Nei secoli XVIII-XIX il tema del notturno coinvolge anche la musica, e il Notturno si afferma anche come genere musicale. Inizialmente col termine di “Musica notturna” si designano semplicemente delle composizioni destinate a essere eseguite di notte e di prima mattina, senza nessuna allusione a particolari caratteristiche formali che contraddistinguano questi brani.
Nell’ambito della musica descrittiva Settecentesca va citato il Concerto per flauto, archi e basso continuo RV 439 di Antonio Vivaldi (contenuto nell Op.X, pubblicata ad Amsterdam nel 1729), intitolato appunto La Notte. Mentre i brani lenti si propongono di evocare la quiete notturna con un’armonia basata su accordi molto larghi e passaggi melodici dolci e suadenti dello strumento solista (in particolare l’ultimo Largo è intitolato Il sonno, e in un altro Largo è previsto l’uso delle sordine per tutti gli “stromenti” 📣), il Presto che occupa la seconda posizione evoca, nella sua vivacità, un’incursione di fantasmi (il titolo è appunto Fantasmi 📣). Si tratta di una musica fortemente suggestiva che rientra nel quadro di quei tentativi più volte operati da Vivaldi (si pensi alla Caccia, alla Follia e soprattutto alle notissime Quattro Stagioni) di descrivere con mezzi e in termini puramente musicali fatti e momenti della vita di tutti i giorni.
Fu Mozart il primo a usare il termine Nachtstücke (Brani notturni) ed è celebre la sua Kleine Nachtmusik (Piccola musica notturna) per quintetto d’archi (K 525, del 1787). Col Romanticismo il titolo di Notturno identifica una composizione particolare, generalmente di ritmo sostenuto e dalla melodia piana e cantabile, che si prefigge di evocare un’atmosfera rarefatta e sognante. Lo svilupparsi del Notturno come genere musicale procede di pari passo con l’affermarsi della musica a programma, capace cioè di evocare atmosfere particolari o addirittura di descrivere in modo appropriato situazioni o avvenimenti.
Non di rado la qualifica di musica notturna viene data a composizioni che erano state composte con altro intendimento e pubblicate con altro titolo, e non era nelle intenzioni dell’autore scrivere un brano che evocasse la notte o il paesaggio notturno.
Un caso esemplare in questo senso è quello dell’Op. 27 n. 2 di Beethoven. Alle due sonate per pianoforte raccolte nell’Op. 27 (composte probabilmente in epoche diverse) l’autore pose il titolo di Sonata quasi una Fantasia, per rilevare il loro carattere molto libero rispetto alla struttura tradizionale della sonata. La seconda sonata della raccolta (in do # minore) si articola in tre tempi (Adagio cantabile, Allegretto, Presto agitato, ciascuno dei quali ha una fisionomia molto netta (sereno e tranquillo l‘Allegretto, frenetico e convulso il Presto): il primo tempo è caratterizzato, oltre che dal movimento lento (ci si aspetterebbe un Allegro come movimento iniziale di una sonata), dal fatto di non essere costruito secondo lo schema abituale (e molto amato da Beethoven) della forma sonata: poiché l’Allegretto intermedio e il Presto finale potrebbero benissimo rappresentare il terzo e il quarto movimento di una sonata tradizionale, così come l’Adagio dovrebbe occupare normalmente il secondo posto, si potrebbe concludere che la Sonata op. 27 n. 2 si possa configurare come una sonata tradizionale privata del suo primo movimento. È in grazia dell’Adagio che la sonata è oggi universalmente nota col titolo Al chiaro di luna, che gli fu dato, a quanto sembra, da L. Rellstab (amico di Beethoven e autore dei testi di molti Lieder di Schubert), il quale paragonò l’effetto del primo tempo al chiaro di luna che si rispecchia nel Lago dei Quattro Cantoni. In precedenza l’opera era nota come Sonata del pergolato (Lauben Sonata), in quanto si raccontava che Beethoven, innamorato della contessa Giulietta Guicciardi (alla quale la Sonata è dedicata – mentre l’Op. 27 n. 1 è dedicata alla principessa Josephine di Liechtenstein -), l’avesse composta sotto un pergolato. L’Adagio sostenuto in grazia del quale la sonata tutta ha finito per assumere il nome di Al chiaro di luna ha una struttura elementare: una melodia semplice e nello stesso tempo intensissima si dispiega