Home Antichi detectives Margaret Doody, La serie di Aristotele 

Margaret Doody, La serie di Aristotele 

by Mariapina Dragonetti

di Giulia Regoliosi


Aristotle detective, 1978, trad. it. Aristotele detective, Il Giallo Mondadori 1980, poi ristampato dall’ed. Sellerio nel 1999;

Aristotle and the fatal javelin, 1980, trad. it. Aristotele e il giavellotto fatale, Sellerio 2000;

Aristotle and the poetic justice, 2000, trad. it. Aristotele e la giustizia poetica, Sellerio 2000.

Aristotle and the mystery of life, 2002, (edito anche col titolo Aristotle and the secrets of life), 2002,
trad. it. Aristotele e il mistero della vita, Sellerio 2002

Aristotle and the ring of bronze, 2003, trad. it. Aristotele e l’anello di bronzo, Sellerio 2003

Poison in Athens, 2004, tr. it. Veleni in Atene, Sellerio 2004

Mysteries of Eleusis, 2005, tr. it. Aristotele e Misteri di Eleusi, 2006

Aristotle and the Egyptian Murders, 2009, tr. Aristotele e i delitti d’Egitto, 2010

Aristotle and the fable of two white crows, 2011, tr.it. Aristotele e la favola dei due corvi bianchi, 2012

A cloudy day in Babylon, 2009, tr. it. Aristotele nel regno di Alessandro, 2013

Aristotle and the House of the Winds, 2018, tr.it. Aristotele e la Casa dei Venti, 2018

Aristotle and the Mountain of Gold, 2021, tr. it. Aristotele e la Montagna d’Oro, 2021

 Aristotele (Raffaello, particolare dalla Scuola d’Atene, Stanze Vaticane);

Aristotle detective, 1978

Aristotle and the fatal javelin, 1980

L’idea di Mathieson ( Theodore Mathieson, The great “detectives”, 1960, trad. it. Quando il genio indaga, I classici del giallo, Mondadori 1992) qui allargata e genera addirittura una serie. Le prime due opere sono state scritte a breve distanza, ma in Italia la Mondadori ha pubblicato solo la prima e poi ha evidentemente perso interesse per l’autrice e il tema. Così l’editrice Sellerio ha ripreso l’opera (N.B.: il lettore non è avvertito che si tratta di romanzo già edito in Italia) e a breve scadenza ha pubblicato il secondo titolo, un racconto lungo rimpolpato con un’introduzione e una nota del grecista Luciano Canfora; nel frattempo la scrittrice (anche questa canadese) faceva uscire il terzo titolo, immediatamente pubblicato in Italia. Astutamente, il racconto, in sé piuttosto esilino, ha fatto da traino al romanzo.
Nelle prime due opere colpisce soprattutto l’accuratezza della ricostruzione storica e di costume, che senza pesare eccessivamente e senza risultare troppo pedante costituisce una naturale cornice all’intrigo. La scelta del detective non è particolarmente legata a vicende biografiche del filosofo: a parte i due ovvi dati di essere filomacedone e fondatore del Liceo, il personaggio è ricreato con la libertà permessa dal fatto che fra i grandi dell’antichità Aristotele è dei meno noti per vicende personali o peculiarità di carattere: il suo pensiero e i suoi metodi sono più conosciuti di lui. Comincia invece a profilarsi (in realtà soprattutto dal racconto) il tentativo di collegare ogni libro con un settore della filosofia del Peripato, tentativo che inizialmente comporta un riferimento alla logica e alla fisica (rispettivamente).
Al filosofo è affiancato un giovane allievo, il narratore: nel primo romanzo è coinvolto direttamente nell’indagine in quanto parente dell’accusato, in seguito farà da spalla al detective. Il whodonit è abbastanza ben congegnato, e la narrazione procede con simpatica scioltezza. Nel romanzo la vicenda culmina con un processo dinanzi all’Areopago, in cui Stefanos rappresenta il cugino accusato, che non può essere presente: la scoperta del colpevole avviene in aula, con un procedimento che richiama i gialli di Perry Mason. Benché il giallo d’ambientazione antica tenda ad evitare procedure poliziesche e giudiziarie, e si risolva spesso con la morte, accidentale o per suicidio, del colpevole (peraltro anche qui la conclusione definitiva è analoga), va detto che negli ultimi anni l’ambientazione giudiziaria sta diventando meno rara, soprattutto in libri collocati in epoca romana: si vedano più avanti alcune delle opere di Saylor e della Davis.


