a cura della Redazione
Al momento in cui scriviamo molti problemi sono stati letteralmente rovesciati sul tappeto della scuola: oltre alla riforma del programma di storia, di cui si è già parlato in altra occasione e che comunque riprendiamo in alcune rubriche di questo numero, è in corso la discussione sugli esami di maturità, sulla parità scuola pubblica/scuola privata, sui debiti e crediti formativi; soprattutto sulla revisione dell’intero sistema scolastico e universitario. Siamo molto preoccupati come docenti di scuola e di università, della scuola di stato e di quella libera, ma anche come genitori e come cittadini di una società il cui futuro è in gioco. Ci interessa la libertà di educazione e di insegnamento, la possibilità per tutti di fruire delle strutture e dei metodi educativi desiderati; ci interessano la serietà d’impostazione, la ricchezza dei contenuti, l’educazione alla responsabilità; ci interessa il permanere della memoria storica, degli uomini e degli eventi che hanno contribuito a formare la nostra civiltà; il permanere della zetesis antica e della bellezza della parola poetica.
Abbiamo preso posizione su molti dei punti in questione in diverse sedi, come accenniamo nelle pagine seguenti. Qui invece ci preme ancora una volta affrontare un discorso in positivo. Siamo convinti che il cambiamento di strutture e le dichiarazioni d’intenti che l’accompagnano, pur incidendo pesantemente, non possono eliminare una limpida e decisa coscienza educativa e culturale. È luogo comune abusato dire che la scuola è fatta dagli insegnanti, ma resta pur sempre vero: solo però se si riesce a conservare una motivazione indipendente dal rimpianto, dal confuso e contraddittorio orizzonte attuale e dalle fosche previsioni (così come dalle illusioni che il cambiamento sarà per il meglio: va detto anche questo, per quei lettori che la pensassero così). La nostra motivazione nasce dalla fede, dal desiderio del bene dei ragazzi e dalla passione per ciò che insegnamo: occorre tutelarla dal rischio del disamore.
Intanto osserviamo con prudente attenzione le sperimentazioni del Progetto 2002, in corso d’attuazione in diversi bienni di scuole superiori. Va detto che il fatto di sperimentare la riforma a partire dai bienni (cioè dal centro), se appare piuttosto strampalato in linea di principio, suggerisce d’altro canto un cauto ottimismo. Ritorna dalla finestra, dopo essere stato clamorosamente espulso dalla porta, il biennio, su cui tanto si era discusso e lavorato: biennio che, se capiamo bene, avrà materie comuni e materie d’indirizzo, un numero di ore ragionevole e un ventaglio di indirizzi dignitoso. Se la sperimentazione servirà a inculcare l’idea che il primo triennio postelementare, il triennio d’obbligo, è effettivamente costituito da un anno di passaggio e un biennio già indirizzato, ben venga davvero. Resta da capire perché debba essere affrontato con un anno d’anticipo (e con la sostanziale cancellazione della scuola media: non l’amiamo molto, ma la cura è stata decisamente drastica).