sull’accompagnamento insistente e ininterrotto di terzine, mentre la mano sinistra esegue una serie di accordi molto larghi, tanto che, come notava già Berlioz, la loro durata permette alle vibrazioni del pianoforte di spegnersi gradatamente e dolcemente su di esse 📣. La novità di questa musica, che secondo l’indicazione data (in italiano) dal compositore stesso deve essere suonata “delicatissimamente e senza sordino”, sta nell’intrecciarsi quasi indissolubile tra la melodia e l’accompagnamento delle terzine, tanto che, verso la fine del tempo, con un capovolgimento di parti che potrebbe apparire sorprendente dal punto di vista dell’analisi tecnica, ma che riesce assolutamente naturale all’ascoltatore, la melodia passa in subordine e cessa, e le terzine si presentano esse stesse come portatrici dei valori melodici 📣. È difficile definire l’impressione che questo brano genera nell’ascoltatore: dire, come hanno fatto alcuni, che esso vuole comunicare un messaggio d’angoscia sembra inesatto o esagerato (la prima esposizione del tema è in mi maggiore, anche se subito dopo esso viene ripetuto più basso di un semitono!): d’altronde anche l’idea di quiete suggerita dal titolo con cui il brano è correntemente noto sembra inadeguata: esso evoca piuttosto un’atmosfera in cui serenità e malinconia s’incrociano e quasi si fondono in una stretta unità, e questa impressione è tanto più vera, se si paragona il carattere tenero e delicato di questo brano col turbinoso e agitato finale. Dal punto di vista della struttura il brano, che, come già detto, non s’inquadra nello schema della forma sonata, presenta uno schema ABA’. Sarà lo schema che avrà successivamente il Notturno per pianoforte, con l’avvertenza che in generale la sezione B ha un andamento ritmico più mosso rispetto alla sezione iniziale e finale.
Tra le opere nelle quali la denominazione di Notturno non discende dalla volontà dell’autore possiamo annoverare il Trio per pianoforte, violino e violoncello di F. Schubert (Op. post. 148 = D 897), costituito da un unico tempo, un Adagio dall’andamento morbidamente melodioso. Fu scritto verso il 1827, ossia nella sua ultima fase creativa: benché giudicato generalmente una pagina secondaria, contiene momenti di grande intensità. Su alcuni arpeggi del pianoforte gli archi introducono, prima sommessamente e poi a voce più alta, un tema improntato a profondo lirismo 📣: subito dopo è il pianoforte a riprendere il motivo, accompagnato del pizzicato degli archi. Nel prosieguo dello sviluppo il tema si presta ad alcune libere variazioni, nelle quali finisce per assumere ora un’andatura decisa e perentoria 📣 ora un atteggiamento mesto e riflessivo 📣.
Benché i Notturni di Chopin siano i più amati dal pubblico e dagli interpreti e i più frequentemente eseguiti nelle sale da concerto, inventore del Notturno per pianoforte è considerato il compositore e pianista irlandese John Field (1782-1837), autore di 16 o 17 notturni. Il conto esatto è difficile, perché spesso l’autore ci ha lasciato di una medesima composizione più versioni, tanto diverse fra loro da poter essere considerate ciascuna come un brano autonomo: in realtà il Field diede il titolo di Notturno solamente a dodici di queste composizioni, mentre le altre sono qualificate come Romances o in altro modo. Il Field non fu solo l’inventore del genere, perché è stato rilevato che diversi Notturni di Chopin prendono spunto dalle omologhe composizioni di Field (p.es. Chopin op. 9 n. 2 📣 ~ Field 1 📣 e 5 📣; Chopin op. 15 n. 2 📣 ~ Field 4 📣 ; Chopin op. 72 n. 1 📣 ~ Field 10 📣; ecc.). Non è questa la sede per chiedersi quali ragioni hanno portato a un progressivo offuscarsi della fama di Field, musicista originale nella concezione e fervidamente apprezzato dai contemporanei (Spohr ne rammentava la capacità di creare atmosfere da sogno, e Glinka sosteneva che i suoni uscivano dalle sue dita «come perle sul velluto»). Se la musicologia ha dimostrato in anni recenti la volontà di operare una revisione in senso positivo della sua figura, ciò non toglie che le sue opere non siano comprese nel repertorio abituale dei pianisti e che anche la discografia sia modesta e limitata.
