da Zetesis 1998-1
1. Caratteristiche della didattica breve
Di DIDATTICA BREVE si parla già da diversi anni tra gli studiosi di alcuni IRRSAE, in particolare in Emilia Romagna, per indicare inizialmente una didattica rispondente a esigenze di aggiornamento rapido degli insegnanti, e in seguito una metodica applicata all’insegnamento. Originariamente riferita all’ambito scientifico e tecnologico, oggi essa trova applicazione anche nelle discipline umanistiche, e vi è stata una certa ricchezza di studi e di proposte nell’ambito delle lettere classiche.
Di che cosa si tratta, in sintesi ?
La definizione fornita da uno dei più impegnati studiosi di D. B., il professor Filippo Ciampolini dell’Università di Bologna, è questa: “L’insieme delle metodologie di insegnamento, vecchie e nuove, che a parità di rigore scientifico e di contenuti si pongono anche l’obiettivo di una significativa riduzione dei tempi di insegnamento”. La riduzione si considera significativa già a partire dal 30-40 %, ma tocca punte anche superiori al 50 %.
La brevità, pur essendo obiettivo desiderabile in un contesto in cui i tempi di studio, di ricerca e di comunicazione sono tutti vertiginosamente abbreviati (si pensi alla necessità dell’aggiornamento continuo per le discipline scientifiche o ai tempi di studio del latino al ginnasio, ma anche ai recuperi scolastici, ai raccordi tra medie e superiori, tra biennio e triennio, tra indirizzi diversi …), non è tuttavia da solo il punto qualificante. La brevità infatti è il risultato di una chiarificazione e razionalizzazione del sapere, di una “pulizia” dei ragionamenti e semplicità di concetti, cui si arriva solo con un sistematico rigore concettuale. La D. B. parte dal presupposto che oggi si insegna a lungo perché non si è adoperato tempo per pensare al “come”, e che un impegno anche faticoso e non certo breve per “distillare” la materia porta a maggiore chiarezza dei nessi disciplinari ed interdisciplinari, alla costruzione di un sapere strutturato, ed in conseguenza ad uno studio più rapido.
Si vede dunque che alla base di questo metodo non vi è l’uso delle forbici, la compressione dei tempi o la banalizzazione, bensì uno studio serio della disciplina, una vera e propria ricerca sui nodi concettuali che vanno smontati e rimontati diversamente, a partire dalla loro valenza formativa. Il che è già di per sé un contributo degno di nota, se si pensa quanto spesso oggi le discipline siano viste come un insieme di contenuti da ripetere più che da acquisire in modo significativo; è importante che la riforma della scuola parta anche dallo specifico disciplinare.
Il lavoro di ricerca della “distillazione” (termine tecnico con cui vengono indicati vari strumenti di cui la D. B. si serve, e di cui esiste già una casistica sperimentata e applicabile) dovrebbe essere affidato soprattutto alla professionalità dei docenti, preferibilmente all’interno dei consigli di classe, con un rigoroso sforzo di studio. Ripensando lo statuto logico e le esigenze tecniche delle discipline, la D. B. valorizza il contributo diretto dei docenti che possono autonomamente ricercarne gli strumenti: uno schema a blocchi, un indice analitico che evidenzi la struttura portante, una griglia di errori, un diagramma di flusso, l’uso del computer per differenziare graficamente un testo, ma già la sottolineature delle parole chiave o dei nessi sintattico logici: tutto quello (vecchio e nuovo appunto) che si rivela utile allo scopo viene chiamato “distillazione”.
La D. B. si propone di ottenere una maggiore efficacia dello studio, anche attraverso il fatto di poter individuare diverse operazioni che conducono al possesso della materia: per esempio dare definizioni, formulare ipotesi, dimostrare, aggiungere corollari, porre problemi, sviluppare esempi o calcoli o altro, fornire indicazioni di metodo, interpretare etc. E’ importante questa differenziazione per un apprendimento consapevole e per una focalizzazione dei ragionamenti specifici, come richiedono approfondimento e memorizzazione non meccanica. Non è peraltro scontato che un insegnante sia lui stesso consapevole della diversità di operazioni richieste dalla sua materia, semplificate a volte in una conoscenza più o meno completa e in una esposizione più o meno articolata dei contenuti. Già questo aspetto richiede una seria ricerca metodologica.
