Il testo riproduce la comunicazione tenuta a Trento nel 1985.
Afferma Benveniste, riassumendo le conclusioni a cui perviene nella sezione dedicata al sacro del suo Vocabolario delle istituzioni indoeuropee
Lo studio della designazione del ‘sacro’ ci mette in presenza di una situazione linguistica originale: assenza di termine specifico in indoeuropeo comune da una parte, duplice designazione in molte lingue (iranico, latino, greco) dall’altra. La ricerca (…) tende a precisare la struttura di una nozione la cui espressione sembra esigere non uno, ma due segni. Lo studio di ognuna delle coppie attestate (…) ci spinge ad ammettere nella preistoria una nozione di segno duplice: positivo ‘ciò che è carico di presenza divina’ e negativo ‘ciò che è proibito al contatto con gli uomini’ (Benveniste. 1976: p. 419)
Questa duplice designazione del sacro appare secondo Benveniste in tre o forse quattro aree linguistiche (in quanto la situazione germanica è data con una certa riserva), vale a dire:
La situazione, così come descritta da Benveniste, parrebbe riflettere una specializza- zione semantica, il cui fine è quello di esplicitare con termini appropriati due idee che sempre più si presentano come distinte nella coscienza religiosa di alcune culture. Dovremmo aggiungere che queste due diverse interpretazioni del sacro non costituiscono un tratto originale della cultura indeuropea. Gli storici delle religioni ci insegnano che l’approccio col sacro è sempre duplice: alle epifanie e alle ierofanie (quei fenomeni cioè che indicano la presenza di qualcosa di diverso da ciò che rappresenta l’ordine naturale) si accompagna sempre la nozione di forza e di efficacia1, e nello stesso tempo tutti gli oggetti toccati dalla forza divina divengono temuti e per ciò stesso isolati e vietati in quanto «acquistano per rottura del livello ontologico una forza di natura più o meno incerta»2. Questi due diversi modi di considerare il sacro vengono designati rispettivamente con mana e tabu.