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Achille: l’impeto e l’obbedienza

by Mariapina Dragonetti

Lettura -spettacolo al XXVI Meeting per l’amicizia tra i popoli

a cura della Redazione

Anche quest’anno presentiamo un’iniziativa nell’ambito del Meeting di Rimini, e un’altra iniziativa vede il coinvolgimento di membri della Redazione e del Comitato Scientifico della Rivista. La XXVI edizione del Meeting, che si svolge come di consueto nell’ambito del nuovo quartiere fieristico della città romagnola, è intitolata «La libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini».

In questo contesto abbiamo presentato la lettura-spettacolo Achille: l’impeto e l’obbedienza, una lettura di passaggi dell’Iliade che intendono proporsi come riflessione sul tema della libertà e dell’obbedienza agli albori della civiltà occidentale. Alla lettura dei passi, scelti e collegati a cura di Giulia Regoliosi, hanno provveduto in modo esperto e ricco di pathos gli attori Andrea Carabelli, Andrea Chiodi e Anna Nicora. La lettura-spettacolo si è svolta martedì 23 agosto alle ore 21.45 in sala C2, davanti a un pubblico numeroso ed entusiasta, come ha mostrato il prolungato e caloroso applauso finale.

A seguire il testo drammatizzato rappresentato.

E’ il decimo anno di una guerra logorante che vede contrapposti una città assediata, Troia, difesa dai suoi abitanti e da un esercito molteplice di alleati proveniente da tutta l’Asia Minore, e il grandioso esercito greco in cui tutti i contingenti sono guidati da re, i più forti eroi della loro generazione. Si tratta di una di quelle imprese collettive che riassumono un’intera epoca, come nell’età dei loro padri la spedizione degli Argonauti per la conquista del vello d’oro. I capi Greci sono lontani dalle loro patrie per aiutare Menelao a recuperare la sposa Elena, fuggita a Troia col principe Paride: ma ciascuno ha anche il suo orgoglio e il suo onore di guerriero da far rispettare: segno di questo onore, oltre alle prodezze in battaglia, sono le spoglie del nemico da riportare trionfalmente in patria; esserne privati non è solo un’ingiustizia, è una sconfitta sociale. La storia dell’Iliade comincia così.
L’ultimo bottino conquistato, in una delle molte scorrerie nei territori vicini con cui si consumano mesi e anni di inutile assedio, è stato tutto diviso: oggetti e schiavi. Ma una schiava ha una storia diversa dalle altre: suo padre è custode del tempio di Apollo e chiede rispetto: il rispetto del supplice e quello dell’uomo di Dio. La figlia è toccata come bottino ad Agamennone, che presiede il consiglio dei capi; questi respinge con parole di umiliazione e di offesa la supplica del padre, contro la volontà di tutti gli altri re.
Quando il Dio interviene e invia una pestilenza per punire tutto l’esercito per la colpa di un solo, è Achille, il più forte degli altri capi, a convocare il consiglio e a rinfacciare ad Agamennone la sua responsabilità; messo alle strette, Agamennone rinuncia alla sua prigioniera, ma non vuole essere l’unico a perderci: prenderà al posto la preda di un altro, ebbene sì: proprio quella di Achille.

I, 188-222 (Achille e Atena)

