Home Editoriali Editoriale 2022-1

Editoriale 2022-1

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Stiamo riflettendo sulla polemica suscitata dall’aggiunta “del merito” all’intitolazione del Ministero dell’Istruzione. Al di là della stranezza di questa doppia denominazione, è interessante che la parola ‘merito’ abbia suscitato indignazione e sospetto: è stata interpretata come un favoritismo verso i già avvantaggiati, soprattutto socialmente ed economicamente; si è agitato lo spettro del termine ‘meritocrazia’, che in sé dovrebbe significare ‘potere di chi lo merita’ ma fin dalla sua genesi è stato inteso come ingiusta appropriazione e valutazione iniqua.

In realtà si è anche discusso se ‘merito’ si riferisca alla selezione dei docenti o all’esito scolastico degli studenti (o a entrambe). Ci riferiamo qui al secondo senso, che ci conduce all’articolo 34 della Costituzione, dove si parla di «capaci e meritevoli»[1]. Se tanto scandalo ha suscitato ‘merito’, chi oserebbe più parlare di «capaci»? Entrambi i termini della Costituzione sembrano antitetici rispetto all’inclusione.

Chi scrive ha sempre operato nei licei, come insegnante e come preside. Ho sempre avuto a che fare sia con la valutazione degli studenti, sia, come preside di una paritaria, con l’orientamento in ingresso. Proprio in quest’ultimo compito, delicatissimo perché facilmente fonte di illusioni e frustrazioni, individuare le capacità ha un ruolo fondamentale: fra le molte offerte formative delle scuole superiori di secondo grado, quale è più consona alle capacità del ragazzo che ho davanti? non solo capacità intellettive, ma anche propensione allo studio, tenacia, pazienza, voglia di mettersi in gioco e, nel caso di un liceo classico, gusto per la lettura, per i meccanismi linguistici, per la storia, curiosità, desiderio di riflettere e approfondire? Spesso sono capacità embrionali, magari coperte da ambizioni proprie o familiari, opinioni orecchiate, aspirazioni sociali ed economiche: è necessario andare più a fondo, scartare falsi obiettivi e pregiudizi, cercare ciò che davvero apre ad un percorso scolastico utile e positivo. Ho sempre evitato l’indicazione moralistica a proposito della “voglia di studiare”: non è un dovere averla, è una propensione, una capacità insomma: apre molte strade, riduce anche le difficoltà. Certo da sola non è sufficiente per uno studio impegnativo. Diciamolo a chiare lettere: se vi è un ampio ventaglio di scelte è perché le capacità sono differenti. Chi riesce bene in un liceo è probabile che avrebbe pessimo esito in un alberghiero, in un tecnico per grafici, e fra i diversi licei le capacità che portano al classico difficilmente porterebbero positivamente ad un liceo artistico. Ma «capaci» ci porta anche alla questione dei DSA o di quella categoria onnicomprensiva indicata genericamente con BES. Ci sono difficoltà oggettive che rendono faticoso, inutilmente pesante, un tipo di scelta. Una grave dislessia, disgrafia e disortografia costituisce un ostacolo verso uno studio fondato su lettura e comunicazione scritta in diversi sistemi linguistici; una grave discalculia rende difficile uno studio approfondito della matematica; una grave dispraxia ostacola le capacità operative. Siamo certi che ogni scuola introduce modalità compensative, con impegno e intelligenza, ma spesso un diverso orientamento sarebbe più proficuo e più gratificante. Perché a scuola bisogna stare bene.

Ho lasciato «meritevoli» per secondo dopo «capaci» perché mi pare che il merito inizi dalla valutazione e dall’accettazione delle proprie capacità e potenzialità: meritevole è chi, magari con difficoltà, magari con ripensamenti, fa una scelta che gli si adatti. Poi, fatta la scelta, è il momento di giocarsi per intero, sapendo che ostacoli ci sono comunque.

E da parte dei docenti? Non vorrei entrare nella complessa questione della valutazione, che comporta la storia della classe, del singolo ragazzo/ragazza, di quella difficile abilità di distinguere fra non-capito e non-ascoltato, fra il mio spiegare male e ogni possibile alibi fittizio. Ho sempre preferito parlare di verifica più che di valutazione: verifica del mio insegnamento e della risposta dei ragazzi, interrogazione come conversazione, compito scritto come approfondimento personale. Se per valutazione s’intende “voto” mi sembra vada smitizzato, riferito alla singola prova, non pesante sul ragazzo, non visto come obiettivo, come premio o castigo. Smitizzato anche come pretesa di oggettività, scientificità, perfetta valutazione. Si misura in qualche modo perché si capisca a che punto si è.

Nel rapporto con gli studenti “valutazione” e “merito” implicano anche altro. Il giudizio su ognuno va oltre i risultati scolastici, che pure necessariamente portano ad un esito finale. Ci sono ragazzi che hanno attenzione ai compagni, capacità positiva di aggregazione, umiltà verso di sé, attenzione alla realtà. Chiamiamo tutto questo “condotta” o “comportamento” e lo valutiamo come tale. Ma è una stima che va mostrata, esplicitata, che chiarisca nella classe un’ampiezza di giudizio, che chiarisca al ragazzo che il suo valore non è mai riducibile.


[1]   Art. 34: «La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso».