Mors tua
In corpore sano
Cave canem
Morituri te salutant
Parce sepulto
Cui prodest?
Spes ultima dea
Tutti pubblicati da Mondadori dal 1990 al 1999
Anche per questa autrice c’è stato un passaggio dalla Mondadori, che ha pubblicato i primi libri, ad un’altra editrice, Hobby and Work, che ha pubblicato gli ultimi e ha rilevato la proprietà di alcuni dei precedenti. Il tutto in un periodo molto breve, perché i romanzi citati fin qui vanno dal 1990 al 1999.
L’ambientazione è romana (evidentemente) all’epoca dell’imperatore Claudio, epoca che l’autrice in varie interviste dice di aver scelto perché simile alla nostra: “In Europa non c’è mai stato un altro momento in cui la società sia stata tanto composita, tanto varia, una grande mobilità sociale, svariati modi di vita, ideologie diverse, religioni diverse, quindi una società estremamente viva” (pag. 135 in appendice a In corpore sano, Il Giallo Mondadori 1991). E rileva che tutti i romanzi storici ambientati nell’antica Roma sono collocati nella prima età imperiale. Questo, se non del tutto vero (vedi i romanzi della McCollough e polizieschi di età repubblicana o tardoantica), lo è certo per titoli famosi quali Quo vadis? o Gli ultimi giorni di Pompei; ed anche altri gialli sono ambientati all’epoca di Tiberio (Wishart), Vespasiano (L. David) o al massimo di Traiano (B. Hambly, Il ratto del Quirinale).
All’interno della prima età imperiale, la scelta dell’impero di Claudio presenta particolari vantaggi: è un’epoca abbastanza tranquilla perché ci si possa occupare di drammi privati invece che di tragedie pubbliche (come sarebbe stata l’età di Caligola o Nerone); possono essere introdotte le comunità cristiane (in Mors tua) ed ebraiche (in In corpore sano) senza la drammaticità delle persecuzioni, per cui sono solo osservate con la curiosità che ispira il diverso, a metà fra ammirazione e disprezzo, da parte dei protagonisti e forse dell’autrice; sono abbastanza vicini i tempi repubblicani perché se ne serbi il ricordo o la nostalgia (vedi i circoli stoici di Mors tua), così come drammatiche vicende quali l’eccidio della Selva di Teutoburgo (in Cave canem), e persino la guerra di Spartaco (ricordata con orgoglio da uno schiavo discendente da uno dei ribelli sempre in Cave canem); Messalina fornisce pettegolezzi alle matrone e avventure erotiche ai protagonisti, mentre Seneca, la cui presenza sarebbe scomoda da gestire, è opportunamente in esilio in Corsica.
Il detective è un senatore epicureo, gaudente e buonista; gli fa da spalla Castore, prima schiavo poi liberto: scanzonato e donnaiolo, non è certo uno Watson o un Hastings, quanto piuttosto un Archie Goodwin, anche per la dipendenza che lo lega al padrone/patrono come Archie dipende da Nero Wolfe; ma il modello fondamentale è sicuramente il servus callidus plautino. Un’altra spalla è una matrona, Pomponia, straripante come mole e affetti, ma soprattutto in grado di sapere tutti i segreti di Roma, modellata, si direbbe, su Ariadne Oliver, occasionale spalla di Poirot. L’ambientazione è discretamente curata, con frequenti riferimenti ad aneddoti o citazioni che dovrebbero rassicurare il lettore, a volte un po’ scoperti e ingenui; anche le frasi celebri che forniscono i titoli non sono sempre legate strettamente alla storia (le più centrate sono In corpore sano, dato che la protagonista è una donna con ambizioni mediche, e Morituri te salutant, perché l’ambiente è quello gladiatorio). L’intrigo giallo è generalmente buono, vario, con colpi di scena inaspettati e un parco utilizzo di elementi topici: ad esempio il messaggio in punto di morte in In corpore sano (un classico di Ellery Queen) o la filastrocca corrispondente ai delitti in Cave canem (un classico di Agatha Christie).
