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Idomeneo di W.A. Mozart

by Mariapina Dragonetti

di Moreno Morani e Giulia Regoliosi


La vicenda scenica

Nell’epica omerica re di Creta è Idomeneo, nipote di Minosse e discendente quindi da Zeus, come si vanta lui stesso in uno scontro verbale con Deifobo. Benché sia più anziano degli altri combattenti, con le tempie ormai grigie, non ha un semplice ruolo di consigliere come Nestore, ma guida l’esercito proveniente dalle cento città dell’isola e la flotta di ottanta navi, uno dei più numerosi contingenti nazionali. Quando si prepara il duello fra Menelao e Paride, e Elena sulle mura indica i capi greci a Priamo, dopo Agamennone, Odisseo e Aiace Telamonio viene presentato il solo Idomeneo, su iniziativa della stessa Elena che non attende la domanda del re troiano per parlarne: è alto, simile a un dio e a lei ben noto, perché ospite caro di Menelao. Sempre lo accompagna, in un ruolo subalterno ma di responsabilità attiva, l’ardito e impetuoso Merione: e dopo l’undicesimo libro, in cui escono di scena a causa delle ferite Agamennone, Diomede e Odisseo, il compito di reggere la situazione ormai precaria riposa, oltre che sugli Aiaci (Menelao è sempre in qualche modo protetto), proprio su Idomeneo e sul gruppo di giovani di cui fa parte Merione insieme a Teucro, ai figli di Nestore e alcuni altri: sono loro gli artefici della resistenza all’assalto troiano nella lunga battaglia di un giorno che si compirà solo con l’intervento di Patroclo e la sua morte. Dopo il ritorno di Achille e la ricomparsa degli altri personaggi più di rilievo il ruolo di Idomeneo diviene minore: è fra i vecchi amici invitati da Agamennone a banchetto per consolare Achille, elencato con anziani come Nestore e il precettore Fenice; nei giochi funebri assiste soltanto, spettatore peraltro piuttosto litigioso, mentre uno dei protagonisti più attivi è Merione arditamente in gara con giovani e adulti.

Un recente allestimento scenico dell’Idomeneo (Würzburg, 2005)

Terminata la guerra di Troia, il ritorno in patria di Idomeneo viene raccontato con varianti assai diverse. Nell’Odissea il racconto del ritorno dei reduci è effettuato da Nestore a Telemaco, che si è recato a Pilo per avere notizie del padre: l’anziano amico è al corrente delle traversie solo di alcuni compagni, perché la flotta greca si è ad un certo punto divisa: fra quelli giunti sani e salvi in patria viene ricordato proprio Idomeneo, con tutte le sue navi e i suoi uomini. Ma Virgilio conosce una variante differente. Quando a Delo Anchise interpreta l’oracolo di Apollo come un invito a recarsi a Creta, patria dell’antenato Teucro, è necessario accertarsi che l’isola sia libera da nemici, e colonizzabile dunque dagli esuli troiani: importante è perciò la notizia che Idomeneo, rientrato in patria, ne è stato scacciato, lasciando disponibile la terra per uno stanziamento straniero. Virgilio non si sofferma particolarmente né sulle motivazioni della cacciata del re né sul fatto che, espulso il re, l’isola intera (cento città e una flotta di ottanta navi!) risulti disabitata: chiaramente vuole soltanto giustificare la sosta a Creta degli Eneadi. Della sorte successiva di Idomeneo si parla poco oltre, nel minuzioso programma di viaggio che Eleno preparerà per gli amici: l’esule abita nella penisola salentina, stanziatosi quindi in Italia come altri reduci greci, ad esempio Filottete; e Diomede, nel messaggio al re Latino in cui rifiuta di combattere ancora contro i Troiani e il destino, ricorda la sventura della famiglia di Idomeneo, versos penates. Il commentatore dell’Eneide, Servio, così spiega la vicenda: durante il ritorno in patria Idomeneo viene sorpreso da una tempesta e promette in voto di sacrificare la prima persona che gli venga incontro in patria; salvatosi, incontra il figlio e con grande dolore si accinge a sacrificarlo, ma il sorgere di una pestilenza lo ferma e lo spinge all’esilio. Altre fonti mitografiche riportano varianti: non incontra il figlio ma la figlia; il sacrificio si compie, ma l’esilio è voluto dal popolo indignato per la terribile azione. Altre fonti mutano del tutto la vicenda, inserendola nella saga di Nauplio, il cupo vendicatore del figlio Palamede: giunto a Creta durante la guerra di Troia, fa in modo che la moglie di Idomeneo, Meda, sia sedotta da Lico che poi la uccide spietatamente insieme con la figlia e s’impadronisce dell’isola; Idomeneo a sua volta sopraggiunge a cose fatte e deve fuggire da Creta.
E’ evidente che la prima serie di varianti, incentrate comunque sul tema della promessa al dio, appartiene ad una tipologia molto diffusa, qualificata da Aarne e Thompson come “voto del reduce” (con la sigla S 241), cui risale anche la vicenda biblica della figlia di Iefte; più in generale rientra nel tipo del sacrificio rituale di un figlio, sempre ambiguo sia nella valutazione sia nell’esito (esempi più importanti Isacco e Ifigenia). La seconda ha invece un’origine storica legata a vicende politiche e dinastiche, oltre all’aggancio un po’ marginale col più complesso mito di Palamede/Nauplio.