Aristotle and the poetic justice, 2000

La terza opera è molto particolare. Ritroviamo Aristotele cui è affidato il compito di indagare circa un presunto rapimento, e il giovane Stefanos lo accompagna da Atene a Delfi su richiesta della famiglia della ragazza rapita, che riconosce esplicitamente il suo ruolo di aiutante del detective (ruolo che, peraltro, non è più incongruo di quello di Watson o Hastings, la cui presenza accanto a Holmes e Poirot è accettata, se non sollecitata, dai clienti senza troppe spiegazioni da parte degli autori). L’intrigo giallo è macchinoso e confuso, tanto che la scoperta del colpevole, che pure avviene in modo abbastanza spettacolare, non colpisce molto, e sia il movente sia la ricostruzione dei fatti sono poco comprensibili e convincenti. In realtà è evidente che l’interesse dell’autrice non è in questo. Il romanzo è in effetti una rivisitazione di diversi generi letterari classici ed ellenistici, molti dei quali nati dall’influenza della Poetica, della Retorica e dell’Etica aristotelica: e la discussione fra maestro e allievo, che chiude il libro, fornisce, tanto quanto il titolo stesso, la chiave di lettura. Si parla dei generi letterari esistenti alla fine dell’età classica e si pensa a tutti i generi che si svilup­peranno in seguito, dall’evoluzione di quelli esistenti o ex novo, tali da soddisfare nuove esigenze, come quella di raccontare la storia appena conclusa; si parla dello scopo del leggere: “Ma qual è lo scopo di tutte queste cose – la poesia epica, il teatro, e forse anche gli altri generi letterari non ancora inventati – che tu vorresti leggere persino nell’Ade?” chiede Stefanos. E Aristotele: “Mi metti in difficoltà. Non ne sono del tutto sicuro. Perché liberarci della paura e della pietà potrebbe non essere tutto ciò che desideriamo o di cui abbiamo bisogno” (p.437). Si adombra un nuovo scopo – la lettura come intrattenimento – che dovrebbe essere raggiunto dai futuri generi ellenistici quali il mimo o il romanzo, forse anche la nea, e, sembra dire l’autrice, lo stesso giallo quasi come loro lontana derivazione.
Così il romanzo diviene una sorta di viaggio d’iniziazione letteraria: su un impianto che richiama il mito d’Oreste, più volte citato attraverso le tragedie di Eschilo ed Euripide e il cui percorso da Delfi ad Atene è seguito dai diversi personaggi a ritroso, si innestano altri episodi e figure significative: Teofrasto con i suoi Caratteri, una vicenda tratta dal Dyskolos di Menandro (un misantropo, lasciato dalla moglie, con una figlia devota, salvato dalla caduta nel pozzo…), la storia romanzesca di una coppia di giovani innamorati divisi da innumerevoli peripezie ma sempre integri e fedeli, una rustica gara di canto amebeo, scenette da mimo, ecc. Sta all’abilità dell’autrice inserire i diversi elementi senza appesantire troppo la storia: in particolare l’episodio del misantropo ripescato dal pozzo ha per protagonista lo stesso Stefanos, che alla fine sposerà la ragazza (notiamo che anche Hastings sposa un ragazza conosciuta durante un’investigazione), e per curioso testimone un ragazzino, il futuro commediografo Menandro, cui Aristotele promette un posto nel suo Liceo.