Negli ultimi due romanzi citati c’è qualche cedimento: prolissi e un po’ ripetitivi, tendono ad accentuare la “romanizzazione”: v. ad esempio “Ho quattro annunciatori, tre salutigeruli, un paio di flabelliferi, un tonsore, cinque balneatores, due squadre di lettighieri e un esercito di cubicolari, pocillatori, cellari…” (Cui prodest?, pag. 7). Il personaggio principale non si evolve e, non essendo uno stereotipo fuori del normale come Holmes, Poirot o Wolfe, ma un essere umano con dubbi e debolezze, finisce per irrigidirsi senza sbocchi; per fortuna altri intorno a lui si evolvono, come il rigido intendente Paride che s’innamora in Spes ultima dea. Un’evoluzione curiosa è poi il fatto che in Cui prodest? il detective dilettante sia regolarmente assunto, ma dai suoi stessi schiavi che fanno una colletta per pagare i suoi servigi.
Scelera, 2000
ed. Hobby & Work, come i seguenti fino al 2009
La successiva opera dell’autrice si presenta un po’ diversamente, come anche il titolo, che non è la solita frase, fa presagire. Si tratta in effetti di quattro racconti, corrispondenti a quattro delitti che avvengono durante le vacanze estive fra Baia e Capo Miseno:un racconto fa da cornice, gli altri sono indipendenti fra loro. Identici a se stessi i protagonisti, così come i pregi e i difetti dell’autrice: discrete le trame, con ben due messaggi in punto di morte (su uno s’incentra il racconto-cornice, l’altro è appena accennato) e una buona varietà di personaggi e ambientazioni; eccessivamente saccenti i riferimenti romani, accentuati da rubriche e indici, in cui inevitabilmente scappano errori (perché ripetutamente oechus con l’h? perché nell’indice kyrie è al vocativo, senza che questo risulti dalla spiegazione?). Anche certe arditezze risultano un po’ irritanti: nel racconto-cornice il detective fa prendere le impronte dei polpastrelli al presunto colpevole: scopo fondamentale è controllare la presenza di una cicatrice, però si comincia anche a notare la diversità delle impronte…
Gallia est, 2001
Saturnalia, 2002
La serie della giallista italiana giunta al decimo titolo acquista una veste tipografica più ambiziosa: questi due volumi sono in copertina telata con sopracoperta, e anche il prezzo ne risente. Come risulta dai due titoli (sembra ormai abbandonata la serie di frasi celebri, anche se un titolo è un’ovvia citazione) il primo libro è ambientato in Gallia, dove Aurelio deve recarsi per risolvere un delitto apparentemente legato all’ambiente druidico; il secondo durante le feste dei saturnali, in cui sono i padroni a servire gli schiavi, usanza che dà luogo ad un iniziale equivoco sull’identità di Aurelio. I due whodonit sono ben costruiti, il secondo collegato con un classico intrigo di esposizione e agnitio (ma è possibile che l’autrice abbia in mente il modello del Nicholas Nickleby di Dickens quando costruisce la scena delriconoscimento); come sempre, però, l’ambientazione è un po’ di maniera e i personaggi caricati nelle loro peculiarità: donnaiolo e scanzonato il padrone, avido e furbo il servo, straripante, curiosa e sentimentale Pomponia, serioso l’intendente (ora felicemente sposato). Appare fortemente accentuato in entrambi i libri lo scetticismo derisorio verso ogni forma religiosa, romana o straniera; nel secondo è presente una polemica sociale contro lo sfruttamento del lavoro minorile (già a partire dalla dedica Agli schiavi bambini di allora e di oggi) che risulta, a nostro parere, un po’ troppo scoperta.
Ars moriendi: indagine a Pompei, 2003 (vedi più sotto)
Olympia: indagine ai giochi ellenici, 2004
Nell’anno delle Olimpiadi di Atene (2004) la Comastri Montanari ci propone un romanzo ambientato appunto alle Olimpiadi. Ma evidentemente si è trovata di fronte ad un problema cronologico, in aggiunta al problema sull’evoluzione dei personaggi già rilevata per i libri precedenti. Perché le Olimpiadi hanno delle date: e in particolare dopo il 47 (anno in cui sono situati i romanzi immediatamente precedenti) le prime si svolsero nel 49. Ma scegliere queste significava andare troppo veloci, saltare un anno, e che anno! nel 48 Claudio condanna a morte Messalina, chiudendo così un’epoca che fa da sottofondo a tutte le storie di Aurelio Stazio. Di fronte alla prospettiva di “sprecare” il 48 saltandolo e di avvicinarsi troppo agli anni più cupi del principato di Claudio (gli anni di Agrippina) la Comastri sceglie il flashback: non le Olimpiadi del 45, che ci riporterebbero ad anni già trattati, ma addirittura quelle del 41, cioè precedenti di due anni rispetto al primo romanzo.
