τὴν νῦν οὖσαν τῶν γραμμάτων χρῆσιν?
- Vuole dire l’uso attuale? forse invece conoscevano un altro genere di scrittura?
- Questione dei σήματα λυγρὰ del VI libro dell’Iliade: in ogni caso qualche sistema di comunicazione doveva esserci perché si potesse chiedere che Bellerofonte fosse ucciso.
- Ma in effetti la questione non è se c’era la scrittura al tempo della guerra di Troia, ma al tempo della composizione dei poemi omerici.
- Giuseppe dice che mancano testi scritti prima di Omero, ma si discute sull’antichità di alcune iscrizioni, e naturalmente ignorava la scrittura micenea.
- La sua tesi riguardo ai poemi omerici è attribuita a φασιν: chi? era opinione diffusa? perché non ne è rimasta traccia?
- Comunque è molto interessante, afferma che al tempo di Omero non esisteva la scrittura, poemi lunghi non potevano essere appresi a memoria, quindi c’erano canti isolati successivamente cuciti insieme con molte discordanze. La tesi degli analisti.
- Non è più stata ripresa fino al Wolf.
- Sulla questione omerica suggeriamo la lettura dell’articolo di Sergio Monaco, “Il punto sulla questione omerica”, Zetesis 2/95.
- Passiamo agli altri due testi: Antichità giudaiche 18, 63-64 e 20, 200
- Mi incuriosisce il fatto che sul secondo testo non ci sia mai stata una vera polemica. Giuseppe sta raccontando di vicende politiche, con questioni fra magistrati, e vi inserisce il processo di san Giacomo e la condanna alla lapidazione.
- In questo modo è testimoniata sia l’esistenza storica di Gesù, sia la sua denominazione Χριστός, che per un ebreo non poteva che suonare sconcertante, sia l’accusa di illegalità e il martirio del primo martire fra gli apostoli.
- Giuseppe non commenta in alcun modo, sembra non gli interessi il fatto se non per le ripercussioni politiche, e d’altra parte quasi nessuno ha messo in dubbio l’autenticità del passo.
- Mi sembra quasi più interessante del Testimonium Flavianum.
- Su questo abbiamo un breve scambio di notizie. Leggiamo diverse redazioni del Testimonium, accettato in blocco come autentico, respinto del tutto, accettato ma privato delle presumibili interpolazioni cristiane, in particolare ὁ Χριστὸς οὗτος ἦν e da ἐφάνη a εἰρηκότων, cioè la Resurrezione e le relative profezie.
- Nel 1971 Shlomo Pinés ha pubblicato un manoscritto arabo del X secolo, che risalirebbe ad una versione del Testimonium e che termina: Essi raccontarono che era apparso loro tre giorni dopo la sua crocifissione e che era vivo. Di conseguenza credevano che fosse il Messia di cui i Profeti avevano raccontato meraviglie. Si recupererebbero così i passi espunti, ma con riferimento a quanto dicevano e credevano i discepoli e non come fatto accertato.