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La ricerca di Dio rimane il fondamento di ogni vera cultura

by Mariapina Dragonetti

di Moreno Morani


“Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura”.

Con queste parole Benedetto XVI ha concluso il suo discorso al Collège des Bernardins, davanti alle più autorevoli e note personalità della cultura accademica francese.

Quaerere Deum” è stato il tema di tutto il suo discorso. Era questo l’atteggiamento con cui i monaci medievali si ponevano di fronte alla realtà: “Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile: (…) dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo”. La loro non era una ricerca al buio, perché Dio aveva spianato una via, e il loro compito era di seguire questa via: “nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui”, e per percorrere questo cammino è necessario “imparare a penetrare nel segreto della lingua”: la ricerca di Dio esige la cultura della parola, e questo comporta e implica anche la formazione della ragione e la valorizzazione delle scienze profane, e una cultura del lavoro (ora et labora).


Il “quaerere Deum” non viene visto come compito proprio ed esclusivo del monachesimo medievale: “guardare verso le cose penultime e mettersi alla ricerca di quelle ultime” è l’atteggiamento vero e coerente della filosofia. Sulla base di questa conclusione, il Papa svolge un ampio commento del discorso di Paolo sull’Areopago:

 “Lo schema fondamentale dell’annuncio cristiano “verso l’esterno” – agli uomini che, con le loro domande, sono in ricerca – si trova nel discorso di san Paolo all’Areopago. (…) Paolo non annuncia dèi ignoti. Egli annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono: l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile. Il più profondo del pensiero e del sentimento umani sa in qualche modo che Egli deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella Lettera ai Romani (1, 21) – questo sapere rimane irreale: un Dio soltanto pensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano non consiste in un pensiero ma in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio.”

Noi di Zetesis ci troviamo in profonda consonanza con queste parole del Papa. Il termine greco a cui ci richiamiamo, Zetesis, non è altro che il corrispondente greco del “quaerere” latino. Il nostro lavoro è dedicato a uomini che nel loro cammino di ricerca non erano sostenuti e guidati dalle “segnalazioni di percorso” che Dio stesso aveva messo sulla strada. Uomini protagonisti di una cultura che per secoli ha fatto del “quaerere Deum” la sua aspirazione più profonda, e che guidata da questo anelito verso la ricerca del significato ultimo delle cose ha prodotto capolavori di bellezza che tutte le generazioni successive non hanno potuto fare altro che ammirare con reverente stupore, dalla poesia di Omero e della tragedia, alla riflessione del pensiero filosofico, alle superbe creazioni dell’architettura e delle arti plastiche. Questa ricerca ha in sé i tratti della drammaticità, perché, come il Papa ricorda in questo stesso discorso (e in altre occasioni), Dio non è raggiungibile se non si rivela, e non faceva parte del Suo disegno misterioso e per noi incomprensibile il rivelarsi ai protagonisti di questa cultura: per gli antichi uomini della cultura greco-latina Dio è “l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile”. La loro ricerca, nonostante la passione profusa, non poteva portare a niente: ma questa intrinseca impossibilità di arrivare al traguardo della loro ricerca non può essere vista come una sconfitta, perché, mentre cercavano di procedere in una via buia, priva di punti di riferimento e senza sbocchi, valorizzavano in misura incredibile lo strumento di ricerca che quel Dio che non avevano potuto conoscere aveva loro dato, la ragione. Quella degli antichi è la cultura del logos, esaltato e fatto risaltare in ogni sua minima potenzialità: un logos che è riflesso umano e finito di quel Logos che, come ci ricorda l’evangelista Giovanni, è all’origine della Creazione.
Con ciò il nostro lavoro di studiosi e di docenti non soltanto trova un conforto dalla autorevolissima voce del Papa, ma si presenta come estremamente attuale, perché ci riporta anche alla riscoperta delle radici ultime della nostra cultura e della nostra civiltà, e questa riflessione sulla nostra identità culturale ha anche delle implicazioni di attualità, per esempio nel dibattito sulle radici cristiane dell’Europa, che ha ripreso vigore e importanza dopo che il declino del progetto europeo e l’assunzione di atteggiamenti più moderati e consapevoli da parte di molte personalità culturali e politiche europee ha rimesso in discussione le posizioni di intransigente e antistorica chiusura che sembravano essere prevalse ai tempi, per nulla rimpianti, dell’elaborazione della cosiddetta Costituzione europea.