Ventuno in tutto sono i notturni di Chopin. Diciotto furono pubblicati in vita, e precisamente (tra parentesi sono indicati il luogo e la data dell’editio princeps): Trois Nocturnes Op. 9 (Lipsia 1832); Trois Nocturnes Op. 15 (Lipsia 1833); Deux Nocturnes Op. 27 (Lipsia 1836); Deux Nocturnes Op. 32 (Parigi 1837); Deux Nocturnes Op. 37 (Parigi 1840); Deux Nocturnes Op. 48 (Parigi 1841); Deux Nocturnes Op. 55 (Parigi 1844); Deux Nocturnes Op. 62 (Parigi 1846). A questi va aggiunto il Notturno giovanile compreso nell’Op. 72 (Op. 72, n. 1: si tratta di una composizione giovanile – del 1827 – raccolta nell’Op. 72 insieme con altri brani pianistici: le Op. dal 65 al 72 furono pubblicate postume, Berlino 1855, sulla base dei manoscritti lasciati dall’autore e con il consenso dei familiari di Chopin), più due altre composizioni pubblicate a parecchi anni di distanza dalla morte dell’autore (il primo, in do min., fu pubblicato a Varsavia nel 1938 e potrebbe risalire al 1837; il secondo in do # min. risale al 1830 e fu pubblicato a Poznan nel 1875 col titolo Adagio: entrambi sono compresi nel vol. XVIII dell’edizione nazionale polacca delle opere di Chopin, Cracovia 1949-1964, mentre i Notturni pubblicati in vita più quello dell’Op. 72 sono compresi nel vol. VII). Non è questa la sede per entrare nel merito della musica chopiniana, che solleva problema spesso delicati e complessi.
Basterà accennare molto rapidamente al fatto che il tema del notturno è largamente presente nella musica ottocentesca, dal Romanticismo fino all’Impressionismo, e si prolunga nella musica del Novecento. Notturni scrissero R. Schumann (i tre pezzi dell’Op. 23 intitolati Nachtstücke 📣) e F. Liszt (Nocturne, En rêve 📣, pubblicato a Vienna nel 1888). Non è ovviamente possibile qui né seguire l’evoluzione del genere né citare gli infiniti esempi di Notturno in musica (o di brani intitolati Sogno e simile) che si affollano nel Romanticismo.
Una posizione di grande rilievo nella storia della musica ha il trittico per orchestra Nocturnes di C. Debussy, al quale pertanto dedichiamo un’analisi più dettagliata.Scritti tra il 1897 e il 1899, i tre brani che costituiscono il trittico (intitolati Nubi, Feste, Sirene) sono tra le composizioni più interessanti e significative di Debussy e di tutto l’impressionismo musicale.