Fa poi parte della D. B. la ricerca di strumenti che supportino la lezione frontale, come per es. lo studio guidato, o che integrino la interrogazione tradizionale, come la cosiddetta “valutazione continua”; inoltre il ricorso a mezzi operativi come il “foglio di appoggio”, da usare durante le spiegazioni alla classe. Questo foglio, sotto forma di lucido proiettato o di fotocopia distribuita agli studenti per essere poi archiviata, permette di seguire la spiegazione cogliendone la logica, visualizzando la pertinenza e la consequenzialità delle idee proposte, consente la presentazione sia di una rete che leghi concetti di materie diverse, sia di raffronti, sintesi, percorsi. Serve poi per altri scopi, come il chiarimento dei termini specifici che saranno usati durante la spiegazione, la esposizione unitaria di un fenomeno complesso che viene svolto in più lezioni o della evoluzione di un processo, tutto ciò che contribuisce alla creazione di un sapere articolato e flessibile.
Di un certo interesse la gestione dell’errore come risorsa: una griglia di errori di diversa natura e gravità appositamente preparata e consegnata ad ogni alunno, da lui compilata ogni volta che riceve un compito corretto, gli consente di recuperare “in tempo reale” le incertezze e le lacune che si ripresentano costantemente. L’uso di questa griglia, che nell’ottica della D.B. favorisce la consapevolezza, ha il merito di venire incontro all’esigenza di trasparenza nella valutazione e di autovalutazione, può servire come strumento per uno “sportello” individualizzato e per il recupero.
Potrà essere interessante l’applicazione della D.B. ai corsi di recupero, specialmente trasversali: si tratta di usare le discipline non solo per i loro contenuti, come avviene nei “corsi di recupero” (definiti dal Ciampolini “una maxi-ripetizione nazionale”), ma per il sempre annoso problema del “metodo di studio”: anche qui vi sono diverse esperienze attuate sperimentalmente, come il “modello Salerno” e il “modello G. Fontana” (1).
2. La didattica breve del latino
Gli studi sulla D.B. del latino sono piuttosto numerosi, soprattutto opera dei ricercatori dell’IRRSAE di Emilia Romagna, Umbria, Campania, Liguria e Puglia (2), diffusi fra gli insegnanti da corsi di aggiornamento, per esempio, da me seguiti, a Milano nel febbraio-marzo 1996 (3), e recentemente nel marzo 1998. Il più recente materiale per l’applicazione della D.B. al latino si trova in un nuovo volume dell’IRRSAE E.R. sempre a cura di F. piazzi, Materiali 4 – latino, uscito nel 1997. Gli spunti che il testo fornisce sono molteplici: dagli aspetti motivazionali alla selezione delle strutture grammaticali e del lessico necessari alla comprensione, dalla scelta del modello grammaticale alla transdisciplinarietà con lo studio delle lingue, dalla “abilità” della traduzione all’approccio alla letteratura antica, e altro. Contiene in appendice anche una serie di “pacchetti formativi” per aggiornamenti e consulenze ad insegnanti di materie umanistiche, costituiti da un catalogo di 138 titoli fra libri, articoli, fotocopie, ipertesti e videocassette, che si possono richiedere tramite l’IRRSAE della propria regione all’istituto dell’Emilia Romagna (vedi n. 1).
Se si considera che l’insegnamento del latino, da che la produzione in latino ha cessato di esserne il centro, ha rinnovato i suoi obiettivi insistendo soprattutto sulla centralità del testo, ma non ha modificato il modello grammaticale cui fare riferimento; se si aggiunge a ciò che l’età in cui si inizia a studiarlo non è più la preadolescenza, ma un’età in cui le categorie del pensiero sono molto più evolute; e infine preso atto che il tempo disponibile è molto minore che in passato, allora si vede anche l’urgenza di ripensare ciò che è davvero essenziale insegnare e il modo, l’ordine, le priorità, per il latino più che per altre materie.