Il dolore colpì il figlio di Peleo; nel suo forte petto si divise il cuore, egli non sapeva se levare dal fianco la spada affilata, incitare gli altri alla rivolta e uccidere lui stesso l’Atride, o frenare l’impulso e calmare la collera. Mentre era così incerto nell’animo suo e stava già per estrarre dal fodero la grande spada, Atena scese dal cielo: la mandava Era dalle bianche braccia che amava entrambi gli eroi in modo eguale e di entrambi si prendeva cura. Si fermò alle sue spalle e lo afferrò per i capelli biondi – apparve a lui solo, nessuno degli altri lo vide –; colto da sacro stupore Achille si volse e subito riconobbe Pallade Atena; gli occhi mandavano lampi terribili. Egli le rivolse la parola e le disse: “Perché sei venuta, figlia di Zeus signore dell’egida, per vedere l’arroganza di Agamennone figlio di Atreo? Ma io questo ti dico e credo che questo avverrà: per la sua insolenza tra breve egli perderà la vita”
Gli disse allora la dea dagli occhi azzurri: “Sono scesa dal cielo per placare la tua collera, se vorrai ascoltarmi; mi ha mandato Era dalle bianche braccia che vi ama entrambi e di entrambi si cura. Orsù, tronchiamo la lite, non estrarre la spada; prendilo a parole, piuttosto, e insultalo come ti pare. Perché questo ti dirò e questo si compirà: un giorno ti offriranno splendidi doni, te ne daranno tre volte tanti, per la violenza subìta. Ma adesso frenati e obbediscimi” Le rispose Achille dai piedi veloci: “Conviene rispettare il vostro ordine, o dea, anche se l’animo è pieno d’ira; è la cosa migliore; se uno obbedisce agli dèi, allora essi l’ascoltano”. Disse e sull’elsa d’argento trattenne la forte mano, spinse di nuovo nel fodero la grande spada e obbedì alle parole di Atena.

Achille, nel suo impetuoso dolore, ha pur obbedito alla dea. La volontà di Agamennone si compie: una giovane donna è riportata dal padre con un’ambasceria piena di riguardi; un’altra è portata via dalla tenda di Achille da inviati dispiaciuti e imbarazzati.

I, 348-361; 414-422. (Achille e Teti)

Achille piangendo andò a sedersi in disparte, lontano dai compagni, sulle rive del mare bianco di schiuma, lo sguardo rivolto alla distesa infinita, e con le mani tese rivolgeva una fervida preghiera alla madre. “Poiché mi hai generato a una breve vita, madre, vorrei che l’Olimpio Zeus, signore del tuono, mi concedesse almeno l’onore; e invece non c’è nessun onore per me; mi ha offeso il figlio di Atreo, il potente Agamennone; si è preso il mio dono, me l’ha strappato, e l’ha fatto suo” Così diceva piangendo e la nobile madre che negli abissi del mare sedeva accanto al vecchio padre lo udì; rapida emerse dal mare bianco di schiuma, come una nebbia, si sedette accanto a lui che piangeva, lo accarezzò con la mano e chiamandolo per nome gli disse: “Figlio mio, perché ti ho cresciuto io, madre infelice?
Almeno tu stessi presso le navi senza lacrime, senza dolori, perché la tua vita è breve, non durerà a lungo. Sei votato a morte precoce e ora sei anche infelice fra tutti: per un triste destino ti ho messo al mondo nella reggia di Péleo. Parlerò dunque a Zeus, signore dei fulmini, salirò io stessa sull’Olimpo bianco di neve sperando che mi ascolti. Ma tu ora rimani presso le navi veloci, conserva l’ira verso gli Achei e non prendere parte alla battaglia”

Achille lascerà la guerra: non ha ucciso Agamennone, ma la sua ira a lungo protratta porterà alla morte molti dei Greci. Su invito pressante della madre, lo stesso Zeus acconsente a far sì che i Greci soffrano per l’assenza di Achille e del suo contingente, nei limiti della superiore volontà del destino. E si giungerà al momento in cui perfino le due dee che più amano i Greci, Era e Atena, si preoccuperanno, perché i Troiani hanno preso forza e vigore, e la disfatta greca sembra imminente. Zeus stesso lo proclama: “Tu vedrai ancora di più il supremo figlio di Crono, o venerabile Era dai grandi occhi, se lo vorrai, distruggere il grande esercito degli Argivi guerrieri. Infatti il forte Ettore non cesserà dalla guerra, finché si alzi presso le navi il piè veloce Pelide, nel giorno in cui si batteranno intorno alle chiglie…”
Agamennone si accorge molto presto dell’errore compiuto offendendo un alleato e un guerriero: sono soprattutto i rimproveri del più anziano nel campo, Nestore, a convincerlo:

IX 96-102; 109-120 (Nestore e Agamennone)