Aristotle and the mystery of life, 2002

In un’intervista riferita nella postfazione della quarta opera, la giallista canadese spiega di aver sempre ammirato gli autori della scuola hard boiled americana, in particolare Chandler ed Hammett, e di aver voluto rendere loro omaggio in questo romanzo, soprattutto tenendo conto della maggior complessità della società greca descritta in esso rispetto ai romanzi precedenti: “Atene, nel quarto secolo, sta rapidamente cambiando, entra a far parte di un mondo più complesso, internazionale, globale si direbbe oggi. Il commercio si sviluppa, sono in gioco grandi interessi finanziari. Le città-stato tramontano, l’ellenismo è alle porte. Stefanos, ormai cresciuto, sa fronteggiare situazioni più complesse”. In realtà di romanzo in romanzo sembra che crescano progetto ed ambizioni dell’autrice: dall’iniziale interesse per il metodo deduttivo della logica aristotelica che facilmente poteva condurre alla creazione di una detection (anche questa genesi è evocata in un’intervista sul finale della postfazione) all’idea di incentrare i romanzi su un settore della riflessione del filosofo, alla svolta verso un genere poliziesco più legato alla violenza e all’ambiguità di una civiltà in evoluzione; gli ultimi due obiettivi, anzi, coesistono in questo romanzo: infatti il titolo indica il focalizzarsi dell’ interesse sulle scienze della natura, e così pure i titoli delle tre sezioni (Parti di animali, Movimenti di animali, Corpo e Anima). Forse però l’ambizione risulta eccessiva e provoca alcuni inserimenti posticci o inutili: tutta la prima parte insiste in vario modo su sacrifici di animali, sacrilegi commessi con parti di animali, allevamento di animali, fino a giungere ad una sepoltura umana violata (quella della moglie stessa di Aristotele); nelle altre due parti, in cui la vicenda entra nel vivo, non è possibile far proseguire più che tanto l’elemento topico, che finisce per incentrarsi essenzialmente sulla medicina come cura del corpo e della psiche. D’altro canto lo sforzo di rendere più realistico, e quindi più violento, l’intreccio, porta a qualche effettaccio brutale e sostanzialmente gratuito (l’episodio della bambina violata e uccisa); la crescita di Stefanos cui allude l’intervista citata non può essere particolarmente rilevante, dato che il libro è la continuazione quasi immediata del precedente: proseguono le preoccupazioni economiche e i progetti matrimoniali, mentre il personaggio del futuro suocero esce dal modello letterario (se ne stacca anche nei particolari, ad esempio rifiutando come diceria l’esistenza di un figliastro) e si concretizza maggiormente, così come altre persone delle due famiglie, in particolare il fratellino di Stefanos, Teodoro; per il resto non sembra che ci siano cambiamenti notevoli.
Resta la vicenda gialla, che è legata agli intrighi politici fra filomacedoni e antimacedoni: Aristotele e Stefanos sono costretti a lunghi viaggi che li portano ad incontrare parte dell’esercito di Alessandro, per poi ritrovare i fili della vicenda ad Atene, con spiegazioni piuttosto macchinose. 


Aristotle and the ring of bronze, 2003

Aristotele e l’anello di bronzo è un romanzo breve, collocato nell’inverno successivo al libro precedente: le vicende personali di Stefanos sono immutate, mentre Aristotele sembra dimentico delle sue sciagure familiari. I motivi conduttori sono tre:
– l’idea aristotelica di forma e sostanza (esemplificata con il concetto di cerchio e un anello di bronzo);
– il racconto platonico di Gige e del suo anello di bronzo che donava l’invisibilità, su cui sono costruite diverse conversazioni, in parte di derivazione platonica (sul legame fra comportamento onesto e visibilità) in parte chestertoniana (sulle persone mentalmente invisibili);
– infine l’oratoria lisiana da cui viene preso di peso il personaggio principale, l’invalido dal sussidio minacciato, qui divenuto un bronzista. Non manca una certa saccenteria, sia letteraria sia tecnica (naturalmente la differenza fra informazioni necessarie, citazioni caratterizzanti i personaggi e saccenteria può essere di percezione soggettiva).
Data la brevità del romanzo, i motivi conduttori risultano piuttosto pesanti rispetto al plot, esilino e scarso di sorprese.


Poison in Athens, 2004

Si direbbe che il romanzo breve sia servito di prova al romanzo lungo Poison in Athens. Anche in questo vi sono più Leitmotiven, aristotelico-platonici: le riflessione politica, il rapporto bellezza/eros, la figura umana animata e inanimata (uomo, schiavo, automaton, statua, bambola, lo stato stesso come organismo). Anche in questo sono utilizzati famosi processi: quello Per ferimento premeditato (dall’orazione di Lisia), quello Contro la matrigna per avvelenamento (orazione di Antifonte), quello contro l’etera Frine per empietà (famosa orazione di Iperide, non pervenutaci), modificati e mescolati, con fatti e personaggi storici e altri inventati. Inoltre è ripreso qui l’ ambiente della prostituzione, già presente nel romanzo breve. A differenza di quello, però, tempi e personaggi sono chiari e sviluppati: il romanzo ha un lungo sviluppo, che comincia prima dell’estate del 330 e termina nell’autunno, con ampi riferimenti alle vicende estive raccontate in The secrets of life; sia Aristotele sia Stefanos hanno storie personali in evoluzione.
Nel complesso il romanzo partecipa dei difetti già individuati (eccesso di motivi filosofici) e di quelli legati alla lunghezza (ormai difetto comune a tutti i gialli attuali): soprattutto ha una partenza lentissima e noiosa. Proseguendo però ci si coinvolge nel plot; i personaggi sono ben caratterizzati e non mancano figure intriganti, in particolare l’attore/spia di Antipatro che richiama la classica figura del poliziotto zelante e incapace.


