a cura della Redazione
Proponiamo una breve storia dell’immagine degli uccelli gioiosi dopo un temporale. Il modello iniziale sembra essere Arato di Soli, che, nell’esaminare i diversi segnali indicanti il cessare del maltempo, introduce specificatamente il comportamento dei corvi. Quella del poeta didascalico ellenistico intende essere un’osservazione scientifica: perciò lo schiamazzare dei corvi è semplicemente rilevato come pronostico meteorologico, e l’interpretazione psicologica riferita come una impressione:
καὶ κόρακες μοῦνοι μὲν ἐρημαῖον βοόωντες
δισσάκις, αὐτὰρ ἔπειτα μέγ’ ἀθρόα κεκλήγοντεςῥ
πλειότεροι δ’ ἀγεληδόν, ἐπὴν κοίτοιο μέδωνται
φωνῆς ἔμπλειοι· χαίρειν κέ τις ὠίσαιτο,
οἷα τὰ μὲν βοόωσι λιγαινομένοισιν ὁμοῖα,
πολλὰ δὲ δενδρείοιο περὶ φλόον, ἄλλοτ’ ἐπ’ αὐτοῦ
ἧχί τε κείουσιν καὶ ὑπότροποι ἀπτερύονται.
“E i corvi prima solitari gridano singolarmente due volte; e poi schiamazzano con forza, incessantemente, a frotte, in gran numero, pieni di voce, quando s’accingono al riposo. E si potrebbe pensare che gioiscano, tanto gridano, gli uni simili a banditori, altri molti presso la corteccia di un albero, talvolta su di esso, dove riposano e tornano in volo.” (Fenomeni, vv. 1003-1009).
Virgilio riprende nel primo libro delle Georgiche la lunga sequenza dei pronostici di Arato; ma gli animali protagonisti dei diversi signaacquistano uno spessore psicologico e sono osservati con partecipazione affettuosa. Così avviene anche per i corvi di Arato, a proposito dei quali il poeta latino utilizza parole a lui care come dulcis e dulcedo:
Tum liquidas corvi presso ter gutture voces
aut quater ingeminant, et saepe cubilibus altis
nescio qua praeter solitum dulcedine laeti
inter se in foliis strepitant: iuvat imbribus actis
progeniem parvam dulcesque revisere nidos.
“Allora i corvi con la gola serrata ripetono tre o quattro volte le limpide voci, e spesso sugli alti giacigli, lieti per un’insolita dolcezza, schiamazzano fra loro tra le foglie: piace a loro, terminata la pioggia, tornare a vedere i piccoli figli e i dolci nidi” (Georg., vv.404-414)
Il motivo ricorre in due autori della letteratura italiana: in entrambi i casi si tratta di poeti profondamente radicati nella cultura classica, in grado cioè di riprendere un modello. Per Leopardi il motivo s’incontra inizialmente nell’Elogio degli uccelli, dove è posto fra gli esempi della superiorità degli uccelli sugli altri esseri (per cui l’operetta si conclude “io vorrei, per un poco di tempo, essere convertito in uccello, per provare quella contentezza e letizia della loro vita”). Dice in particolare Leopardi:
“…nella tempesta si tacciono, come anche fanno in ciascuno altro timore che provano; e passata quella, tornano fuori cantando e giocolando gli uni cogli altri”.
Nello Zibaldone s’incontrano alcuni versi che riprendono il tema come primo elemento di una similitudine: “Sì come dopo la procella oscura canticchiando gli augelli escon del loco dove cacciogli il vento (nembo) e la paura” (Zibaldone, 21) Naturalmente la più famosa ripresa del motivo è quella dell’idillio La quiete dopo la tempesta, col celebre attacco:
Passata è la tempesta:
Odo augelli far festa…
in cui la festa degli uccelli rientra nelle diverse manifestazioni del piacer figlio d’affanno (v. 32).
Pascoli riprende il tema ne La mia sera (dai Canti di Castelvecchio). Già il titolo precisa il valore analogico della sera tranquilla che tiene dietro ad un giorno tempestoso: e la descrizione è punteggiata di richiami autobiografici. Così è anche nella quarta strofa, dedicata appunto agli uccelli, che in Pascoli divengono rondini:
Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Né‚ io… e che voli, che gridi,
mia limpida sera!