“Figlio di Atreo, signore di eroi, glorioso Agamennone, comincerò da te e con te finirò, poiché comandi a migliaia di uomini e a te Zeus ha affidato il potere e le leggi affinché li governi; devi quindi più di ogni altro dire, ma anche ascoltare, seguire il consiglio di altri se mai il cuore li spinga a parlare per il bene di tutti. Tu, obbedendo al tuo cuore arrogante, recasti offesa all’eroe più forte, che riceve onori dagli dèi immortali: gli hai preso e tieni con te il suo dono d’onore. Pensiamo ora a come poterlo placare e convincere con doni preziosi e cortesi parole” Gli rispose Agamennone, signore di popoli: “O vecchio, i miei errori li hai detti tutti, senza mentire; ho errato, infatti, e non lo nego; più di mille uomini vale colui che Zeus ama di cuore, che oggi egli onora e per il quale ha piegato l’esercito acheo. Ma poichè ho commesso un errore obbedendo a un impulso funesto ora voglio compiacerlo offrendogli doni infiniti”

Vengono scelti gli ambasciatori che dovranno recarsi a chiedere il perdono di Achille. Achille li accoglie con la gentilezza di una natura affettuosa e ospitale. Odìsseo, il più abile nel parlare, introduce nel suo discorso un ricordo: i consigli con cui Peleo, il vecchio padre, aveva accompagnato la partenza di Achille per la guerra: “Il giorno in cui tuo padre Peleo da Ftia ti mandò ad Agamennone, certo ti raccomandava: – Era ed Atena ti daranno la forza,.3 figlio mio, se vorranno; ma tu, frena nel petto il cuore orgoglioso; essere amabili è la cosa migliore; tienti lontano dalle contese funeste e gli Achei, giovani e vecchi, ti onoreranno di più – ”. Ma fra gli ambasciatori il più caro al cuore di Achille è Fenice, il precettore che l’ha allevato e che gli si rivolge con profonda saggezza:

IX 434-443; 496-514 (Fenice)

“Nobile Achille, se davvero pensi al ritorno, se non vuoi difendere dal fuoco funesto le navi veloci, perché l’ira ha colpito il tuo cuore, come potrei io, figlio mio, restare solo, senza di te? Con te mi mandò il vecchio Péleo, guidatore di carri, il giorno in cui da Ftia ti inviò ad Agamennone: eri ancora un ragazzo, non conoscevi la guerra crudele né le assemblee dove si distinguono gli uomini. Per questo mi mandò, per insegnarti ogni cosa, a parlare e ad agire nel modo migliore. Piega il tuo cuore superbo, Achille; non ti conviene essere senza pietà; anche gli dèi si piegano ed è più grande in loro il valore, l’onore, il potere; e tuttavia, con sacrifici, con preghiere amorevoli, con libagioni, con il fumo delle offerte, con le suppliche, li placano gli uomini, quando commettono colpe ed errori. Sono figlie del grande Zeus le Preghiere, sono zoppe, guerce e rugose, e seguono passo passo l’errore; ma Ate è forte ed ha i piedi veloci, le supera tutte di molto e precedendole va per il mondo ad ingannare gli uomini; le preghiere la seguono, per porre rimedio. Colui che rispetta le figlie di Zeus quando gli vengono accanto, ne trae vantaggio, i suoi voti sono esauditi; ma se qualcuno le respinge e con fermezza le rinnega, allora vanno dal figlio di Crono e pregano che Ate lo perseguiti affinché paghi il fio con danno. Rendi onore anche tu, Achille, alle figlie di Zeus, come fecero altri eroi valorosi”

Achille non è disponibile ad ascoltare. L’ira gli chiude il cuore, e gli fa respingere l’invito a cedere alle preghiere. Tristemente gli ambasciatori ritornano dai compagni ansiosi e riferiscono l’inutile tentativo. Diomede commenta: “Lasciamolo stare, che vada o che resti; combatterà quando lo spingerà il cuore nel petto e lo solleciterà un Dio”.
E la lotta riprende senza più la speranza dell’aiuto di Achille. In una grande battaglia campale, Zeus concede ai Greci un momento di sollievo e di gloria, e ad Agamennone di dar prova del suo valore. Ma è solo per breve tempo. Uno dopo l’altro, tutti i più forti guerrieri sono feriti, e Achille, dall’alto della sua nave, li vede rientrare sofferenti nelle tende. L’interesse per i più cari lo spinge a mandare l’amico Patroclo nella tenda di Nestore a chiedere notizie. Nestore riceve l’ospite con indignazione:

