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Sabato 25 novembre 2023

by Mariapina Dragonetti

I testi


Apuleio, Metamorfosi XI, 1-2

[1] Circa primam ferme noctis vigiliam experrectus pavore subito, video praemicantis lunae candore nimio completum orbem commodum marinis emergentem fluctibus; nanctusque opacae noctis silentiosa secreta, certus etiam summatem deam praecipua maiestate pollere resque prorsus humanas ipsius regi providentia, nec tantum pecuina et ferina, verum inanima etiam divino eius luminis numinisque nutu vegetari, ipsa etiam corpora terra caelo marique nunc incrementis consequenter augeri, nunc detrimentis obsequenter imminui, fato scilicet iam meis tot tantisque cladibus satiato et spem salutis, licet tardam, subministrante, augustum specimen deae praesentis statui deprecari; confestimque discussa pigra quiete <laetus et> alacer exsurgo meque protinus purificandi studio marino lavacro trado septiesque summerso fluctibus capite, quod eum numerum praecipue religionibus aptissimum divinus ille Pythagoras prodidit, [laetus et alacer] deam praepotentem lacrimoso vultu sic adprecabar: [2] “Regina caeli, — sive tu Ceres alma frugum parens originalis, quae, repertu laetata filiae, vetustae glandis ferino remoto pabulo, miti commonstrato cibo nunc Eleusiniam glebam percolis, seu tu caelestis Venus, quae primis rerum exordiis sexuum diversitatem generato Amore sociasti et aeterna subole humano genere propagato nunc circumfluo Paphi sacrario coleris, seu Phoebi soror, quae partu fetarum medelis lenientibus recreato populos tantos educasti praeclarisque nunc veneraris delubris Ephesi, seu nocturnis ululatibus horrenda Proserpina triformi facie larvales impetus comprimens terraeque claustra cohibens lucos diversos inerrans vario cultu propitiaris, — ista luce feminea conlustrans cuncta moenia et udis ignibus nutriens laeta semina et solis ambagibus dispensans incerta lumina, quoquo nomine, quoquo ritu, quaqua facie te fas est invocare: tu meis iam nunc extremis aerumnis subsiste, tu fortunam collapsam adfirma, tu saevis exanclatis casibus pausam pacemque tribue; sit satis laborum, sit satis periculorum. Depelle quadripedis diram faciem, redde me conspectui meorum, redde me meo Lucio, ac si quod offensum numen inexorabili me saevitia premit, mori saltem liceat, si non licet vivere.”

Trad. di G. Augello, in Lucio Apuleio, Le Metamorfosi, Utet

Potevano essere le prime ore della notte, quando, invaso da un improvviso senso di paura, mi svegliai di soprassalto e vidi la luna piena, che col suo globo sfolgorante stava allora allora emergendo dai flutti del mare. Il silenzio misterioso e il buio della notte mi parvero di buon auspicio. Sapevo bene, d’altra parte, il sovrano potere dell’eccelsa dea, sapevo che tutte le umane cose sono indistintamente governate dalla sua provvidenza e che, in forza della sua divina volontà e della sua luce, prosperano non solo le bestie e le belve, ma anche tutti gli esseri inanimati e che gli elementi tutti in terra in cielo in mare crescono in conseguenza del suo crescere e scemano in conseguenza del suo scemare. Compresi che il mio destino, sazio dei miei innumerevoli e gravi affanni, ormai, sebben tardi, mi offriva una speranza di salvezza; e perciò decisi di pregare l’augusta immagine della dea che mi stava dinanzi. E sùbito, scuotendomi di dosso la fiacchezza del sonno, mi alzai alacre e, desideroso di purificarmi, mi affidai ad un lavacro marino ed immergendo nei flutti il capo per sette volte (questo numero secondo l’insegnamento del divino Pitagora è d’ottimo auspicio nei riti), lieto ed alacre, col volto rigato di lacrime così pregai l’onnipossente dea: —O Regina del cielo—o che tu sia l’alma Cerere, madre e creatrice delle messi, che nella gioia d’aver ritrovata la figlia allontanasti gli uomini dal bestial pasto dell’antica ghianda per insegnar loro a nutrirsi di un più mite cibo, ed ora onori della tua presenza la terra di Eleusi; o che tu sia la celeste Venere, che all’inizio del mondo, accoppiando i sessi diversi, desti vita all’Amore e, rinnovando la prole, rendesti perpetuo il genere umano ed ora hai culto in Pafo, la città cinta tutt’intorno dal mare; o che tu sia la sorella di Febo, che, addolcendo con soavi cure il parto delle gestanti, di tante genti popolasti la terra ed ora sei venerata in Efeso, nel tempio famoso; o che tu sia Proserpina, la dea terribile per i notturni ululati, che sotto triplice forma acqueti l’impeto degli spettri e tieni le chiavi del mondo sotterraneo ed errando qua e là per i sacri boschi, sei ossequiata con diversi riti-tu che con codesto lume virgineo illumini tutte le città e con il rugiadoso splendore dài incremento ai semi fecondi e con le tue solitarie peregrinazioni dispensi la tua tenue luce, con qualsiasi nome, con qualsiasi rito, sotto qualunque aspetto sia lecito invocarti; soccorrimi tu, oggimai, tra queste mie estreme tribolazioni, rialza tu la mia sorte disperata, dàmmi tu tregua e pace dopo tante sofferenze crudeli: basta con gli affanni, basta con i pericoli! Cancella da me quest’orribile faccia da quadrupede, restituiscimi agli occhi dei miei cari, rendi Lucio al vero Lucio e, se son proprio perseguitato dall’ira inesorabile di qualche dio, fa’ almeno che io muoia, se non mi è lecito vivere.