Molte critiche vengono mosse all’insegnamento tradizionale: l’analisi logica per esempio, ideale in uno studio prescrittivo, è dispendiosa se l’obiettivo è la comprensione e inoltre favorisce la frammentazione del testo invece che il riconoscimento delle relazioni profonde tra le parole, sottovaluta l’analisi dei legami testuali e dell’ordine delle parole; la disposizione “sistematica” di fonologia morfologia e sintassi, che pare funzionale allo studio più di una grammatica che di una cultura espressasi in testi scritti, trascura il forte legame fra i sintagmi, sposta nel tempo l’incontro con strutture vive a favore di una arbitraria semplificazione; lo studio della morfologia non porta alla individuazione di categorie generali ma alla somma di particolari che si moltiplicano all’infinito (per questo la terza declinazione diventa più difficile di quel che è, o la sintassi dei casi occupa un posto tanto ingombrante)(4). Insomma: non tutto quello che per decenni si è insegnato serve veramente allo scopo.
Così nasce il tentativo di rivedere molti particolari, ma anche l’insieme. Alcuni partono dal modello grammaticale funzionalista, soprattutto da Martinet, Happ e Tesnière (5), in particolare la teoria della verbodipendenza, per giungere ad un approccio integrato alla morfosintassi.
Io stessa, con una ricerca iniziata nel 1983, quando ero reduce dalla preparazione degli esami di abilitazione, e in seguito confortata dai contributi della D.B., avevo incontrato teorie linguistiche e pratiche didattiche basate su modelli grammaticali nuovi, in quegli anni largamente diffusi da una serie di manuali innovativi benché non sempre utilizzabili nella didattica (6). Veniva comunque superata la definizione “filosofica” delle categorie grammaticali e i verbi transitivi e intransitivi erano individuati mediante l’idea della valenza verbale (concetti su cui ho svolto con successo il tema di abilitazione!). La frase infatti si organizza attorno alla semantica del verbo, il quale lascia prevedere i complementi che derivano dal senso (qualcuno vede qualcun altro, qualcuno dà qualcosa a qualcun altro, qualcuno si reca in un luogo, proviene da un luogo, colpisce qualcun altro con qualcosa, si adira per qualcosa): da qui la prima distinzione fra complementi previsti dal verbo (benché non necessariamente presenti in ogni frase) e complementi che indicano circostanze (quando, in che modo, con chi). Questa distinzione, codificata dallo Happ ma non condivisa da tutti gli studiosi, è utile nella pratica per individuare nel testo le parti prevedibili. Ovvio che tale possibilità di prevedere deve essere sempre integrata dall’osservazione che da una lingua all’altra i costrutti dei verbi possano essere diversi: la sintassi dei casi può in parte essere inserita in questa logica (verbi con costrutto diverso dall’italiano). La prevedibilità dei legami sintattici è presente anche in altri costrutti, per esempio del genitivo oggettivo (memoria tui) o del genitivo del gerundio (ars vivendi).
A mio parere la intenzione pur comprensibile da parte degli studiosi di D.B. di classificare i tipi di verbi secondo un modello definito in base alle valenze porta a imprecisioni e incertezze (come per es. l’accorpamento tra transitivi con il complemento oggetto e transitivi con il complemento di luogo ma in realtà intransitivi) specialmente se trasferite nelle menti di alunni che ancora studiano una grammatica per lo più tradizionale (7); mentre a livello didattico si rivela un metodo semplice e gratificante quello di partire dal verbo alla precisa ricerca di quello che probabilmente si troverà. Abolito il dubbio “potrebbe essere dativo o ablativo”, che la maggior parte delle volte non si pone (oppresso da, colpito con, gioire di sono diversi da consegnare a, annunciare a, con gli analoghi casi di aggettivi dotati delle stesse capacità di far prevedere, come simile a e altri); così per altre desinenze “dubbie”. Dalla macro-idea della verbodipendenza, che dà l’abitudine al controllo dei costrutti sul vocabolario, si può in parte derivare la sintassi, sulla base che il complemento sia invece rappresentato da una completiva, stabilendo una continuità naturale nella programmazione.