Mysteries of Eleusis, 2005

Col successivo romanzo siamo arrivati all’Etica, con un occhio alla Metafisica. Nel corso del romanzo vi sono varie occasioni di discussione (un viaggio, un simposio, un banchetto nuziale…) sulla felicità, sulla moralità, sui doveri del capofamiglia, su vari aspetti della vita. Purtroppo, per centinaia di pagine non c’è quasi nient’altro: dopo un assassinio nel primo capitolo (un altro, di un mendicante, non lo si nota quasi, così come il presunto suicidio di una vecchia schiava sconosciuta) c’è solo la routine quotidiana, quasi a dichiarare che l’etica si occupa appunto della vita dell’uomo in ogni suo aspetto anche banale: Stefanos combina le nozze, fa la spesa, discute con la madre, litiga coi vicini, si riappacifica, è citato in tribunale, organizza una festa, rifà il tetto, imbianca la casa, organizza il matrimonio, va continuamente da Atene ad Eleusi (dal suocero), da Atene ad Imetto (dalla suocera) ecc. ecc. Una specie di Vita quotidiana degli antichi greci. Certo, c’è anche qualche aspetto di detection, con scene ad effetto sul finale. Ma, a rischio di svelare troppo ai futuri lettori, vorrei dire che un whodonit in cui l’it stesso è molto vago (gli assassini sono esiti marginali di una complicata e poco credibile storia di furti) è ben poco interessante, e che un giallo in cui tutti o quasi sono colpevoli è permesso solo alla Christie.
Resta la lunghissima iniziazione ai misteri eleusini, cui si sottopongono sia Stefanos sia Aristotele con le loro donne (e, guarda caso, quasi tutti gli altri personaggi in contemporanea, anche se per alcuni è un pretesto). Nell’insieme il racconto delle cerimonie ha un notevole fascino e rivela nell’autrice un’adesione viva al senso religioso. Alla fine il filosofo discute il rapporto fra l’etica, una religione basata sulla contemplazione razionale del Dio (quale si ricava dalla Metafisica) e l’esperienza religiosa misterica: la questione, posta in modo molto interessante, resta naturalmente aperta, ma Stefanos conclude esprimendo la sua gioia nella certezza di aver ottenuto con l’iniziazione una vita immortale insieme alle persone che ama. Nei Delitti d’Egitto il legame con l’opera e la scuola aristotelica diventa quasi inesistente, a parte qualche riflessione iniziale sulla logica, con un esilissimo riferimento al principio di non contraddizione. La vicenda parte da un ipotetico scambio di identità e dalla morte di un neonato e di un povero servitore, che costituiscono in effetti il nucleo della vicenda gialla: il fatto che si svolgano ad Atene rende un po’ discutibile il titolo. In Egitto è inviato Stefanos per acquistare grano dal rappresentante di Alessandro Magno, in occasione di una grave carestia che opprime Atene: qui incappa in una serie di disavventure, causate sia da intrighi locali sia da nemici ateniesi; avrà l’aiuto del maestro, accorso in incognito, e di altre persone a lui legate. Ma l’interesse dell’autrice non è qui. Il lunghissimo romanzo è una carrellata su usi, costumi, luoghi, divinità, miti e quant’altro dell’Egitto classico ed ellenistico: ci si perde e ci si annoia.


