Nota su un editto di Vespasiano
(In occasione del bimillenario della nascita di Vespasiano, a cui è stata dedicata a Roma una mostra soprattutto archeologica e monumentaria, riproduciamo un articolo di Zetesis 1/85 che allude ad una delle più importanti iniziative dell’imperatore, la riorganizzazione e valorizzazione della scuola)
Dall’imperatore Vespasiano fu istituito un sistema, seppure non generalizzato, di assunzione degli insegnanti da parte dello Stato romano. Infatti, come ci rammenta Suetonio, (Vespasianus) primus a fisco Latinis Graecisque rhetoribus annua centena constituit (1). L’unico di cui si sia conservato il nome a godere di questo privilegio fu il celebre Quintiliano (2). Con quest’atto non si può certo parlare di creazione di una scuola statale da parte di Vespasiano, come pure alcuni hanno fatto, per due motivi:
I. sicuramente i programmi non erano fissati dall’ente pubblico come avviene oggi, ma i docenti, appunto perché scelti con totale discrezionalità dall’imperatore e dai suoi funzionari, e non nominati attraverso graduatorie di merito e di anzianità, godevano, privilegiati com’erano tra un immenso stuolo di concorrenti, della più ampia libertà di insegnamento (3);
II. l’attribuzione di uno stipendio annuo a qualche retore non differiva molto, nella forma, dai vari esempi di munificenza imperiale nei riguardi di poeti, scultori, musicisti di cui è ricca la tradizione del tempo (4). Tuttavia bisogna riconoscere che quest’iniziativa del principe flavio fa uscire la persona del docente dalla figura giuridica del libero professionista (che è la posizione costante di ogni insegnante nell’antichità da1l’epoca dei sofisti sino a quella della prima dinastia imperiale), per fargli assumere la posizione del funzionario dell’impero (5).
E’ dunque giustamente famoso quest’intervento di Vespasiano nel campo dell’insegnamento; certamente, però, non altrettanto famosa è un’altra misura di politica scolastica assunta dallo stesso principe, e cioè un editto in cui egli riconosce diverse immunità ed agevolazioni agli insegnanti di retorica e di grammatica, tra cui anche il diritto ad organizzarsi in libere associazioni. Tale documento appare particolarmente significativo perché, oltre ad altre categorie, riguarda l’intero corpo insegnante delle due materie, dal momento che non vi sono cenni di alcun tipo che possano far ritenere che l’editto si rivolga solo ai retori stipendiati a cura dell’erario imperiale. Inoltre esso fa esplicito riferimento, sin dalle prime righe, all’utilità pubblica delle professioni che sono fatte oggetto di questi privilegi. In tal senso, quindi, dopo l’iniziativa nei confronti dei retori questo provvedimento viene a confermare quel criterio dell’usus reipublicae che, al di là delle imputazioni di utilitarismo e taccagneria di cui Vespasiano fu fatto oggetto (6), fu il principio costante a cui egli adeguò la sua azione amministrativa, e che deriva dalla norma con cui l’imperatore stabilì i limiti del suo potere, la lex de imperio Vespasiani (7). Quest’editto non è molto noto, e quello che ora presentiamo è forse il primo studio in lingua italiana su quest’argomento (8); il documento fa parte di un’epigrafe ritrovata solo nel 1934 a Pergamo dal Wiegand, e datata con sicurezza 27 dicembre 74(9). Dell’ordinanza di Vespasiano, rinvenuta in un’epigrafe mutilata nella parte superiore e nel lato sinistro e contenente anche un rescritto di Domiziano (10), mi è parso opportuno dare subito la traduzione, completa di tutte le integrazioni del commentatore, rimandando a dopo l’analisi ed il commento del testo. Ho cercato di mantenere nella versione, per quanto mi è stato possibile, la divisione in righe che è presente nel reperto stesso ed ho racchiuso tra parentesi quadre, attenendomi al metodo dell’Herzog, le prime nove righe, mancanti nel testo originale, che si basano completamente sulle congetture che lo studioso tedesco ha ricavato dalla data posta alla fine dell’editto (11), dal contenuto di questo in generale e da un articolo del Weynand (12).