Un’altra pista utile per una didattica efficace è analizzare i caratteri di testualità anche attraverso la cosiddetta analisi previsionale: le parole sono disposte secondo una fitta trama di nessi, riconoscere i quali aiuta a mettere ordine, in modo ben più sistematico e spendibile che non appellandosi semplicemente al contesto (8). Si tratta di un’operazione che io chiamo sintagmazione o “righettatura”: vanno immediatamente visualizzati i rapporti fra attributi e nomi, fra preposizioni e nomi, fra genitivi e nomi; vanno riconosciute le coppie legate da et (che possono essere nomi, aggettivi, proposizioni, complementi senza ripetizione della preposizione, predicati senza ripetizione della congiunzione); importante capire le funzioni che può assumere la virgola, che è sempre un segnale utile (separa apposizioni, vocazioni, subordinate, oppone per asindeto, segnala sintagmi simmetrici come non solum … sed etiam, primum … deinde e altri)(9). La linguistica testuale sottolinea l’importanza di seguire la logica del testo basandosi sui segnali (congiunzioni, segnali di scansione, avverbi), che ciascuno studente dovrebbe conoscere a memoria per essere facilitato quando analizza complessivamente il testo (10). Il metodo indicato dà ragione anche della posizione delle parole nella frase latina, per esempio la interposizione a cuneo del genitivo tra nome e attributo o tra preposizione e nome, della preposizione cum all’interno del complemento di modo, di proposizioni entro altre (usando in classe il computer si possono visualizzare questi fenomeni mediante i colori, nei lucidi con le parentesi tonde e quadre), forme a cerchi concentrici tipiche del latino classico. Il predicato nominale, apparentemente facile, per es. magna (poetarum fama) est, viene spesso erroneamente tradotto “la grande fama è dei poeti” per carenza nella sintagmazione.
Un’osservazione recente mi ha convinto che il vocabolario confonde gli studenti più di quanto non li aiuti, indirizzandoli su significati etimologici o figurati o rari. Per questo ritengo che, armati di strumenti come la verbodipendenza e la sintagmazione, quindi con una idea ben precisa di come il testo si articola, lo studente possa stendere a prima vista una traduzione “di lavoro” o ipotesi, addirittura inventando secondo le regole della logica le parole che non capisce: può chiedersi che parte del discorso è richiesta in quel punto, quale derivazione etimologica esiste in italiano, cosa richiede il contesto (anche i Puffi usano il verbo puffare e tutti capiscono: si può provare a sostituire la parola mancante con puffo!): solo in seguito il vocabolario, usato per verificare delle ipotesi ragionevoli e meditate, darà la conferma o rilancerà una nuova ipotesi (11). Partendo da ciò che si capisce e isolando ciò che è ignoto, psicologicamente e metodologicamente si ottiene maggiore risultato.
Uno dei traguardi di una educazione alla traduzione è di fornire un metodo che la trasformi da terno al lotto a lavoro sistematico per il quale si è preparati: non sempre si può azzeccare la giornata o la versione, mentre si deve sapere cosa fare di fronte alle difficoltà. La traduzione, come ha scritto una volta D. Antiseri, è l’unico vero esperimento scientifico cui lo studente si avvicina, richiede ragionamento ipotetico, verifica, cambiamento dell’ipotesi iniziale; insegna a risolvere un problema (la versione vuole sempre dire qualcosa anche se può sembrare un errore di stampa continuato) e a non farsi prendere dal panico, perché si hanno certamente gli “attrezzi”, altro concetto caro alla D.B., per risolverlo: la morfologia e la sintassi studiate, la logica, le conoscenze di varia cultura, l’italiano.
Sul versante dello studio della lingua, poi, molto è stato fatto per razionalizzare i molteplici particolari in cui attualmente la grammatica è frammentata. Analizzando le macro logiche nella sintassi dei casi e nella classificazione delle subordinate, è stato messo a punto un modello economico, che si presta anche ad essere un “archivio di classe” utile per il ripasso “regressivo”, nella logica degli strumenti operativi della D.B.. Concretamente infatti le funzioni vengono raggruppate secondo ordinatori e visualizzate in una serie di tabelle da compilarsi a cura dello studente mano a mano che lo studio dei casi e delle subordinate procede. Da una quantità di complementi da distinguere si passa ad un numero limitato di funzioni da riconoscere all’interno dei quali collocare le varietà (12).
