Il fr. 31 V. di Saffo.

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Il materiale che presentiamo è suddiviso in tre parti:

1. Il testo del brano, con le parole introduttive dell’anonimo autore Del Sublime; che ci sembrano, pur nella loro semplicità, la più acuta presentazione critica del frammento stesso, in quanto colgono i tratti più caratteristici di esso: il suo provenire da un’esperienza personale vissuta, la bellezza del linguaggio consistente non in un’enfasi retorica, bensì nella semplice (diremmo quasi spoglia) descrizione dei particolari salienti del tormento amoroso, potentemente scelti e collegati. Il testo del brano, giunto a noi in condizioni disperate, è stato riprodotto sulla base delle più recenti edizioni critiche (quella di Saffo e Alceo della Voigt e i Poëtarum Lesbiorum Fragmenta curati da Lobel e Page), che sono però ben lungi dall’essere soddisfacenti, soprattutto per un certo diffuso atteggiamento di ipercritica diffidenza nei confronti del testo tràdito; abbiamo segnato a margine alcuni tentativi di emendazione o di sistemazione operati dai moderni: riteniamo che sia importante anche dal punto di vista didattico mettere gli allievi in condizione di percepire l’intensità di lavorio critico a cui i testi dell’antichità devono essere sottoposti e la precarietà di molte letture. Al v. 16 l’integrazione che colma la lacuna della seconda metà del verso è stata resa possibile dal rinvenimento di un papiro contenente un commento a questo brano (Papiri della Società Italiana, ed. Bartoletti). La piccola lacuna aveva indotto i critici precedenti a svariate integrazioni, spesso fantasiose: di alcune di queste si troverà traccia nelle traduzioni italiane meno recenti.

2. L’imitazione di Catullo (c. 51): per comodità di lettura abbiamo inserito direttamente nel testo al v. 8 l’integrazione del Doering che colma la lacuna dei codici: esigenze di rigore critico avrebbero imposto di segnare solamente la lacuna; ci è sembrato che l’accettazione di un’integrazione congetturale (peraltro persuasiva) rendesse più semplice una lettura continuativa del brano. Abbiamo segnato anche i vv. 13-16, che pure fanno a sé, non potendo essere facilmente inquadrati nel carme stesso.

3. Alcune traduzioni italiane antiche e moderne.


1. Il testo originale

Anonym. de sublimitate 10, 1

οἷον ἡ Σαπφὼ τὰ συμβαίνοντα ταῖς ἐρωτικαῖς μανίαις παθήματα ἐκ τῶν παρεπομένων καὶ ἐκ τῆς ἀληθείας αὐτῆς ἑκάστοτε λαμβάνει. ποῦ δὲ τὴν ἀρετὴν ἀποδείκνυται; ὅτι τὰ ἄκρα αὐτῶν καὶ ὑπερτεταμένα δεινὴ καὶ ἐκλέξαι καὶ εἰς ἄλληλα συνδῆσαι


Sapph., fr 31 V = 31 LP = 2 D

φαίνεταί μοι κῆνος ἴσος θέοισιν
ἔμμεν’ ὤνηρ, ὄττις ἐνάντιός τοι
ἰσδάνει καὶ πλάσιον ἆδυ φωνεί-
    σας ὐπακούει
καὶ γελαίσας ἰμέροεν, τό μ’ ἦ μὰν                                                               τό μοι μὰν
καρδίαν ἐν στήθεσιν ἐπτόαισεν,
ὠς γὰρ <ἔς> σ’ ἴδω βρόχε’ ὤς με φώναισ’                                                  ὠς σε γὰρ ἴδω            φώνας
    οὐδ’ ἒν ἔτ’ εἴκει,
ἀλλ’ †κὰμ μὲν γλῶσσα †ἔαγε λέπτον                                                         ἄκαν
δ’ αὔτικα χρῶι πῦρ ὐπαδεδρόμηκεν,
ὀππάτεσσι δ’ οὐδὲν ὄρημμ’, ἐπιρρόμ-                                                        οὐδ’ ἒν               ἐπιβρόμεισι
    βεισι δ’ ἄκουαι,
†έκαδε μ’ ἴδρως [ψῦχρος] κακχέεται τρόμος δὲ                                        κὰδ δέ μ’ ἴδρως
παῖσαν ἄγρει, χλωροτέρα δὲ ποίας
ἔμμι, τεθνάκην δ’ ὀλίγω ‘πιδεύης
    φαίνομ’ ἔμ’ αὔται·
ἀλλὰ πὰν τόλματον ἐπεὶ †καὶ πένητα†


2. Catullo 51

Ille mi par esse deo videtur,
Ille, si fas est, superare divos,
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit

dulce ridentem, misero quod omnis
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
<vocis in ore>.

Lingua sed torpet, tenuis sub artus
fiamma demanat, sonitu suopte
tintinant aures, gemina teguntur
lumina nocte.

Otium, Catulle, tibi molestum est,
otio exultas nimiumque gestis;
otium et reges prius et beatas
perdidit urbes.


3. Traduzioni italiane

Giovanni Andrea dell’Anguillara (1572)

Parmi quell’huomo eguale essere à i Dei,
qual diritto à te siede,
E dolce ragionar ti sente, e vede
Rider soavemente.
Questo à me il cor nel petto batte, e fiede:
Perché mentre mi sei
Opposta, si che con questi occhi miei
Ti vegga immantinete,
Non ho à voce formar virtù possente;
Ma impedita la lingua muta viene,
E sottil fuoco presto
Passami per le vene.
Perdon l’ufficio gli occhi di mirare,
L’orecchie d’ascoltare.
Gelo è il sudor, tutta tremante resto.
Più c’herba secca di pallor dipinta,
Priva di spirto, assembro quasi estinta.