[L’imperatore Cesare Augusto Vespasiano, 1*
pontefice massimo, per il VI anno investito del potere tribunizio, acclamato
imperatore per la XIV volta, padre della patria, per la V volta console
designato, per la V volta censore, proclama (il seguente editto):
poiché queste professioni sono ritenute adatte ai liberi (cittadini), 5*
utili alle città sia per l’aspetto pubblico che per quello privato
e sacre agli dei, l’una, quella dei grammatici e dei retori,
che educano l’animo dei giovani alla bontà
ed al senso civico, (sacra) ad Ermes ed alle Muse,]
l’altra, quella dei medici e dei massaggiatori, (sacra) ad Apollo e ad Esculapio, 1
se pure solo degli allievi di Escuiapio è compito
la cura del corpo, e appunto per ciò essi sono definiti
sacri e simili agli dei, ordino che essi non siano obbligati alla concessione
di alloggio, né vadano soggetti ai tributi in nessun modo. 5
E se qualcuno di coloro che sono sotto il mio dominio oserà esercitare
violenza o citare in giudizio
o imprigionare qualcuno dei medici, insegnanti o massaggiatori ,
ne paghino il fio gli insolenti a Giove Capitolino
per 10.000 denari (13). E chi non possiederà (una tal somma), sia venduto,
e al dio sia offerto senz ‘ altro il prezzo che avrà f issato 10
il magistrato a ciò preposto. E similmente qualora
ne trovino uno che s’era dato alla macchia, lo conducano dove ad essi
pare bene , e non siano ostacolati da nessuno. E sia loro
permesso di tenere riunioni delle loro associazioni nei luoghi consacrati, nei templi
e nei santuari, dove preferiscono, in qualità di persone inviolabili, e chiunque 15
li scacci sia sottoposto al giudizio del popolo romano sotto
l’imputazione di empietà verso la casa imperiale. Io, imperatore
Cesare Vespasiano, ho sottoscritto ed ho ordinato
che fosse pubblicato nell’albo. Fu pubblicato nel VI anno (del mio impero) nel mese
di dicembre (14) il giorno ventisette. 20
E’ bene notare innanzitutto che il 74 d.C., anno di emanazione dell’editto, è uno di quelli in cui Vespasiano esercitò la carica di censore (cfr. l. *4): ciò è importante non solo perché informa questi privilegi del carattere censorio, conferendo ad essi una più ferma autorità, ma anche perché ci consente di collegarli al decreto di espulsione dei filosofi, emanato probabilmente in questo stesso anno (15), mostrando così la complementarietà delle sue misure per il controllo della scuola. L’ordinanza, che si rivolge a grammatici, retori, medici, ἰατρολεῖπται (= massaggiatori), consta, in sostanza, di tre concessioni:
a) 1’esenzione da ogni carico fiscale e dall’obbligo di concedere ospitalità (ll. 4-5);
b) a protezione contro tutti i tipi di iniuria (ll. 6-13);
c) il diritto di costituirsi in corporazione nei luoghi consacrati (ll. 13-17).
Venendo ad un esame particolareggiato del testo si può notare che, dopo la serie dei titoli imperiali, si ha il riconoscimento del valore dell’opera di queste categorie con le relative motivazioni (ll. *5-4).
Viene specificamente riconosciuta a queste professioni la dignità di artes liberales (l.*5), e ciò inserisce subito l’editto nella tradizione dei favori riservati a queste discipline, a partire dal primo provvedimento di Cesare (16); inoltre ne viene riconosciuta l’utilitas publica, il che ci pone nell’ambito tipico dell’azione di Vespasiano, ed anche quella privata (l. *6): è questo un fatto importante perche costituisce l’affermazione implicita che anche il servizio reso ai privati vale per la collettività, concetto che determinerà nei secoli l’ampliamento del campo d’intervento imperiale.
