A cura della Redazione
Quest’anno il gruppo di lavoro che fa riferimento alla nostra rivista ha operato una ricerca sulle diverse risposte che il mondo pagano ha espresso interrogandosi sulla vicenda dell’uomo nel tempo e nella storia. Ne è nata una nuova mostra per il Meeting di Rimini, intitolata Di ogni cosa buon giudice è il tempo (libera traduzione di una gnòme di Menandro), che indaga le due linee di pensiero ricorrenti nella cultura antica: la vicenda umana come decadenza rispetto ad un tempo felice oppure come progresso rispetto ad un’epoca ferina. All’interno di questo doppio percorso abbiamo riflettuto sui concetti di lavoro, di storia e di indagine storica; nella parte conclusiva abbiamo individuato l’idea di limite (che tempera la positività del progresso) e di storia finalizzata (che dà un senso positivo anche all’oscurità della caduta iniziale): vale a dire che l’originaria distinzione in due filoni ha finito per portare ad intrecci nuovi. Come già era avvenuto con la mostra del 2002 Cercandolo come a tentoni e con la preparazione della perfomance sulla felicità nel mondo romano lo scorso anno, l’esito finale, pur importante, è stato secondario rispetto alla modalità del lavoro preparatorio: persone di diversa formazione e professione (docenti universitari e liceali, studenti) si sono coinvolti in un lavoro alla pari, mettendo in gioco idee, testi e immaginicon ogni disponibilità a rinunciare a qualche cosa ritenuta irrinunciabile (il gioco di parole è voluto) per il giudizio comune. Anche la strutturazione della mostra, curata da un gruppo di studenti di architettura, ha inserito nel lavoro nuove persone, nuove idee, un nuovo modo di vedere.
Crediamo che non sia poco. Siamo reduci da un anno scolastico o accademico in cui per molti di noi la maggiore fatica è stata la difficoltà di convivenza fra colleghi, la ricerca di una cooperazione non ostile. L’idea che sia ancora possibile dare del tempo (gratuito) per lavorare insieme ad un’opera, per una ricerca di verità e di bellezza, lascia aperte delle speranze nei confronti della cultura e della scuola. Del resto tutto il lavoro che da anni, ormai circa venticinque per alcuni di noi, ha assunto diverse forme (la rivista anzitutto, il sito, e inoltre convegni, corsi di formazione, interventi editoriali di vario tipo), ha avuto queste idee di fondo: diffondere a vasto raggio un giudizio sul mondo antico e dare la possibilità di esprimersi a quanti accettano di coinvolgersi e mettersi in gioco. Avviene anche che la consonanza con il nostro lavoro susciti ampliamenti e approfondimenti: in questo numero il tema del tempo e quello della felicità sono fecondamente ripresi e rilanciati, così come il topos del notturno: segno che la rivista crea un dialogo a distanza, una sorta di percorso sempre rinnovato.
Guardandoci intorno non abbiamo molti motivi di essere ottimisti. La maturità di quest’anno, se ha visto qualche elemento di positività (temi interessanti, un greco accessibile: scelte, cioè, non del tutto casuali), ha anche reso sempre più palese come la parte iniziale del colloquio – chiamiamolo percorso, chiamiamolo tesina – stia perdendo l’originaria fisionomia di un centro d’interesse da cui si dipartono collegamenti per assumere o quella di una ricerchina su un argomento extra o quella di un’idea sfiziosa con vaghi legami culturali (non è necessario pensare alla danza del ventre pubblicizzata dai massmedia, bastano tanti esempi in ogni classe). Del resto l’esame coi propri docenti comporta o l’inutile esposizione di tesine già preventivamente concordate con gli stessi o una ricerca di originalità a tutti i costi: sempre che non si ricorra a lavori riciclati da varie fonti. Già molte volte abbiamo affrontato questa questione: ora abbiamo l’impressione che si sia giunti al capolinea. Salvo che si voglia riprenderla in mano energicamente, ribadendo che ciò che conta è la ricerca di un’idea portante, che giudichi e unifichi la varietà del reale, di quella parte oggetto di studio a scuola come delle esperienze che i ragazzi vivono in proprio.
Per il resto, che dire? La riforma resta nebulosa e iniziatica. L’Europa ha perso definitivamente i suoi legami con la realtà che l’ha costituita. Su quest’ultimo punto rinviamo ai materiali di giudizio raccolti sul nostro sito.