Apuleio, Metamorfosi XI, 15

 “Multis et variis exanclatis laboribus magnisque Fortunae tempestatibus et maximis actus procellis ad portum Quietis et aram Misericordiae tandem, Luci, venisti. Nec tibi natales ac ne dignitas quidem, vel ipsa, qua flores, usquam doctrina profuit, sed lubrico virentis aetatulae ad serviles delapsus voluptates curiositatis inprosperae sinistrum praemium reportasti. Sed utcumque Fortunae caecitas, dum te pessimis periculis discruciat, ad religiosam istam beatitudinem inprovida produxit malitia. Eat nunc et summo furore saeviat et crudelitati suae materiem quaerat aliam; nam in eos, quorum sibi vitas <in> servitium deae nostrae maiestas vindicavit, non habet locum casus infestus. Quid latrones, quid ferae, quid servitium, quid asperrimorum itinerum ambages reciprocae, quid metus mortis cotidianae nefariae Fortunae profuit? In tutelam iam receptus es Fortunae, sed videntis, quae suae lucis splendore ceteros etiam deos illuminat. Sume iam vultum laetiorem candido isto habitu tuo congruentem, comitare pompam deae sospitatricis inovanti gradu. Videant inreligiosi, videant et errorem suum recognoscant: en ecce pristinis aerumnis absolutus Isidis magnae providentia gaudens Lucius de sua Fortuna triumphat. Quo tamen tutior sis atque munitior, da nomen sanctae huic militiae, cuius non olim sacramento etiam rogabaris, teque iam nunc obsequio religionis nostrae dedica et ministerii iugum subi voluntarium. Nam cum coeperis deae servire, tunc magis senties fructum tuae libertatis.”

Trad. di G. Augello, in Lucio Apuleio, Le Metamorfosi, Utet

— Dopo tante e così varie tribolazioni, dopo essere stato travagliato dalle più grandi tempeste e dai più fieri marosi della Sventura, finalmente, o Lucio, sei giunto al porto della pace e all’altare della Misericordia. A nulla t’è valsa la nobiltà dei natali o il grado sociale o la brillante cultura che possiedi: ma, scivolando sulla china d’una giovinezza fin troppo immatura, ti sei ingolfato nelle più basse voluttà ed un bel tristo premio hai riportato dalla tua maledetta curiosità. Ciò nonostante, mentre ti tormentava con la peggiori prove, ti stava avviando, come è vero che ogni male non viene per nuocere, alla felicità di codesta vita religiosa. La vada ormai in buona pace e incrudelisca altrove a suo piacimento e altrove si cerchi le vittime su cui infierire: giacché, coloro, che han consacrato la vita alla maestà della nostra dea, son franchi d’ogni caso avverso. Ladroni, belve, schiavitù, tutto quel girare e rigirare senza posa in faticosissimi viaggi, quegli spaventi di morire che si ripetevano tutti i giorni… e con ciò? Che ci ha guadagnato la malvagia Fortuna? Ora puoi dire di essere veramente sotto la protezione della Fortuna, ma di una Fortuna veggente, che con lo splendore della sua luce illumina anche gli altri dèi. Ora voglio vederti lieto, come si conviene a codesta tua candida veste. Va’, e con passo esultante accompagna la processione della dea salvatrice. Ti vedano pure gli empi, vedano e riconoscano il loro errore. Ecco, ecco Lucio, che, liberato da tutte le passate tribolazioni, felice della protezione della grande Iside, trionfa sulla mala Ventura. Ma perché tu sia più sicuro e più forte, iscriviti a codesta santa milizia, a cui poc’anzi sei stato invitato ad arruolarti con giuramento, e da questo momento dédicati al culto della nostra religione e assoggéttati volontariamente alla regola del suo ministero. Perché solo quando avrai cominciato a servire la dea, comprenderai meglio il valore della tua liberazione.