A mio parere lo studio delle cinque declinazioni può essere a sua volta alleggerito fondandosi sulle vocali tematiche e sulle costanti (l’ablativo singolare in vocale, l’accusativo singolare in –m e il plurale in –s, la ricorrenza dativo-ablativo, …). Così nei pronomi, in cui le terminazioni -id- -ius -i si innestano su una struttura quasi sempre del tutto prevedibile di aggettivo; per non parlare dei verbi in cui la terminazione della persona facilita la conoscenza dei tempi e dei suffissi temporali; la nozione di infectum e perfectum evita di memorizzare i quattro casi possibili del cum narrativo sulla constatazione che sicuramente i congiuntivi del perfectum saranno in italiano un gerundio composto, poi rielaborabile in modo finito. Non bisogna studiare ciò che si sa già.
Un contributo interessante della D.B. è l’ipotesi di uno studio del lessico latino, non in funzione ovviamente della pratica attiva della lingua come nelle lingue moderne, ma di una comprensione più immediata dei testi: questa ipotesi si basa sul risultato di una ricerca dell’Università di Liegi sulle parole che nel corpo della letteratura latina si presentano con maggiore frequenza, anche attraverso lo studio dei derivati per suffissazione e delle famiglie di parole; da questi studi è stato tratto un Dictionnaire fréquentiel de la langue latine, pubblicato a Liegi nel 1981, seguito da altri studi analoghi e da manuali (13). Viene potenziata la possibilità della centralità del testo e di una comprensione che, evitando dispersioni sulle singole parole, è centrata sulle strutture significative del testo; in più questo studio consente una più razionale utilizzazione del vocabolario, lo studio contrastivo del lessico italiano e delle lingue europee, la possibilità di assegnare versioni circoscrivendole ad un determinato campo semantico, lo studio stilistico del lessico di un autore, e altre applicazioni.
Note
[1] Per questi ultimi modelli e per tutta la sintesi presentata in questa prima parte v. Un percorso di “Didattica Breve” verso la qualità nel recupero scolastico e nella ricerca metodologica disciplinare, cur. S. Contadini, IRRSAE Emilia Romagna, Jesi novembre 1996; Didattica breve – materiali 2. Recupero e altro, cur. F. Piazzi, IRRSAE E.R., Bologna 1996. Si può accedere a questa e all’altra documentazione dell’Emilia Romagna al sito Internet http://arci01.bo.cnr.it/irrsaeer.
[2] È uscito già nel 1993 il volume a cura di F. Piazzi, La didattica breve del latino, Cappelli, Bologna, e, curato dallo stesso, L’insegnamento del latino. Stato dell’arte, IRRSAE E.R. 1994 e 1998. Per altri IRRSAE sono usciti AA.VV., Per il latino: obiettivi e metodi nuovi, cur. Santucci, Perugia 1990; Didattica delle lingue classiche, Perugia 1991; Didattica Breve: materiali ed esperienze,cur. C. Raia, Napoli 1996. Informativi gli articoli di A. Cova, Didattica breve e grammatica latina, I e II, in “Nuova Secondaria” 9 (1995), 69-71 e 10 (1995), 75-77.
[3] Una sintesi di alcuni contenuti di quel corso, con ampia bibliografia sulla didattica del latino, è presentata da N. Flocchini, dell’IRRSAE Lombardia, nella Guida per l’insegnante che accompagna il suo nuovo Il latino di base, appena uscito per la Bompiani. In chiusura vi è un interessante capitolo su “Didattica del latino e nuove tecnologia”, che segnala vari indirizzi Internet, in particolare lo sterminato e continuamente aggiornato motore http://www.economia.unibo.it/dipartim/stoant/rassegna1/intro.htlm.
[4] Alcuni esempi forniti da M. Monti e A. Tugnoli in Materiali 4, 11-30: che i genitivi della terza finiscano in –um o –ium non rileva per lo studente, che trova la “decisione già presa” dal testo; altri casi roboris considerato genitivo di vis, il complicato meccanismo di oggetto italiano che diventa soggetto in latino nella perifrastica passiva, la cosiddetta costruzione impersonale di videor (v. ivi, nota 2 p. 14).
