a cura della Redazione
Per molti di noi l’esperienza della scuola e soprattutto degli esami di maturità ha messo in luce un fatto rilevante: l’insegnante di materie classiche ha una capacità e una preparazione che gli permettono di operare in prospettiva diacronica, di muoversi nel tempo (e anche nello spazio, in diverse culture sincroniche). L’apertura, la possibilità di cogliere nessi, di creare raffronti, di vedere analogie, archetipi, riprese creative non sono altrettanto frequenti (non vogliamo essere offensivi) in altri settori del sapere e della didattica. Non a caso la maggior parte dei maturandi, dopo essere partiti da spunti attraenti offerti dall’italiano o dalla filosofia (le materie privilegiate nei percorsi), si rivolgono al docente di latino e greco per dare ai percorsi profondità e spessore: e il docente, partendo da un argomento che non ha scelto, è in genere in grado di suggerire nel programma dell’anno o del triennio agganci interessanti. Quali possono essere i motivi di questa situazione?
Un primo motivo è il fatto che il docente di latino e greco è in genere abituato a considerare anche le lingue nella loro dimensione storica, perché ha a che fare con testi distribuiti in un arco di più di un millennio, con mutamenti anche rilevanti sia morfologici, sia sintattici sia lessicali. È perciò in grado di cogliere lo spessore storico anche in altre realtà linguistiche. Facciamo un esempio: tutti i manuali d’inglese di nostra conoscenza (e anche gli insegnanti a cui ci siamo rivolti) dicono che l’idea di possesso può essere espressa col verbo to have da solo, oppure accompagnato da got (definito talvolta come particella); dicono inoltre che la presenza di got elimina l’uso dell’ausiliare fo do nelle forme interrogative e negative. Ma che cos’è got? c’entra (questo almeno lo dice il dizionario, ma solo il dizionario) col verbo to get / got / got? e perché rifiuta l’ausiliare? non si spiega, è un fatto sincronico senza motivazione. Sarebbe assai semplice dire che I have got è forma composta del verbo to get, non del verbo to have, e che non vuole l’ausiliare to do perché in questo costrutto have è ausiliare: il grecista (anche lo studente di greco, se indirizzato) coglie con interesse l’analogia che c’è fra la coppia I get (io ottengo)/ I have got (io possiedo) e la coppia aspettuale greca ktàomai (presente, io ottengo) / kéktemai (perfetto, io possiedo), oltre naturalmente alla differenza apofonica fra get e got.
Un secondo motivo è dato dall’interesse per la storia antica come radice e causa del nostro presente; anzi, dall’ interesse in genere per la storia, grazie alla folta presenza di storiografi nelle due letterature e nelle letture previste dai programmi. I motivi dell’indagine e dell’esposizione storica, che vanno dall’esigenza erodotea di conservare tutto ciò che è umano alle diverse varianti dell’utilità della conoscenza del passato, la ricerca del metodo, la dottrina delle cause, la professione di imparzialità, la critica ai metodi e alle posizioni altrui ci sono costantemente presenti. Anche chi di noi non insegna
storia conosce inevitabilmente (pena l’impossibilità di collocare fatti, personaggi, istituzioni dei testi e delle versioni) la trama di cause ed effetti che costituisce la storia antica e, seppure per sommi capi, ciò che ne è seguìto. Per questo la riforma dei programmi del biennio ha certo preoccupato per la riduzione di tempo inferta alla storia greco/romana, ma non ha turbato più che tanto per l’ampliamento cronologico. È invece esperienza recente la conversazione con un candidato al concorso di storia, insegnante al triennio, che chiedeva consigli per gli argomenti di storia antica (aveva passato lo scritto e avrebbe passato molto bene anche l’orale): ignorava totalmente fatti, collocazione cronologica anche vaga, protagonisti fondamentali, aspetti strutturali della nascita dell’impero, argomento scelto da lui per la storia romana e di importanza essenziale per tutta la storia successiva, ben oltre i limiti dell’evo antico.
Ma soprattutto l’insegnante di latino e greco ha costantemente presente, nel suo lavoro d’analisi anche minuto, una visione sintetica: ha presente una serie di tematiche, problematiche, figure, immagini tradizionali, generi letterari, fatti linguistici che si ritrovano e si rinnovano nel corso dei secoli nelle due letterature, tanto che un raffronto, un legame, è sempre possibile ed emozionante; e si spinge spesso al raffronto con altre culture, lontane nel tempo o nello spazio o nella posizione ideale, come molti interventi di questo numero della rivista propongono. Non è tanto un merito il nostro, quanto un privilegio: ci occupiamo di civiltà ricche e profonde, che hanno proposto con serietà tutte le domande fondamentali, che hanno saputo attingere da altre culture conservando un’ impronta propria, che si sono potute esportare perché rispondevano agli interessi e alle esigenze più diverse, che hanno una creatività ancora inesausta.
Quanto si è detto è forse un po’ utopistico. Ma sicuramente la possibilità e gli strumenti ci sono dati, se non siamo noi stessi a ridurli. È anche importante ripeterei queste certezze: tale è lo scopo della nostra rivista, dei nostri convegni e degli altri mezzi di comunicazione, come il sito Internet che abbiamo di recente realizzato.