Il tenore Raaff che sostenne la parte di Idomeneo nella prima rappresentazione dell’opera (da una stampa dell’epoca);


Il libretto che Giambattista Varesco trasse per Mozart da quello francese di Antoine Danchet, musicato nel 1712 da André Campra, risulta una rielaborazione della variante “voto del reduce” (nota)1. Varesco trasformò il modello francese concludendolo con un lieto fine e rimaneggiò più volte il testo su richiesta di Mozart, riducendolo di molto; un ulteriore rimaneggiamento si ebbe, rispetto alla prima rappresentazione del 1781 a Monaco, nella ripresa dell’opera in forma privata a Vienna cinque anni più tardi. Ci è quindi assai difficile, come spesso avviene coi libretti d’opera, considerare una redazione come “autentica”. Ci accontentiamo quindi di considerare la trama a grandi linee.
L’influenza del teatro francese, e in genere del teatro tragico europeo del Sei-Settecento è evidentissima: sono presenti le tre componenti fondamentali, la rivalità d’amore, il contrasto amore/dovere, la questione dinastica, tanto che il nucleo drammatico centrale appare un po’ appannato. A Creta vivono il principe Idamante, figlio di Idomeneo, l’argiva Elettra esule dalla patria dopo il matricidio compiuto da Oreste e, in un folto gruppo di prigionieri troiani, Ilia, figlia di Priamo. Ilia è innamorata di Idamante ma teme che l’amato voglia sposare Elettra, principessa della sua stirpe; inoltre è lacerata dal timore di tradire il ricordo dei suoi unendosi ad un nemico. Anche Elettra, personaggio fosco e vendicativo, è innamorata di Idamante, tanto da reagire con violenza quando apprende che il principe ha deciso di por fine alle inimicizie e liberare tutti i prigionieri. In realtà Idamante ama Ilia, e le si dichiara non riuscendo però a vincerne gli scrupoli patriottici. La falsa notizia della morte in un naufragio di Idomeneo spinge Idamante alla riva del mare: qui lo incontra Idomeneo, che si è salvato dopo aver fatto la nota promessa a Nettuno. I due non si riconoscono: Idomeneo è solo pietosamente rattristato all’idea di dover uccidere il giovane, per cui prova un’istintiva simpatia. Quando però avviene il riconoscimento è preso da disperazione. Incontrando Ilia, le riconferma la liberazione promessa da Idamante, ma è anche offeso dall’evidente legame d’amore che c’è fra lei e il figlio, tanto da convincersi che vada punito come colpa e giustifichi quindi il sacrificio. Tuttavia, con un rapido cambiamento, decide di lasciar fuggire Idamante mandandolo in Grecia con Elettra, a dar prova di sé e far tirocinio di sovrano: il figlio sta per partire a malincuore con la compagna esultante, quando dal mare esce un orribile mostro che fa strage degli abitanti. La partenza è interrotta, e Idamante, che ancora non sa del voto, si sfoga con Ilia per l’incomprensibile freddezza del padre; Ilia lo conforta accettando finalmente il suo amore. Ma il popolo tutto con una sommossa spinge il re a salvare il regno dal mostro: Idomeneo deve cedere ed è assecondato dall’eroismo del figlio, che si offre spontaneamente al sacrificio, e di Ilia, che gareggia con l’amato offrendosi come capro espiatorio per le colpe dei suoi, invisi a Nettuno. Infine è il dio stesso a impedire il sacrificio, imponendo soltanto che Idomeneo abdichi in favore della giovane coppia. Mentre Elettra fugge sconvolta, decisa a condividere l’orribile sorte del fratello (non mai chiaramente raccontata), si festeggiano le nozze.