Aristotle and the fable of two white crows, 2011

Introvabile in inglese, tanto da far pensare ad un testo scritto per il pubblico italiano, l’ultima opera della Doody è un breve romanzo, o un lungo racconto, sul tipo del Giavellotto fatale. E’ ambientato subito dopo il ritorno dall’Egitto, quando ancora Stefanos gode del prestigio per la missione compiuta e la città risente delle tensioni legate alla carestia appena terminata. Al Liceo si trovano a conversare Stefanos, Aristotele, Teofrasto, il giovane impudente Menandro, Demetrio Falereo e altri discepoli. Il filosofo inizia a raccontare un favola, che sarà poi ripresa in diversi momenti e terminata solo alla fine dell’opera: protagonisti due corvi bianchi in rivalità fra loro per la cattura di oggetti preziosi e per la protezione di un uomo che approfitta dei furti. Intercalata al racconto della favola si trova l’esile vicenda: i sospetti di un miserabile avaro verso un parente e l’incarico di Stefanos di controllare la correttezza delle spedizioni navali confluiscono in una scena notturna abbastanza suggestiva.
Non solo nel testo, ma anche nell’esplicito Poscritto l’autrice fa riferimento alla Politica aristotelica: i corvi e il ladro profittatore, come le persone coinvolte nell’intrigo, rappresentano l’egoismo individuale contrapposto all’importanza del legame con la polis. Due brevi note: è curioso che sia Demetrio Falereo a criticare il moralismo spicciolo della favola: ironia dell’autrice verso il sistematore del corpus di Esopo? E i corvi bianchi richiamano il merlo bianco di De Musset? In tal caso la diversità viene ad avere un significato opposto.


A cloudy day in Babylon, 2009

La porta di Ishtar a Babilonia (ricostruzione moderna nel Pergamon Museum di Berlino)

Uscito in traduzione nel 2013, dalle indicazioni nel risvolto il romanzo sembrerebbe scritto nel 2009, cioè due anni prima del romanzo breve precedente. Ma non si tratta solo di una questione di traduzione: la storia cornice implica decisamente uno scarto di tempo rispetto ai fatti d’Egitto narrati nei delitti d’Egitto, pure editi in originale nel 2009, e alle vicende immediatamente successive dei corvi bianchi. In sostanza sembra che l’autrice abbia tenuto nel cassetto questo lungo romanzo preferendo far uscire prima quello più breve nonostante la discrepanza cronologica: del resto nonostante titoli e datazioni in inglese, gli originali delle due opere sono introvabili: esistono? o c’è solo l’edizione tradotta? Insomma un piccolo mistero, o forse è ripetuta la furbizia del romanzo breve che potrebbe far da traino a quello lungo.
Che questo sia lungo non c’è dubbio: quasi 600 pagine. Che sia propriamente un giallo ormai è discutibile. Preparato accuratamente sulle fonti citate in appendice e nelle note, Diodoro Siculo, Curzio Rufo, Arriano, Plutarco, è un ampio romanzo storico sulle vicende della spedizione di Alessandro dalla fine dell’impresa in India alla morte e alla divisione dell’impero fra i generali: racconto colorito e fascinoso, se piace il genere storico/esotico: e dovrebbe piacere, dato il successo di Manfredi.
Stefanos, ormai maturo e padre di due figli, è costretto a recarsi da Alessandro, che si trova ad Ecbatana, per accompagnare il figlio di Antipatro; inoltre Aristotele lo prega di cercare notizie del nipote Callistene, storico al seguito di Alessandro, e un fastidioso ateniese lo supplica di procurargli una lettera di un generale del re. Si trova così coinvolto nel drammatico viaggio di ritorno della spedizione, culminante nella morte di Alessandro a Babilonia: molte altre morti, un traffico poco chiarito di bottino, una fugace avventura d’amore, la morte stessa del re già dagli antichi attribuita a possibili assassini e da Stefanos ad una drammatica e angosciosa decisione. Il titolo italiano svela quello che nel romanzo si scopre solo a metà.
Soprattutto all’inizio compaiono questioni filosofiche, etiche e letterarie come l’interazione fra caso, libertà e destino, le peripezie del teatro, i tipi fissi della commedia (il giovane Menandro si propone di scrivere l’Heautontimorumenos). Nel corso del romanzo prevale l’interesse per la deduzione e la riflessione sulle diverse credenze religiose e cosmologiche. Nella generale attenzione alla precisione stona la confusione fra Eracle e Achille nel paradosso della tartaruga.