Il primo brano evoca il movimento lento e fluente delle nubi: con una valorizzazione straordinaria dei diversi timbri strumentali (l’organico prevede: archi, legni – due flauti, due oboi, un corno inglese, due clarinetti e tre fagotti -, quattro corni, timpani, un’arpa) e un uso ardito dei procedimenti armonici il compositore raggiunge risultati di grande suggestione. All’inizio (“Modéré”) clarinetti e fagotti introducono un motivo lento e ondeggiante procedendo su linee parallele a intervalli ora di terza ora di quinta. Fin dall’inizio dunque si preannuncia un uso innovativo dell’armonia (che nella sua forma più rigorosa sconsiglia gli intervalli di quinta, per non dare adito al presentarsi di quinte parallele, sia pure dissimulate, che creerebbero turbamento rendendo difficile lo stabilirsi di una tonalità precisa): pur rimanendo sostanzialmente nel solco dell’armonia classica (il brano è fondamentalmente in tonalità di si minore), Debussy fa in modo di dare un carattere sfuggente e vago allo sfondo armonico, sia evitando di utilizzare accordi tonali completi sia inserendo negli accordi elementi estranei che rendono meno netto l’insediarsi di una tonalità definita. L’esposizione del primo tema termina in un’atmosfera di grande calma sostando su un lungo accordo sol-si (prima clarinetti e fagotti, poi flauti e corni), sul quale il corno inglese introduce un secondo motivo, il cui inizio suggerisce un dinamismo che non viene proseguito nella seconda parte, tranquilla e discendente 📣. Dopo un breve sviluppo, nel quale gli archi intonano una melodia derivata dal primo tema, i due motivi si ripresentano sovrapposti, e immediatamente si aggiunge a questi un altro motivo, semplicissimo (due sole note: una quinta discendente), introdotto dai corni e subito ripreso da violoncelli e contrabbassi 📣. Dopo un lungo episodio di sviluppo del primo tema (con gli archi che insistono nell’imitazione dell’andamento oscillante delle onde, e con alcuni passaggi molto suggestivi, p.es. la riesposizione del tema affidata agli oboi mentre una viola solista intona una delicata melodia 📣), con la batt. 64 inizia una seconda parte, ritmicamente più mossa (“un peu animé”). Il tema fondamentale, esposto dai flauti e dall’arpa, è costituito da una melodia che imita la scala “pentatonale” del sistema cinese (il compositore segna sulla partitura Sol b, Ré b, La b, Mi b, Si b, che in realtà appaiono nella loro variante enarmonica di Fa #, Do #, Sol #, Re #, La #) 📣: dopo un breve sviluppo, che presenta una notevole libertà nel trattamento armonico, si ha il ritorno al tempo iniziale. I temi della prima parte vengono riesposti in maniera sempre più frammentaria, mentre il brano sembra spegnersi in un’atmosfera dolce e rarefatta, con le voci dell’orchestra che intervengono in modo sempre più isolato e il ritmo si fa man mano più lento.
Il secondo notturno (Feste) ha un carattere più descrittivo, ed evoca l’atmosfera di un raduno festoso, nel quale però non mancano venature di malinconia. Su un ritmo insistito degli archi si sovrappone una melodia dei clarinetti e del corno inglesse, che inizia con un vorticoso ritmo di tarantella per poi prolungarsi in una seconda parte dall’andamento più riflessivo e incerto, come se non si riuscisse a trovare una conclusione degna e coerente della melodia così audacemente proposta, nonostante i cenni di approvazione di trombe e corni 📣. Il motivo è ripreso più volte da diverse componenti dell’orchestra, mentre i diversi strumenti fanno sentire a turno la loro voce e dànno il loro contributo alla costruzione della tessitura ritmica e armonica: l’esaltazione dei diversi timbri, lo sfondo armonico continuamente variato, l’alternarsi di sonorità delicate e potenti, tutto contribuisce a creare una sensazione di allegria con la corale partecipazione di tutti, fino alla conclusione dettata da un fragoroso intervento di corni e trombe che viene proseguito senza soluzione di continuità dal fragoroso rullare dei timpani (prima fff poi p) e da un glissando dell’arpa, per sfociare in un passaggio dal ritmo più mosso (“un peu plus animé”) e dall’andatura