 

L’opera

Registrata nel catalogo delle opere mozartiane al n. 366, l’Idomeneo venne rappresentato per la prima volta a Monaco nel gennaio 1781, in occasione dei festeggiamenti del carnevale cittadino. La stessa corte bavarese aveva commissionato a Mozart l’opera, e alla stesura della partitura il ventiquattrenne compositore si era accinto con particolare entusiasmo (tanto da trascurare i problemi di salute che lo affliggevano) negli ultimi mesi del 1780. Si trattava di un incarico particolarmente interessante per Mozart, perché gli offriva l’opportunità di aprirsi a nuovi orizzonti e soprattutto di uscire dal gretto e ormai ostile ambiente salisburghese.

Ritratto di W. A. Mozart (1756-1791)

Il poco tempo a disposizione costrinse Mozart a lavorare in stretta collaborazione col suo librettista, l’abate Giambattista Varesco (1736- ca. 1806), che sarà accanto a Mozart anche nella successiva opera giocosa L’oca del Cairo del 1786 (K 422). Nonostante qualche dissenso e qualche incomprensione, il lavoro fu nel complesso positivo. Qualche difficoltà Mozart incontrò coi cantanti che dovevano esibirsi a Monaco (il castrato italiano Vincenzo dal Prato, a cui Mozart rimprovera scarsa profondità, e il tenore Anton Raaff, un celebrato e anziano professionista che nutriva qualche dubbio sulla validità del lavoro mozartiano e chiedeva modifiche e tagli che il compositore non era disponibile ad accordargli), ma nel complesso il lavoro procedette con lena e senza gravi inciampi.

Alla prima rappresentazione, conclusasi con un pieno successo, seguì, nel 1787, un secondo allestimento in forma di concerto a Vienna, presso il palazzo del conte di Auersperg. Alla luce di varie considerazioni (tra cui anche la minore professionalità degli interpreti), Mozart apportò alcune modifiche all’opera, soprattutto nel III atto, in cui vengono eliminati  il duetto “S’io non moro” di Idamante e Ilia (sostituito col duetto “Spiegarti non poss’io”, registrato al n. 489 del catalogo) e l’aria di Arbace “Se il tuo duol”, sostituita con un’aria-rondò (con violino solista) di Idamante “Non temer amato bene”, n. 490 del catalogo Köchel. Tra l’altro la parte di Idamante, scritta nella prima rappresentazione per soprano e affidata a un castrato, viene ora affidata a un tenore.

La prima edizione a stampa della partitura seguì a Bonn nel 1805.