Tutto questo è pura illazione: non è fatto notare da nessuna parte, nei risvolti, nel quarto di copertina, nella dedica o nelle spiegazioni finali che il romanzo è collocato prima di tutti gli altri: naturalmente c’è all’inizio la data, come sempre, ma non era il caso di rilevarlo in qualche modo? Il lettore non attentissimo comincia a leggere senza accorgersi di nulla: c’è Stazio che gareggia alle Olimpiadi con i cavalli di Pomponia, e data l’irremovibilità dei personaggi potrebbe essere benissimo appena partito da Pompei. Poi si trova che è appena diventato senatore, che Claudio è imperatore da poco, che Castore è ancora schiavo e non liberto e ci si accorge della cronologia. Ma è rischioso per l’autrice che i suoi libri siano in fondo pressoché interscambiabili.
Il plot è discreto, con cambi di prospettiva e colpi di scena interessanti, tali nel complesso da far accettare i consueti difetti. C’è tuttavia un’eccessiva insistenza nel sottolineare differenze di mentalità e moralità fra Greci e Romani, differenze in realtà molto meno accentuate nell’età imperiale.
Tenebrae, 2005
Con la sua tredicesima opera la Comastri rientra nella cronologia regolare, portandosi alla primavera del 47 immediatamente successiva ai fatti di Ars Moriendi (febbraio 47), e nella collocazione logistica regolare, cioè Roma, lasciata con Saturnalia nell’inverno 46. Ritroviamo Pomponia dimentica della gamba rotta, dimentica dei nuovi affetti per cui aveva rischiato la vita pochi mesi prima e intenta all’impresa di spiare una matrona a lei odiosa che s’incontra con l’amante in una pericolante casa popolare. Forse proprio il precedente particolare della gamba rotta ha suggerito all’autrice l’idea della finestra sul cortile, il racconto cornice che vede Stazio impegnato a risolvere un omicidio a cui Pomponia, dalla sua postazione di spia, ha assistito. All’interno dell’indagine si inseriscono altri tre racconti, ambientati fuori Roma, per sostenere l’esile trama-cornice: una riunione di famiglia in cui Stazio si trova a risolvere l’omicidio di una cugina e a tenere a bada le sue sette figlie (da una di queste, cieca, trae origine il titolo dell’intera opera); un viaggio in incognito in uno dei possedimenti da cui gli sono giunte notizie inquietanti; il ricordo di un omicidio dell’anno prima che presenta vaghe analogie con quello del momento. Lasciando da parte i soliti difetti, si nota come le trame brevi reggano bene. Rileviamo però una strana caratteristica di stile: al consueto andamento svelto si alternano brani “lirici”, in linguaggio aulico, come questo che descrive il luogo amato dalla cugina cieca: a destra, chiuso tra rocce di forma bizzarra, scorreva il rivolo d’acqua alimentato dalla cisterna, gialleggiante (sic) di crochi e favagelli, e poco dopo gli arbusti si diradavano per confluire nella radura, dove una cascatella chiocciolava in una grande vasca di pietra. Il vigore selvatico di un’erba pingola, pungente sotto i polpastrelli, ne colonizzava il bordo, odoroso di umidi umori… (pag.100).
Nemesis, 2007
Ambientato sempre nel 47: un vago accenno alla continuazione dell’esilio di Seneca e i soliti generici riferimenti agli scandali di Messalina servono a ricordare la collocazione cronologica. Una misteriosa donna proveniente dal Caucaso dichiara a Stazio che ha fatto rapire Pomponia e che la farà uccidere se Stazio non s’impegna a vendicare la strage del suo villaggio, avvenuta molti anni prima ad opera di alcuni soldati romani. