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Editoriale 1993-1

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


“Zeus, quale mai sia il tuo nome, se con questo ti piace essere chiamato, con questo ti invoco. Né certo ad altri posso pensare, nessun altro all’infuori di te riconoscere, se veramente questo peso vano dall’anima voglio scacciare…”: è difficile pensare ad un testo dell’antichità classica, ad un testo di tutti i tempi paragonabile alla parodo dell’Agamennone.

Nel pregnante linguaggio poetico di Eschilo troviamo espresse intuizioni religiose di una profondità stupefacente: l’unicità di quel Dio che ancora si chiama Zeus affermata in una preghiera che ricorda l’Antico Testamento; la punizione intesa come dono divino, come pedagogia per l’uomo; il libero arbitrio proclamato attraverso il drammatico mito della scelta in cui Agamennone si dibatte. Per molti di noi, insegnanti al triennio del classico, la lettura in classe di questo testo (seppure in traduzione, meglio se col testo a fronte) costituisce uno dei momenti fondamentali del cammino culturale ed educativo proposto ai ragazzi. Eppure la più diffusa delle antologie della letteratura greca, Scrittori di Grecia, curata da G.Rosati per l’editrice Sansoni, è uscita in una nuova edizione ampiamente reclamizzata, ampliata, comprendente testimonianze antiche e pagine critiche, il cui spazio è stato ricavato sopprimendo (senza che sia in nessun modo segnalato!) alcuni passi, fra cui, appunto, la parodo dell’Agamennone. Si tratta di una gaffe difficilmente comprensibile non diciamo in uno studioso come Rosati ( si sa purtroppo quanto conti la volontà della redazione rispetto all’autore), ma anche solo in una persona che abbia vaghi ricordi scolastici: Eschilo è inevitabilmente associato al páthei máthos.
Ma non è solo una gaffe. Da alcuni anni andiamo rilevando sulla rivista, soprattutto nella rubrica Recensioni che è il nostro ambito più critico, la direzione verso cui muove tutta l’editoria scolastica, uscita dall’immobilismo in cui si era autocostretta nell’attesa della riforma. Sempre meno spazio, sempre meno importanza viene data alla voce degli autori, alla loro umanità, al loro sforzo di comunicare, di vivere nel nostro ricordo; i pochi testi che sopravvivono nelle antologie e nelle raccolte di classici sono sommersi in una folla di apparati d’ogni genere, in un accumulo di spiegazioni: la possibilità per l’insegnante di scegliere e per lo studente d’incontrare ‘faccia a faccia’ l’autore è sempre più ristretta. Ci diceva un rappresentante, ripetendo con orgoglio uno slogan pensato da chissà chi in redazione: “Abbiamo sostituito alla quantità la qualità”: ma la quantità riguardava i passi d’autore, la qualità (seppure è sempre qualità, cosa da dimostrarsi) riguarda l’apparato di note e appendici: dunque, come già si diceva in un precedente numero, si sta passando da testi di autori a testi sugli autori.
S’intende, quindi, come anche i libri più vecchi si siano adeguati e aggiornati, inserendo quel qualche cosa di più che attira le adozioni. Possiamo anche capire che abbiano sacrificato alcune pagine per far spazio alle nuove rubriche, benchè non sia accettabile la scorrettezza di non segnalare i tagli fatti. Ma la soppressione proprio della parodo dell’Agamennone fra i non molti altri passi eliminati (e per lo meno va segnalato anche il discorso tripolitico di Erodoto: la prima riflessione politica della letteratura occidentale, la prima individuazione delle possibili forme di governo) intimorisce: è il segno di un’incuria, di un procedere grossolano, a casaccio; di un’incultura presuntuosa; o forse di una volontaria censura?

Chi lavora nell’editoria sa come è difficile andare contro corrente, scontrandosi con le leggi di mercato e gli schemi redazionali; è inoltre evidente l’interazione fra editrici e insegnanti, per cui la responsabilità dei libri di testo attuali è in gran parte nostra. Occorre pertanto essere vigilanti, sia nel rapporto con gli editori, per chi ha la possibilità di intervenire operativamente, sia nei colloqui coi rappresentanti, che sono un’importante cassa di risonanza, sia nelle adozioni, sia nell’uso dei testi: riprendiamoci la nostra originalità.