Pur non essendo la prima opera scritta da Mozart, l’Idomeneo mostra l’acquisizione da parte del compositore di una piena maturità stilistica e prelude alle grandi opere successive. Da un punto di vista strettamente compositivo si tratta di un’opera eclettica: Mozart prende atto della riforma del melodramma opera dal duo Gluck-Calzabigi, ma non si attiene del tutto ad essa. Desideroso di riscuotere pieno successo, e preoccupato dunque in modo particolare di piacere e di trovare un’accoglienza favorevole, Mozart, pur non venendo meno ai suoi ideali musicali, cerca di evitare un atteggiamento eccessivamente severo e rigido, che gli precluda una possibilità di essere compreso dal grande pubblico. Significativo uno scambio epistolare col padre Leopold, che esorta il figlio ad evitare una composizione troppo lontana dai gusti del pubblico (“Ti raccomando quando lavori di non pensare solo al pubblico che si intende di musica, ma anche a quello che non se ne intende”): la risposta di Wolgang è pienamente condiscendente alla raccomandazione paterna (“Quanto all’elemento cosiddetto ‘popolare’ non si preoccupi: nella mia opera c’è musica per tutti, eccetto per le ‘orecchie lunghe'”). Così il recitativo secco, per quanto ridotto, non viene abbandonato del tutto, e si dà discreto spazio a cori, marce, pantomime, balletti, secondo un ideale di grandiosità esteriore che avvicina più Mozart alla tradizione francese che non ai severi ideali gluckiani. Anche il richiamo all’unità d’azione che la riforma di Gluck operava viene in parte disatteso, con l’introduzione di una vicenda secondaria (la vicenda di Elettra), che serve solamente ad aggiungere e sovrapporre al nucleo principale della trama  il tema della rivalità amorosa.

Biglietto d’ingresso per la prima rappresentazione dell’opera (München 1781).

Nonostante questo, e nonostante un carattere che tramezza spesso tra il tono drammatico e il tono da opera giocosa, l’opera presenta una freschezza e un’intensità che anticipa il Mozart delle grandi opere successive (dalle tre opere “depontiane” al Flauto Magico). Un carattere interessante è lo spazio assunto dalle parti orchestrali: l’orchestra assume un rilievo notevole e il compositore le dà spazio e importanza con un’attenzione persino insolita per un melodramma, fin dall’ouverture, col suo inizio esuberante e vigoroso, che verso la fine sembra spegnersi su sé stessa, lasciando spazio alle varie voci dell’orchestra e proponendo accenti di maggiore tensione e gravità 📣; anche la marcia che apre l’intermezzo tra il primo e secondo atto, colle sue movenze ora decise e fortemente ritmate ora graziose e suadenti, è l’occasione per fare un uso quanto mai vario dell’orchestra📣  e il successivo coro “Nettuno s’onori” 📣  rileva una perfetta fusione tra strumenti e voci. Si veda ancora l’introduzione dell’aria di Ilia “Se il padre perdei” per rilevare come Mozart indulga con compiacimento alla valorizzazione dei contrasti timbrici, col lungo e intenso dialogo tra legni e corno 📣. Anche l’uso delle voci presenta un atteggiamento generalmente sobrio e una tensione drammatica che non eccede mai nell’enfasi e nell’artificioso, sia nelle arie dei singoli personaggi sia nelle scene d’insieme, come il celebre quartetto del III atto tra Idomeneo, Idamante, Elettra e Ilia “Andrò rammingo”.

  1. L’ Idoménée di Danchet (musica di Campra) ha in più, rispetto alla rielaborazione italiana, due elementi fondamentali: una duplicazione del topos della rivalità amorosa, con l’innamoramento di Idomeneo nei confronti della prigioniera troiana (Ilione, nel testo francese) e di conseguenza l’angosciosa situazione di Idamante, che non può opporsi al padre-re, e di Idomeneo stesso, che ha un forte motivo per compiere il sacrificio del figlio; in secondo luogo, quando tutto sembra risolto felicemente (Idomeneo rinuncia all’amore e al trono, Idamante è libero dal sacrificio e ottiene la sposa e la corona), il testo francese ha un’aggiunta fortemente drammatica che conclude negativamente la vicenda: interviene la dea Nemesis, furente per la violazione del voto; Idamante impazzisce e, senza rendersene conto, uccide il figlio; rinsavito, vorrebbe seguirlo nella morte. L’ultima desolata battuta è di Ilione, che chiede la morte per sé e condanna il re alla vita.
    (Per leggere il libretto sul sito Opéra Data Base – in francese, previa registrazione)’ ↩︎