più distesa (anche l’armonia passa a un più tranquillo la maggiore), in cui lo spunto iniziale di tarantella termina in una forma più abbreviata e compatta 📣. Viene ribadito in modo insistente il ritmo di tarantella, che però in alcuni passaggi sembra assumere un andamento di marcia, e si ha l’affacciarsi di un nuovo motivo, molto semplice, che dà spunto a una grande quantità di episodi. Alla fine si ritorna al tempo iniziale (“Modéré, mais très animé”, batt. 116). Quando sembra, con l’improvviso e inaspettato passaggio dal ff a un pp, che l’animazione della festa abbia un momento di stasi, sul sordo, ma persistente movimento ritmico di violoncelli, contrabbassi, timpani e arpe affiora improvviso un gaio motivo di fanfara introdotto dalle trombe, dapprima lontane 📣 e poi via via più prossime. La proposta conquista tutta l’orchestra, che sosta a lungo sul motivo, prima con un fitto dialogo tra legni e corni, poi con l’intervento di tutti e col ritmo fortemente sottolineato dalle percussioni (tamburo, timpani e cimbalo), fino a una conclusione quasi trionfale 📣. Ma ormai è quasi l’alba e la fanfara cessa. La festa è giunta alla sua conclusione, anche se qualcuno, non ancora soddisfatto, cerca di prolungarla. Si ripresentano il ritmo (batt. 174 “I° tempo”) della prima parte e il tema della tarantella misto a qualche reminiscenza della fanfara, ma in modo sempre più frammentario e isolato: l’introduzione, poco prima del termine, di un nuovo motivo esposto da oboi e flauti si spegne nel nulla: il tentativo di ravvivare la festa non ha esito 📣 , e gli ultimi accordi, che evocano l’allontanarsi degli ultimi partecipanti e lo stendersi progressivo del silenzio, conferiscono alla parte finale un andamento mesto e un tono malinconico che finisce per lasciare nell’ascoltatore un’impressione più di velata tristezza che di gaiezza.
La terza parte (Sirènes) è quella che presenta la tessitura più complessa, ed è caratterizzata dalla presenza di due cori femminili (soprani e mezzosoprani, entrambe le sezioni composte da due gruppi di quattro cantrici) che cantano a bocca chiusa e che hanno un trattamento strumentale. Debussy scrive un brano che tramezza tra l’atmosfera rarefatta e fiabesca dell’evocazione mitologica (per di più evocazione di figure che da sempre hanno affascinato ed esaltato la fantasia di quanto ne hanno trattato) e la suggestione del mare, che lo stesso compositore descrive in altre pagine altrettanto famose (La Mer).
Così il compositore stesso riassumeva il carattere di questo brano: «È il mare e il suo ritmo infinito, poi, tra le onde argentate della luna, si ode, ride e passa il canto misterioso delle sirene (C’est la mer et son rythme innombrable, puis, parmi les vagues argentées de lune, s’entend, rit et passe le chant mystérieux des Sirènes)». All’inizio del brano il paesaggio marino viene riecheggiato dalle quinte fa-do di violoncelli e contrabbassi, dai leggeri e rapidi tocchi di arpe, corni, trombe, sui sui si sovrappongono le sestine dei clarinetti. Su questo sfondo delicato e in questa fase statica e contemplativa, nella quale si fanno presenti via via in modo discreto varie voci dell’orchestra, inizia il canto delle sirene. All’inizio si tratta di note tenute e lievi appoggiature 📣: Debussy ottiene la massima suggestione coi mezzi più economici. Dopo una prolungata fase in pianissimo, col tremolo degli archi e le veloci sestine dell’arpa, all’improvviso (batt. 12) il corno inglese enuncia il primo tema, una breve figura di cinque note subito riecheggiata dai mezzosoprani (f) 📣, e poi ribadita ancora dal corno inglese e imitata da altre voci. Mentre lo sviluppo è ancora in corso il coro fa sentire una dolce e suadente melodia cantilenante 📣, e poco per volta il canto delle sirene assume un rilievo sempre più netto, mentre gli archi (e poi anche i legni) in parte riprendono e variano il tema del corno inglese e in parte imitano il rumore delle onde. Alla battuta 37 tutto il fluire suadente e melodioso del discorso subisce una improvvisa battuta d’arresto. Tacciono le sirene, e i legni introducono con decisione un nuovo motivo, peraltro