[5] A. Martinet, Elementi di linguistica generale, trad. it. Bari 1977; H. Happ, Grundfragen einer Dependenz-Gramatik des Lateinischen, Gottingen 1976; L. Tesnière, Éléments de syntaxe structurale, Paris 1969 2a ed. Dei testi di Happ e Tesnière esiste anche un riassunto in forma di schema prodotto dall’IRRSAE E.R. Non volendo risalire alle fonti si può vedere E. Andreoni Fontecedro, Il modello Tesnière-Sabatini e la sua applicazione al latino, in “Atene e Roma” N.S. 31(1986), 49-60; Id., Progetto sequenziale per l’insegnamento della morfologia e della sintassi latina nel biennio secondo il modello Tesnière-Sabatini, in “Aufidus” 5 (1988), 85 ss.; Id., Dalla competenza frasale alla competenza testuale per la traduzione dal latino. La fase della comprensione, in “Aufidus” 8 (1989), 77-94. Inoltre AA.VV. La sfida linguistica. Lingue classiche e modelli grammaticali, cur. G. Proverbio, Rosenberg & Sellier, Torino 1979;G. Proverbio, Lingue classiche alla prova. Note storiche e teoriche per una didattica, Pàtron Bologna 1981; R. Oniga, Grammatica generativa e insegnamento del latino, in “Aufidus” 14 (1991), 83-110.
[6] Fra tutti mi era parso interessante il manuale di italiano di F. Vanoye, Usi della lingua, SEI Torino 1982 (ma edito in francese nel 1973), edizione curata da G.Proverbio in seguito autore di importanti contributi sulla didattica del latino.
[7] Si veda per es. il primo art. citato della Andreoni Fontecedro, p. 53, che riprende la classificazione da F. Sabatini, La comunicazione e gli usi della lingua, Torino 1984, 298, relativa però all’italiano.
[8] Hanno usato per primi questo metodo P. Crouzet – G. Berthet, Nouvelle méthode latine et exercices illustrés. Lexiques et vocabulaires spéciaux, Tolosa, ed. Privat, 1951, pp. XXIV-392, citato in Lexis,1, 347 (v. n. 13).
[9] Che io sappia l’unico testo che proponga un simile metodo è la raccolta di versioni di L. Griffa, Comprendere e tradurre, Petrini, ma solo nelle pagine iniziali dell’avviamento alla traduzione.
[10] Si veda, nella frase agricolae, populationem villarum vicorumque timentes, in urbem confugerant, oppidani vero, ut alimenta quaererent, urbe excesserant, l’importanza di vero. In certi casi, per es. per l’interpretazione di autem, la logica testuale è indispensabile.
[11] Si tratta di esercizi che è importante fare prima di tutto in italiano, perché diventino habitus mentale, anche perché la capacità di interpretazione di un testo nella propria lingua è obiettivo non scontato e può essere la base di un lavoro trasversale dell’intero consiglio di classe.
[12] Così il gruppo dei ricercatori della Lombardia, coordinato dalla prof.ssa Boirivant. Il frutto di queste ricerche, completo delle tabelle, è in un fascicolo dattiloscritto dell’IRRSAE Lombardia dal titolo Didattica breve – latino. Analogamente Monti-Tugnoli in Materiali 4, 17-20.
[13] Tra l’altro G. Cauquil – J. Y. Guillaumin, Vocabulaire essentiel de latin, Paris Hachette Classiques (s.i.d. ma 1992). Sull’argomento E. Riganti, Lessico latino fondamentale, Bologna Patron 1989; AA.VV., Schede lessicali, IRRSAE Liguria 1992. E’ recentemente uscito per le edizioni Bruno Mondadori un libro di testo basato su questa ipotesi: si tratta di Lexis, di A. Diotti, che comprende oltre al manuale e agli esercizi anche una Agenda di lessico e civiltà latina, in due sezioni: una per vocaboli secondo la frequenza: sostantivi divisi per declinazioni, verbi preposizioni e congiunzioni (indispensabili in un’ottica funzionalista), la seconda per campi semantici utilizzabile come antologia di autori.