XI 656-668; 765-766; 783-790 (Nestore a Patroclo)

Gli rispose Nestore, guidatore di carri: «E perché mai Achille ha pietà degli Achei che sono stati feriti? non conosce dunque il disastro che si è abbattuto sull’esercito acheo? Giacciono sulle loro navi gli Achei più forti, colpiti da freccia o da lancia. È ferito il figlio di Tideo, il forte Diomede, e Odisseo dalla lancia gloriosa, e Agamennone; è ferito Euripilo da un colpo di freccia alla coscia; e Macaone l’ho trasportato or ora fuori dalla battaglia, trafitto da un dardo. Ma il valoroso Achille non si cura dei Danai, non ha pietà; aspetta forse che sulla riva del mare le navi veloci siano divorate dal fuoco funesto, nostro malgrado, e che noi stessi cadiamo uccisi, uno per uno? Amico, ricorda ciò che ti raccomandava Menezio, il giorno in cui da Ftia ti mandò dietro Agamennone: “Figlio mio, per rango Achille ti supera, ma tu sei più vecchio d’età; lui è molto più forte, ma tu parlagli con saggezza, dagli dei buoni consigli, fagli da guida; lui ti ascolterà per il suo bene”. Così diceva il vecchio, e tu l’hai scordato.”

Il compito che è affidato a Patroclo è difficile: convincere Achille a cedere, o almeno a lasciare che il suo esercito torni a combattere, sotto la guida di Patroclo, che avrà indossato le armi di Achille. Patroclo attende a lungo prima di intervenire: lascia che i Troiani scavalchino il muro che difende l’accampamento, e arrivino ad attaccare le navi greche.
Allora parla ad Achille: “Tu sei irremovibile, Achille. Che mai mi prenda un’ira come quella che serbi dentro di te, funesta”. Di fronte al rimprovero dell’amico, Achille può solo ribadire la collera che lo blocca. Però lo lascerà andare con le sue armi: purché si limiti a difendere i Greci, e non gli sottragga la gloria e quanto ancora gli resta della corrucciata vendetta giungendo troppo oltre nella lotta con i Troiani.
Ma Patroclo dovrà morire, ucciso da Ettore e da Apollo: e intorno al suo corpo spogliato delle armi si scatenerà una violenta battaglia. Achille, avvertito della morte dell’amico, resta annientato, in preda al rimorso per aver provocato la rovina di Patroclo e di tanti compagni:

XVIII, 79-82; 101-116 (Achille a Teti)

“Madre mia, tutto il Dio dell’Olimpo ha compiuto; ma quale piacere per me, ora che è morto il caro compagno, Patroclo che sopra tutti gli amici onoravo, che amavo come me stesso? Io l’ho perduto. Ed ora – poiché non tornerò mai più nella mia terra amata, e non fui luce di salvezza per Patroclo né per gli altri compagni che per mano di Ettore caddero in gran numero, poiché siedo presso le navi, inutile peso alla terra, io che tra gli Achei dalle corazze di bronzo non ho eguali in battaglia, anche se in assemblea altri sono migliori… Oh se per sempre svanissero, tra gli dèi e tra gli uomini, ira e discordia che fanno infuriare i più saggi e con la dolcezza del miele del bosco mòntano come fumo nel cuore degli uomini: quest’ira provocò in me Agamennone, signore degli eserciti. Ma dimentichiamo il passato, per quanto ci costi, soffocando il rancore nell’animo; ora io andrò a cercare colui che ha ucciso l’amato compagno, Ettore; e accoglierò il mio destino quando Zeus vorrà che si compia, e gli altri dèi immortali”

XXII, 338-345; 352-365 (Achille e Ettore)