Aristotle and the House of the Winds, 2018

Ambientata nel 326 a.C., la vicenda è precedente rispetto ad Aristotele nel regno di Alessandro, benché il romanzo sia stato scritto dopo: evidentemente l’autrice intendeva riempire un gap cronologico. Forse perché sono italiana e ho antenati siciliani, ho letto con piacere questo libro, trovandolo fascinoso come ambientazione e interessante come vicenda storica: inoltre, anche se l’autrice allude ad un suo viaggio come origine del libro, non vi ha profuso quel fastidioso gusto turistico-folklorico che si notava nei delitti d’Egitto. Prevale invece l’amore evidente per la Sicilia di ogni tempo, in cui sono sovrani solo le ninfe, dice la Doody, in cui noi siamo dèi, diceva Tomasi di Lampedusa. La storia: Aristotele e Stefanos sono raggiunti da una lettera, portata da un messaggero che muore sulla soglia: in essa un anonimo scrivente rivela di avere prove di comportamento indecente di Platone in Sicilia e li invita pressantemente a venire a vederle. Inizialmente contrari ad un viaggio ben poco attraente, vi sono spinti dal magistrato Licurgo, preoccupato della fama di Atene, e dalla fuga di un giovane studente del Liceo che ha voluto precederli. Traversata avventurosa, con compagni ambigui. A Siracusa trovano una situazione politica complessa e inquieta, fra i nostalgici di Dionisio il Vecchio, di Dionisio il Giovane, di Dione, di Timoleonte di Corinto, i ricordi orgogliosi della sconfitta di Atene e i timori di un’ingerenza macedone. Avvengono diversi omicidi e attentati con modalità particolarmente spettacolari, la cui soluzione sarà data solo alla fine, con una deduzione abbastanza arrischiata da parte del filosofo. Nel frattempo però Aristotele e Stefanos perseguono gli scopi originari, l’incontro con l’anonimo del messaggio e il ritrovamento del ragazzo scappato. Entrambi gli scopi coinvolgono scenari di grande presa: l’isola Lipara dalle alte rocce, dove un terremoto sconvolge terra e mare, e la Casa dei Venti, un edificio su palafitte abitata da una bizzarra famiglia che sembra riprodurre quella di Eolo nell’Odissea e la cui padrona (Ninfadora: in onore delle ninfe? O reminiscenza del personaggio della saga di Harry Potter?) ha conoscenze e capacità misteriose. Aiuti inaspettati permettono di raggiungere gli scopi prefissi, i documenti compromettenti sono posti al sicuro e si può ripartire. L’autrice indica in appendice i riferimenti alle opere di Aristotele e alle vicende storiche, mentre nel corso del libro vengono discusse, spesso criticate, le idee di Platone. Qualche obiezione: nautes (pag. 93 della trad. it.) non è plurale, è singolare maschile della prima; ed è Fedone, non Fedro, il discepolo che assiste alla morte di Socrate (pag. 274 della trad.it).


Aristotle and the Mountain of Gold, 2021, tr. it. Aristotele e la Montagna d’Oro, 2021
Il romanzo segue direttamente Aristotele nel regno di Alessandro, nonostante nel frattempo sia stato pubblicato Aristotele e la Casa dei Venti, che riguarda una vicenda cronologicamente precedente (si veda la relativa recensione). I due protagonisti sono da poco tornati dall’Oriente, dove hanno assistito alla morte di Efestione e poi di Alessandro stesso. E’ iniziata la corsa alla successione, in attesa della nascita del figlio di Alessandro e Rossane: già Tolomeo si è impadronito dell’Egitto e si vanta di possedere il corpo del sovrano defunto. Aristotele e Stefanos sono invitati pressantemente a recarsi a Filippi, la città creata e chiamata da Filippo II, per ricevere il compenso del lavoro svolto durante il viaggio in Oriente: nonostante le obiezioni familiari e la poca fiducia nella validità della proposta, i due partono ugualmente. A Filippi sono ospitati in una fortezza destinata a divenire la futura reggia dei re macedoni (libera invenzione dell’autrice), e sono condotti a visitare le miniere d’oro del monte Pangeo e la tomba in costruzione ad Anfipoli, dove dovrebbero essere posti i corpi di Efestione ed Alessandro. Mentre il senso del loro soggiorno in quei luoghi appare sempre meno chiaro, cominciano a morire molti dei personaggi incontrati nel percorso. Con un procedimento fondato su pochi dati e molte illazioni Aristotele scopre un triplice complotto, incentrato sul possesso del corpo di Alessandro e su diversi giochi di potere: un quarto elemento, rimasto in ombra, sembra aver manovrato l’esito finale. Non mancano motivi d’interesse, dato che il periodo storico dei diadochi non è mai abbastanza studiato; diverse conversazioni filosofiche (sul concetto di spazio e sul concetto di corpo, ad esempio) giustificano la presenza fissa del personaggio di Aristotele (meno giustificata, come spesso avviene, quella dello scialbo narratore). Ma la lettura è molto faticosa, i complotti confusi, l’indagine un po’ azzardata. Le note che richiamano libri precedenti, non sempre necessarie, e la brusca conclusione danno l’impressione che siamo giunti alla fine del ciclo.