Da questa utilitas vien fatta derivare direttamente la sacralità di queste professioni e sono citati i rispettivi patroni, Ermes e le Muse per i maestri, e Apollo ed Esculapio per i medici ed i massaggiatori (17); il richiamo alle divinità protettrici ci riconduce subito all’origine religiosa dell’associarsi di questi professionisti, che è importante, come vedremo anche parlando del diritto di corporazione, perche s’innesta nella tradizione ellenistica dei σύνοδοι degli artigiani e degli atleti (18).
Quanto alle due esenzioni (ll.4-5), il μὴ ἐπισταθμεύεσθαι o dispensa da1l’obbligo di concedere alloggio alle truppe era già contenuto nel rescritto attribuito a Vespasiano (19) e lo troviamo confermato in un editto di Adriano liberamente estrapolato da atti successivi (20). A questo proposito è già stato chiarito attraverso gli editti di Germanico, Retto e Capitone in Egitto come fosse diventato problematico l’acquartieramento degli alti impiegati e delle truppe (21). Avremo persino il caso di un insegnante, Polemone di Laodicea che, pur potendosi permettere di concedere alloggio in maniera decorosa, abuserà del suo privilegio, e proprio nei riguardi del futuro imperatore Antonino (22): questo per notare che il progressivo estendersi delle elargizioni dà adito ad abusi, che poi lo stato dovrà reprimere.
La ἀνεισφορά … ἐν μηδενὶ τρόπῳ, o immunità da ogni tributo, risale addirittura, per quanto riguarda queste categorie, all’ esenzione concessa da Augusto ad Antonio Musa (23) e ricompare nel già citato rescritto di Vespasiano come immunità ormai invalsa nell’uso (24), mentre manca in quello di Adriano (25). Essa, che è 1’esenzione più comune, sarà poi fatta oggetto di numerose precisazioni, in senso restrittivo o meno, dai successivi documenti imperiali (26), e i singoli sovrani in genere si comporteranno arbitrariamente verso questo tipo di immunità (27). Per entrambe le esenzioni, comunque, le tracce più antiche risalgono all’epoca ellenistica, e nuovamente ai σύνοδοι degli artigiani (28). S’impone poi alla nostra attenzione il fatto che sia in meroto a questi due privilegi, come già in precedenzaq (ll. *7 e 1) e per tutto il resto dell’editto non si faccia menzione alcuna dei filosofi: ciò confermerebbe quindi quanto è già stato detto sull’ostilità di Vespasiano verso l’insegnamento di questa disciplina (29), anche se resta la contraddizione con la notizia fornita da Arcadio Carisio secondo cui anch’essi godettero della civilium munerum vacatio e del ne hospitem reciperent (30). D’altra parte da un punto di vista documentario è molto più degna di fede la testimonianza epigrafica di un editto di diretta emanazione imperiale, piuttosto che la citazione di un rescritto riportata da un giurista, il quale può, on questo caso, aver erroneamente riportato anche i filosofi tra i fruitori di questa concessione, per analogia con altri provvedimenti del genere (31). Inoltre, considerando anche la politica scolastica di Domiziano e Nerva (32), almeno fino a Traiano non ci sono privilegi sicuri che riguardino i filosofi nel loro complesso.
Anche la tutela contro l’iniuria (ll. 6-13) è strettamente collegata con i privilegi degli atleti (33) e degli artigiani (34). Quanto ai tre verbi che delimitano i vari tipi di offesa (ll. 6-7), ὑβρίζειν (= iniuriam inferre), indica in generale il disprezzo dei privilegi di cui al par. a) dell’editto, ed in particolare può presupporre, p. es., l’acquartieramento coatto come violazione di domicilio, κατεγγυᾶν precisa l’azione giuridica specifica contro coloro che sono beneficati, poiché significa “arrestare” o, in senso più attenuato, “citare in giudizio”, mentre ἄγειν, supposto dall’Herzog (35) per analogia col già citato σύνοδος degli artigiani del 278 a.C. (36), per integrare lo spazio vuoto, indicherebbe chiaramente l’atto dell’esecuzione personale dell’arresto (37). Notiamo così che alle tre diverse gradazioni del reato corrisponde un unico livello di pena pecuniaria o addirittura la vendita all’asta del condannato stesso qualora questi fosse insolvibile (ll. 8-10); per analogia con altre imputazioni simili, Herzog (38) suppone poi che in seguito ad aplografie sia venuta a mancare, nel testo pervenutoci, prima delle ὃς δ᾿ἂν μὴ ἔχῃ (l.10), la frase ὃς δ᾿ἂν μὴ ἀποτίσῃ, τούτου τὰ ὄντα πιπασκέσθω, “qualora non paghi il dovuto siano messi in vendita i suoi beni”, per indicare la vendita all’asta del patrimonio. E’ infine prevista anche la non validità del diritto di asilo (39) per il condannato che si sia sottratto all’arresto con la fuga (ll. 11-13) anche se non è chiaro se ad esso debbano procedere i magistrati o la stessa parte lesa.