“Per la tua vita, per le tue ginocchia, per i tuoi genitori io ti supplico: non lasciare che i cani mi divorino presso le navi dei Danai; accetta il bronzo, l’oro, quanto ne vuoi, accetta i doni che ti offriranno mio padre e mia madre, ma restituisci il mio corpo perché lo portino a casa, perché i Troiani e le loro spose lo consegnino alle fiamme del rogo” Gli rispose guardandolo con odio Achille dai piedi veloci: “Non supplicarmi, cane, né per le ginocchia né per i genitori. La tua nobile madre non ti deporrà sul letto funebre, non potrà piangerti, lei che ti ha dato la vita. Cani e uccelli ti divoreranno dalla testa ai piedi”

Nuovamente l’ira ha sopraffatto il cuore di Achille. Mentre organizza solennemente i riti funebri per il cadavere dell’amico, sottopone il cadavere del nemico ad un continuo scempio, trascinandolo nella polvere davanti alla sua città. Gli dèi non possono permetterlo: Apollo sdegnato parla a Zeus, e Zeus manda Teti da Achille:

XXIV 133-140; 143-147; 153-158 (Teti e Achille; Zeus e Iris)

Ora prestami ascolto, io vengo a te messaggera di Zeus: ti manda a dire che tutti gli dèi sono in collera e lui stesso più di tutti è adirato perché tu con animo folle trattieni Ettore presso le concave navi e non vuoi restituirlo; rendilo dunque, e del suo corpo accetta il riscatto” A lei rispose l’eroe dai piedi veloci: “E sia! Chi porterà il riscatto si porterà via il corpo, se è la mente saggia di Zeus che ordina e impone”.
E il figlio di Crono intanto mandava Iris alla sacra città di Ilio: “Va dunque, dea veloce, lascia le dimore dell’Olimpo e porta questo messaggio al nobile Priamo nella città di Ilio: vada alle navi dei Danai per riscattare suo figlio e porti ad Achille doni tali da allietare il suo cuore. Gli daremo una guida illustre, Ermes, il messaggero veloce, che lo condurrà fino ad Achille. E quando lo avrà fatto entrare nella sua tenda, l’eroe non lo ucciderà e impedirà ad altri di farlo; non è né pazzo né cieco né empio, e avrà certo rispetto dell’uomo che supplica”

XXIV 477-508; 518-524; 552-571; 582-601; 659-672 (Achille e Priamo).