De’ Rogati (1782)

Contento al par de’ Numi                               
Parmi colui, che siedei
ncontro a’ tuoi bei lumi
Felice spettator;

Che sparse le tue gote
Talor d’un riso vede,
Ch’ode le dolci note
Del labbro tuo talor.

Al riso, a’ detti usati
Il cor, che s’innamora,
Fra i spiriti agitati
Non osa palpitar.

Veggo il tuo vago aspetto
E alle mie fauci allora
Non somministra il petto
Voce per favellar.
Tenta la lingua invano
D’articolar parola,
Corre un ardore insano
Di vena in vena al cor.

Un denso velo il giorno
Alle mie luci invola;
Odo confuso intorno,
Ma non so qual rumor.

Largo sudor m’inonda,
Spesso tremor m’assale,
Al par d’arida fronda
Comincio a impallidir,

Sì nelle membra fredde
Langue il calor vitale,
Che a me vicin rassembra
L’istante del morir.

Ugo Foscolo (1790) Ugo Foscolo (1821)


Colui mi sembra agli alti Dei simile
Che teco siede, e sì soavemente
Cantar t’ascolta, e in atto sì gentile
Dolce ridente.
 
Com’io ti veggio, palpitar mi sento
Nel petto il core, in quel beato istante
Non vien più suono d’amoroso accento
Sul labbro ansante.
 
Muta s’intrica la mia lingua: accensa
Scorre ogni vena, ronza tintinnio
Dentro gli orecchi; notte alta s’addensa
Sul guardo mio.
 
Sudor di gelo le mie guance inonda.
Fremito assale e abbrivida ogni membro,
E senza spirti, pallida qual fronda
Morta rassembro.

Quei parmi in cielo fra gli Dei, se accanto
Ti siede, e vede il tuo bel riso, e sente
I dolci detti e l’amoroso canto! –
A me repente
 
Con più tumulto il core urta nel petto:
More la voce, mentre ch’io ti miro,
Sulla mia lingua: nelle fauci stretto
Geme il sospiro.
 
Serpe la fiamma entro il mio sangue, ed ardo:
Un indistinto tintinnio m’ingombra
Gli orecchi, e sogno: mi s’innalza al guardo
Torbida l’ombra.
 
E tutta molle d’un sudor di gelo,
E smorta i viso come erba che langue,
Tremo e fremo di brividi, ed anelo
Tacita, esangue.

Paolo Costa (1823)


Gli dei per fermo agguaglia, anzi si gode
Gaudio più che divin quei che sedente
Al tuo cospetto te rimira ed ode
Dolce ridente.
 
Che se l’alta ventura unqua mi tocca
D’esserti appresso, o mio soave amore,
Non io ti guardo ancor, che sulla bocca
La voce muore.
Fassi inerte la lingua, il pensier tardo,
Un sottil fuoco va di vena in vena,
Fischian gli orecchi, mi s’appanna il guardo
E veggo appena.
 
Un gelido sudor tutta m’inonda,
Mi trema il cor, rabbrivida ogni membro,
Mancami il fiato, e pallida qual fronda,
Morta rassembro.

Felice Cavallotti

Pari agli Iddii sembrami l’uom che a fronte
Siedati, e ’l guardo entro lo sguardo fiso,
Dolce parlar t’oda vicin, soave-
mente ridendo.
 
Ecco a me in seno violento batte,
Battemi ’l core, e ’n rimirarti a pena
Stretta la voce entro le fauci muore,
Torpe la lingua.
Foco leggier sotto la pelle serpe
Ratto, ed un velo a le pupille scende;
Non vedo più: confusamente ronza
Fischio a l’orecchie.
 
Freddo sudor largo mi scorre; e tremo
Tutta; e più d’erba arida, smorta sono;
Ed a morir quasi vicina, parmi
Manchi lo spiro.

Giovanni Pascoli

A me pare simile a Dio quell’uomo,
quale e’ sia, che in faccia ti siede, e fiso
tutto in te, da presso t’ascolta, dolce-
mente parlare,
 
e d’amore ridere un riso, e questo
fa tremare a me dentro al petto il core;
ch’ai vederti subito a me di voce
filo non viene,
e la lingua mi s’è spezzata, un fuoco
per la pelle via ch’è sottile è corso,
già non hanno vista più gli occhi, romba
fanno gli orecchi
 
e il sudore sgocciola, e tutta sono
da temore presa, e più verde sono
d’erba, e poco già dal morir lontana,
simile a folle.

Manara Valgimigli

Beato è, come un dio,
chi davanti ti siede e ti ode,
e tu dici dolci parole e dolcemente sorridi.
 
Subito mi sobbalza, appena
ti guardo, dentro nel petto il cuore,
e voce più non mi viene e mi si spezza
la lingua, e una fiamma sottile
mi corre sotto la pelle,
con gli occhi più niente vedo,
romba mi fanno
gli orecchi, sudore mi bagna
 
e tremore tutta mi prende,
e più verde dell’erba divento
e quasi mi sento,
o Agallide, vicina a morire.

Salvatore Quasimodo

Come uno degli Dei, felice
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosa. Subito a me
il cuore in petto s’agita sgomento
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Rapido fuoco affiora alle mie membra,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.

V. Di Benedetto (1987)

Mi sembra pari agli dei quell’uomo che siede di fronte a te e vicino ascolta te che dolcemente parli e ridi un riso che suscita desiderio. Questa visione veramennte mi ha turbato il cuore el petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire, ma la lingua mi si spezza e sùbito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle e con gli occhi nulla vedo e rombano le orecchie e su me sudore si spande e un tremito mi afferra tutta e sono più verde dell’erba e poco lontana da morte sembro a me stessa. Ma tutto si può sopportare, poiché …