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Editoriale 1992-2

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Da tempo andiamo considerando con meraviglia la vastità di accezioni che assume, nel parlare di genitori, studenti e colleghi, l’espressione “è un bravo insegnante”. La fine della contestazione sembra aver portato come frutto la stima accordata in modo incondizionato (nonostante qualche brontolio dovuto alla fatica e allo stress) a una vasta parte del corpo insegnante. Limitandoci ai soli insegnanti di materie classiche, citiamo una serie di esempi, tutti rigorosamente autentici.

1. Una studentessa arriva in terza liceo classico da un’altra scuola, in seguito a trasloco; dopo qualche tempo confessa con qualche perplessità alla nuova insegnante che non ha mai sentito parlare né di differenze testuali, né dell’esistenza di diversi dialetti in greco, né di problematiche inerenti agli dei o al destino; eppure aveva avuto “un bravo insegnante, che sapeva molte cose” (si precisa che la studentessa non era responsabile della sua ignoranza, tant’è vero che ha recuperato con qualche fatica, ha portato greco all’esame ed è uscita dignitosamente);

2. una classe porta quasi per intero greco alla maturità, segno di una valutazione positiva sulla preparazione ricevuta: in realtà risulta che l’insegnante non ha mai letto in classe alcun passo antologico ed ha imposto agli studenti (colpevolmente ingenui) di firmare un programma comprendente un lungo elenco di brani antologici;

3. un’insegnante è solita assegnare ai ragazzi per casa tutti i testi d’autore: in classe si limita a interrogare a tappeto; talvolta, finito un autore, fa leggere un testo critico su di esso, con relativa verifica. Genitori peraltro colti e informati mostrano vivo apprezzamento perché i ragazzi traducono molto, si esercitano per lo scritto, e hanno molti voti;

4. un’insegnante di terza scientifico fa consistere il lavoro su Catullo nella compilazione dei paradigmi  verbali, su cui poi fa svolgere un test grammaticale: entusiasmo dei genitori, felici che “anche allo scientifico si faccia latino seriamente”;

5. un insegnante parte dall’idea che in prima liceo classico più si seleziona meglio è: l’opinione diffusa è che si tratta di “un prof bravissimo, anche se carogna”;

6. un’insegnante segue al pomeriggio con passione la comunità cristiana della scuola, ma nelle sue classi spiega latino seguendo pedissequamente il Tantucci e riservando sprazzi di riflessione educativa alle ore d’italiano: è “brava, ma severa”;

7. un’insegnante, stimatissima da colleghi e studenti, dichiara apertamente che non fa la letteratura cristiana perché non la sa e non le interessa.

C’è da stupirsi se abbiamo l’impressione che genitori e studenti (lasciamo pure da parte i colleghi) si accontentino di poco? Se ne ricaviamo un panorama dell’insegnamento liceale ben deludente su ogni piano?

Noi ci sentiamo di proporre un altro tipo di insegnante (s’intende che non proponiamo noi stessi, ma un impegno, un obiettivo, e forse qualche modello che ci pare di avere incontrato). Affermiamo che insegnare lettere classiche vuol dire condurre i ragazzi all’incontro con l’umanità degli autori che hanno vissuto nel contesto della civiltà greca-romana-cristiana. E ci spieghiamo: condurre i ragazzi significa spiegare a loro, non abbandonarli a se stessi: perché i ragazzi da soli (cioè con le note o i traduttori) possono leggere anche molti testi, ma non comprenderli, e le letture critiche sovrapposte a testi non compresi risultano assurdamente astratte; significa guidare i ragazzi con l’obiettivo di farli arrivare, non di selezionare al più presto quelli da eliminare (soprattutto nel triennio); significa utilizzare seriamente, con competenza e accurata preparazione, tutti gli strumenti linguistici, filologici, storici, antropologici, critici necessari, pur senza rendersene schiavi. L’incontro con l’umanità degli autori deve essere sempre chiaramente l’obiettivo, e via via divenire più chiaro ed evidente man mano che si procede negli anni scolastici; non è lecito strumentalizzare un autore trasformandolo in test grammaticale fine a se stesso; tale incontro è di fondamentale importanza educativa, e richiede il coinvolgimento del ragazzo con la sua umanità, e dell’umanità dell’insegnante. Greca-romana-cristiana è la civiltà che i programmi stessi ci chiedono di affrontare, senza che sia lecito apportare alcuna censura.
Vorremmo aggiungere che una simile immagine del nostro lavoro ci pare molto più attraente, anzitutto per noi che insegnamo, della varia panoramica precedente: è un raro momento di gioia quello in cui si ha la percezione in classe di essere tutti insieme all’ascolto di un’antica voce che parla della sua zétesis o del kerygma che le è stato donato.

Abbiamo la pretesa – o la speranza – che la nostra rivista possa aiutare a tenere desto l’obiettivo e ad utilizzare nel modo più corretto possibile i vari strumenti; per questo comunque è nato e prosegue il nostro lavoro.