Entrò il gran re, senza essere visto, e quando fu accanto ad Achille gli abbracciò le ginocchia e gli baciò le mani, le terribili mani omicide che tanti figli gli avevano ucciso.
Come quando un’acuta follia travolge un uomo, che in patria ha commesso omicidio e si rifugia in terra straniera, presso un uomo ricco, e coloro che lo vedono restano attoniti; così Achille restò stupefatto nel vedere Priamo simile a un dio; stupirono tutti, guardandosi gli uni con gli altri; e Priamo si rivolse a lui con parole di supplica:
«Ricordati di tuo padre, divino Achille, tuo padre che ha la mia stessa età ed è alle soglie della triste vecchiaia; quelli che vivono intorno lo insidiano e non c’è chi lo difenda dalla sventura e dalla rovina. Ma lui, almeno, si rallegra in cuor suo sentendo che tu sei vivo, e di giorno in giorno spera di rivedere suo figlio di ritorno da Troia. Ma la mia sventura è immensa: ho messo al mondo valorosi figli nella grande città di Troia e di loro non me n’è rimasto nessuno; cinquanta ne avevo, quando giunsero gli Achei; diciannove erano figli di una sola madre, gli altri nacquero da altre donne nella mia reggia; a molti di loro Ares ardente ha tolto la vita; l’unico che rimaneva, colui che proteggeva la città e i cittadini – Ettore – tu l’hai ucciso mentre difendeva la patria; è per lui che io vengo ora alle navi dei Danai, per riscattarlo, e porto doni infiniti. Abbi rispetto degli dèi, Achille, e abbi pietà di me, ricordando tuo padre; io sono ancora più sventurato, io che ho osato – come nessun altro fra i mortali – portare alle labbra le mani dell’uomo che ha ucciso mio figlio».
Così parlò Priamo, e in Achille fece sorgere il desiderio di piangere per suo padre; prese il vecchio per mano e lo scostò da sé, dolcemente:
“Infelice, quante sventure hai patito nell’animo; come hai osato venire alle navi dei Danai, da solo, presentarti agli occhi dell’uomo che ti ha ucciso tanti figli valorosi? Hai un cuore di ferro. Ma ora siedi su questo seggio, chiudiamo nell’animo, per quanto sia grande, la nostra angoscia; pianti e lamenti non servono a nulla”.
Gli disse allora il vecchio re Priamo simile a un dio: «Non farmi sedere, prediletto da Zeus, fino a che Ettore giace nella tenda senza che nessuno si curi di lui, ridammelo presto, che io lo veda con i miei occhi; e tu accetta i doni che ti ho portato in gran quantità; che tu possa goderne e possa tornare nella tua terra, tu che mi hai lasciato vivere e vedere la luce del sole». Ma gli rispose irritato Achille dai piedi veloci: «Non provocarmi, ora, vecchio; so che devo ridarti il corpo di Ettore, è venuto a dirmelo un messaggero di Zeus, mia madre, colei che mi ha messo al mondo, la figlia del vecchio dio del mare. E so anche, Priamo, so bene che è stato un dio a guidarti fino alle navi veloci dei Danai; nessun uomo mortale oserebbe venire al nostro campo, neppure se giovane e vigoroso; non sfuggirebbe alle guardie e non smuoverebbe facilmente la sbarra della mia porta. Non provocare, dunque, il mio animo che soffre o non ti lascerò rimanere nella mia tenda anche se sei un supplice e trasgredirò così il volere di Zeus».
Così disse, e il vecchio tremò di paura e obbedì al comando.
E l’eroe chiamò le schiave e ordinò che lavassero e poi ungessero d’olio il cadavere, ma prima lo fece portare lontano perché Priamo non lo vedesse, e vedendolo, per il dolore, non riuscisse a trattenere la collera ed egli allora non si irritasse al punto di ucciderlo, trasgredendo così il volere di Zeus. E Achille pianse chiamando per nome l’amico: «Non essere in collera con me, Patroclo, se nel regno di Ade vieni a sapere che ho restituito il divino Ettore al padre, in cambio di un riscatto non disprezzabile; di questo darò anche a te la parte che ti spetta».
Così parlò Achille glorioso e tornò alla sua tenda, prese posto sul trono prezioso da cui si era alzato – il trono che si trovava al posto d’onore – e si rivolse a Priamo con queste parole:
«Ti è stato reso il figlio, vecchio, come chiedevi, ora giace sopra il letto funebre; al sorgere dell’alba lo vedrai, quando sarà il momento di portarlo via” Gli rispose il vecchio re simile a un dio: «Se mi concedi di celebrare il funerale di Ettore glorioso, se lo farai, Achille, avrai la mia gratitudine. Siamo assediati nella città, tu lo sai, sono lontani i monti da cui dobbiamo prendere legna, e i Troiani hanno molta paura; per nove giorni lo piangeremo nel palazzo reale, il decimo lo seppelliremo e avrà luogo il banchetto funebre, l’undicesimo innalzeremo il tumulo, e il dodicesimo torneremo a combattere, poiché è necessario».
A lui disse allora il divino Achille dai piedi veloci: «Sarà così come vuoi, vecchio re Priamo; sospenderò la battaglia per tutto il tempo che hai chiesto».
Così parlò e posò la sua mano sulla mano destra del vecchio perché non avesse più timore nell’animo.

Tutta la storia – il litigio, l’ira – era nata da un padre supplice protetto dagli dèi: e si chiude con un padre supplice guidato dagli dèi. Questa volta è stato Achille a dover dire di sì: lui questo sì lo ha detto e come nel primo colloquio con Atena l’obbedienza ha avuto con fatica la meglio sulla tumultuosa passione del cuore.