strettamente legato al precedente tema del corno inglese, accompagnato dal pizzicato degli archi, che poi passano a una figura di accompagnamento molto più vigorosa: il canto delle sirene per un momento sembra sovrastato dall’orchestra e assume una sfumatura cupa 📣, ma è solo un attimo, perché poi procede con un’intensità molto più forte (“très expressif et très soutenu”): cresce anche l’intensità sonora, col passaggio al forte e col cambio di tonalità (mi bemolle maggiore): il tremolo degli archi e le appoggiature dei legni propongono vaghe reminiscenze della fase iniziale, fino al passaggio alla seconda parte. Nel nuovo episodio anche il farsi più lento del tempo (“Un peu plus lent”) sottolinea il carattere di maggiore melanconia che il brano tende ad assumere. Le sirene propongono un motivo che non è altro che una rielaborazione, ma a un ritmo molto più calmo, del motivo enunciato dal corno inglese 📣. E’ un momento di stasi che sembra prolungarsi a lungo, fino alla battuta 72, quando l’espressione si fa più animata (“En animant surtout dans l’expression”) e tutta l’orchestra concordemente partecipa all’enunciazione un nuovo motivo di grande profondità, mentre il coro prima si limita ad alcune lunghe note tenute e poco tace del tutto. Mentre le sirene tacciono, sembra che un’ondata di entusiasmo si impadronisca dell’orchestra, col dilatarsi della sonorità (prima mf e poi f) e la maggiore vivacità del tempo (“Serré” e poi “Retenu avec force”): l’intervento delle trombe (che riprendono e ripetono il canto delle sirene) sottolinea questo nuovo stato d’animo più vivace 📣. Ma il ricomparire del canto porta con sé un nuovo rallentamento (“Tempo un peu plus lent”), e soprattutto sembra crearsi un solco tra la vivacità dell’orchestra (sottolineata da molti preziosismi timbrici) e la staticità del coro, che continuamente ripete il tema del corno inglese nella sua versione rallentata. Gli stati d’animo sembrano alternarsi: slancio e malinconia sembrano cedere il posto l’uno all’altra, finché (batt. 101) si ritorna progressivamente al tempo iniziale, ma il quadro, come nei due brani precedenti, si fa più spezzettato e cupo: si riodono frammenti dei motivi iniziali, sempre più lontani e mesti, nonostante qualche breve momento di ripresa di vivacità, fino a che tutto, rumore delle onde e canto delle sirene, s’interrompe 📣.
Lo stesso Debussy fu anche autore di un Notturno per piano 📣.
Un Notturno in si maggiore per orchestra d’archi (Op. 40) fu scritto nel 1882-83 da A. Dvořák: del brano, dall’andamento calmo e sereno, si ha sia la versione per orchestra 📣 o pianoforte a quattro mani, sia une versione per violino e pianoforte 📣. Notturno è anche l’intitolazione del terzo tempo del Quartetto n. 2 in Re maggiore scritto nel 1881 dal compositore russo A. Borodin (1833-1877) 📣.
Non si può tentare un breve profilo del Notturno in musica senza accennare alla grandiosa settima sinfonia di G. Mahler (1904-1905), intitolata spesso (anche se l’intitolazione non è dell’autore) Canto della notte (Lied der Nacht), perché contiene due Notturni (Nachtmusik), che incorniciano uno Scherzo recante la curiosa indicazione di tempo “Schattenhaft” (Tenebroso). Scritta in un momento cruciale della produzione artistica mahleriana, che si sta affrancando da consuetudini precedenti per approdare a una concezione artistica fortemente nuova (anche il trattamento dell’armonia in questa sinfonia è di particolare importanza: si veda in particolare il primo movimento, continuamente oscillante tra mi minore e si minore), la Settima sinfonia si presenta come una composizione in cinque tempi, una struttura “simmetrica”: due Allegri alle due estremità, un breve Scherzo nella posizione centrale e, come detto, due Notturni, assai diversi tra loro, in seconda e quarta posizione. La prima Nachtmusik (“Allegro moderato”) si distingue per i suoi ritmi di marcia (tanto che si è pensato che sul compositore avesse influito la Ronda notturna di Rembrandt, da lui vista al Museum di Amsterdam), accanto ad evocazioni del mondo naturale (i Naturlaute che hanno tanta parte nella poetica mahleriana).