Ma la concessione più importante, che costituisce una novità assoluta nella politica scolastica dell’impero, è il diritto riconosciuto, a medici ed insegnanti, di costruirsi in associazioni nei luoghi consacrati (ll. 13-17). C’è stato chi ha negato ciò (40), asserendo che l’editto contemplerebbe solo l’autorizzazione per i convegni, e non per i σύνοδοι carattere sacro. Invece un’integrazione della 1. 15 come τὰς διατριβὰς ποιεῖσθαι, che riguardasse cioè solo la possibilità di riunione, avrebbe poco senso, in quanto non farebbe che confermare il diritto d’asilo “a persone alle quali i santuari già normalmente offrivano prοtezione” (41). Al contrario è molto più pregnante l’integrazione συνάγειν proposta dall’Herzog, in quanto:
a) è conforme al testo dell’Anfizionia del 117 a.C. , che autorizza il σύνοδος degli artigiani (42);
b) si adatta alla lex Julia de collegiis, secondo cui si poτevano costituire confraternite, se queste venivano riconosciute come collegia licita;
c) diverse testimonianze confermano l’uso del vocabolo e dei suoi derivati per indicare sia la fondazione che i singoli momenti assembleari dei σύνοδοι (43).
E con questo duplice significato mi sembra che il termine vada inteso anche nel testo del nostro editto. Quanto al fatto che sia permesso ai collegia di riunirsi ἐν τοῖς τεμένεσι καὶ ἱεποῖς καὶ ναοῖς, la formula ripetitiva, corrispondente al latino in fanis delubris templis, sottolinea più la solennità e la sacralità della concessione che una effettiva distinzione tra i tre luoghi, dato che anche per i glossarii la differenza tra i tre concetti è già sparita in quest’epoca (44). Inoltre, alla 1.15, mi sembra più corretto riferire ἀσύλοις ai membri del σύνοδος piuttosto che ai templi, in quanto è il carattere sacro dell’associazione che procura ai suoi soci 1’ ἀσυλία, come accadeva presso gli artigiani.
Acoronamento della concessione, nel caso di violazione del diritto di asilo (ll. 16-17), viene prevista la grave imputazione ἀσέβεια … εἰς τὸν οἶκον Σεβαστῶν (= crimen laesae maiestatis) (45), fatto importante perche comporta la diretta tutela imperiale verso le congregazioni di diritto sacro dei medici e dei precettori. Infine Herzog (46), basandosi sulle deduzioni del Wilcken (47), che individua omissioni ed abbreviazioni di formule, sostiene che la redazione del testo pervenutaci è incompleta rispetto all’originale, e stabilisce che il documento di Vespasiano è un editto in quanto viene ordinata la sua pubblicazione nell’albo (ll. 18-19), mentre al contrario manca il saluto finale che è caratteristico delle lettere.
Ho particolarmente insistito nel mio esame dell’editto sulla concessione del diritto di corporazione, poiché, con questo riconoscimento, per la prima volta lo stato imperiale, oltre a privilegiare i docenti singolarmente o per categorie, come era stato finora, ammette la piena legittimità delle loro libere associazioni e le pone sotto la sua tutela stabilendo pene severe per chi violi i loro diritti.