Nella seconda Nachtmusik (“Andante amoroso”) sono utilizzati due strumenti appartenenti più al folklore che alla tradizione sinfonica, una chitarra e un mandolino, che contribuiscono a dare al pezzo momenti di sonorità insolita e quasi surreale. L’incipit affidato al violino solista è contiene richiami a brani popolari di musica (anche Verdi), ma anche questo è operato in modo da richiamare più la tradizione folklorica e quindi da aggiungere ulteriori effetti espressivi: la dizione “amoroso” aggiunta all’indicazione di tempo stabilisce con nettezza il carattere delicato del movimento, che finisce per essere assimilato a una serenata. Tra le due differenti notti del secondo e quarto tempo sta intercalato uno Scherzo che è anch’esso una notte, ma una notte di sabba e di strega (i richiami al tempo finale della Symphonie fantastique di Berlioz sono evidenti in alcuni tratti): una ricerca persino esasperata di effetti vòlti a creare un clima di angoscia, in coerenza col richiamo a ombre e fantasmi richiamato dall’inconsueta e innovativa indicazione agogica. Dopo queste tre notti di marcia, di spavento e di tenerezza, nell’ultimo movimento, la citazione dell’ouverture dai wagneriani I maestri cantori di Norimberga, che fa non solo da inizio del brano, ma da motivo ricorrente, inframmezzato da motivetti giocosi e spesso all’apparenza banali.
Nello scorcio tra fine Ottocento e inizio Novecento opera in Francia Erik Satie (1866-1925). Tra le sue composizioni figurano cinque Notturni, pubblicati fra il 1919 (i primi tre) e il 1920 (gli ultimi due). Dovevano fare parte di un ciclo di sette: un sesto è stato trovato pressoché completo tra i suoi appunti e pubblicato postumo, mentre del settimo il compositore appuntò nei suoi taccuini solamente poche battute. Personalità stravagante e molto discussa, Satie compose i notturni in un momento non felice della sua esistenza, quando, amareggiato da diverse traversie personali e dall’incomprensione dei critici, attraversò anche una fase di scarsa vena creativa. I Notturni si segnalano per la capacità del compositore di creare un’atmosfera rarefatta e calma attraverso una tessitura abbastanza semplice. Nei primi tre notturni una melodia semplice e serena (ritmo di 12/8) è accompagnata da un incessante moto di crome, che percorre tutto il brano 📣; un andamento un po’ più mosso nel terzo brano 📣. Nella concezione originaria dell’artista il breve ciclo doveva intitolarsi Faux Nocturne ed essere preceduto da una breve composizione letteraria (La notte è silenziosa | La malinconia pervade tutto | Il Fuoco fatuo disturba il paesaggio tranquillo | Che noia! Si tratta di un vecchio Fuoco fatuo | Tranquilli che viene | Riprendiamo il nostro sogno a occhi aperti, se si vuole): ma nella versione definitiva il compositore rinunciò a questo progetto, dando la più sobria indicazione di Trois Nocturnes.
Più o meno contemporaneo di Satie è il compositore francese G. Fauré (1845-1924), autore di Notturni pianistici (op. 33 n. 2 📣 e op. 74 📣).
Tra le composizioni più recenti citiamola Musica notturna op. 35 n. 10 del compositore sovietico di origine tedesca Reinhold Glière [in realtà originariamente Glier] (1875-1956), una calda e serena melodia per corno e pianoforte scritta nel 1908 📣, la Impresion nocturna del quasi contemporaneo compositore e violinista galiziano Andrés Gaos (1874-1959), un brano di grande intensità melodica scritto nel 1937 per orchestra d’archi 📣, con un andamento calmo e sereno che differenzia nettamente questo brano dalla maggior parte delle sue altre composizioni, caratterizzate spesso da un carattere veemente e impetuoso (clicca qui per ascoltare il brano nella sua integralità dal sito dedicato al compositore).