Congregazioni di questo tipo, “cioè … istituzioni viventi sotto la diretta protezione di una divinità ed operanti come scuole e ordini professionali a un tempo…” (48), già esistevano nell’antica Atene (49), ed Herzog nel suo dotto articolo ne traccia la storia (50), notando come si fossero trapiantate nel Museo di Alessandria (51) e fossero poi state assunte dallo stesso Augusto (52), in collegamento coi sinodi degli artigiani e degli atleti (53).
Il riferimento a questi sinodi è stato ampiamente dimostrato esaminando la terminologia dell’editto e rilevando il rinnovarsi degli stessi privilegi ed esenzioni; tali analogie sono poi particolarmente importanti perché ci permettono di notare che anche le motivazioni di questi provvedimenti sono in pratica le stesse, dal tempo dei primi σύνοδοι fino a questo editto di Vespasiano:
a) il carattere di inviolabilità di questi collegi, che deriva dall’alta concezione del valore della scienza come servizio al dio;
b) ˗ quel che più ci interessa ˗ l’utilità per lo stato del servizio svolto da queste associazioni.
Ci troviamo quindi di nuovo nell’ambito specifico che contraddistingue l’azione di Vespasiano e che per quel che riguarda lo ius collegii è messo in rilievo anche da un’osservazione di Asconio Pediano, secondo cui “i collegia sono stati eliminati dai senato consulti e da numerose leggi, ad eccezione di quei pochi e ben fissati che siano richiesti per utilità della cittadinanza…” (54). Con Vespasiano, insomma, al di là del dettato della lex Julia de collegiis, questi istituti vengono posti sotto la disciplina dello stato e trasformati in organi di diritto pubblico per l’esercizio della professione ed il suo insegnamento.
Nonostante ciò, andrei molto cauto nel considerare il permesso imperiale per la formazione di queste comunità di docenti, abilitate a riunirsi nei luoghi sacri dove preferiscano e sotto la precisa garanzia di asilo, come “la Magna Charta dell’università”, secondo quanto sostiene l’Herzog, che collega direttamente queste associazioni ai collegia o corpora che costituiscono le università medioevali (55).
Infatti, se è vero che, in forza della libertà concessa a queste associazioni, si avranno a partire dal II sec. fondazioni di istituti culturali ed università in molte città dell’impero (56), è anche vero che manca, nell’editto di Vespasiano, qualsiasi cenno ad uno degli elementi fondamentali per cui si possa parlare di istituzione di un alto insegnamento pubblico, e cioè l’organizzazione, seppur schematica, di uno schema di retribuzioni per i docenti (57).
Resta comunque l’importanza fondamentale di questo provvedimento per il riconoscimento e la tutela giuridica da parte dello stato nei confronti dell’associazionismo delle libere professioni edei docenti in particolare, poiché proprio questa legittimazione statale con il relativo inserimento dei σύνοδοι all’interno della legislazione sui collegia (58) costituirà uno dei presupposti per la fondazione di scuole ed università (59), o perché siano riconosciute quelle già esistenti (60).
Esiste poi, in collegamento con questo editto, una sententia riportata da Arcadio Carisio nel suo De muneribus civilibus, che recita così: “Il divino Vespasiano ed il divino Adriano stabilirono con un rescritto che agli insegnanti i quali hanno l’immunità dai pubblici oneri, e cioè i grammatici, i retori, i medici ed i filosofi, gl’imperatori avevano elargito l’esenzione dall’obbligo di concedere alloggio” (61). Essa non sembra invece richiedere un lungo esame, in quanto per la parte che ci interessa in questa sede non ne risulta altro che una ripetizione, oltrettutto parzialmente monca ed erronea, dell’editto appena visto. Infatti, come già ho dimostrato sulla base delle precedenti testimonianze (62), non è sostenibile il conferimento di queste due esenzioni anche ai filosofi; inoltre manca, in questo documento, la concessione più importante dell’editto, vale a dire il diritto di costituire collegia (63). Anche la questione che potrebbe sorgere per il fatto che qui si parli dell’immunità dai pubblici carichi come di un diritto già acquisito, ed il cui conferimento dovrebbe quindi essere antecedente a quello dell’altra esenzione, se non addirittura all’impero di Vespasiano, si risolve fondandosi sull’editto, da cui appare che la concessione dei due benefici è chiaramente simultanea.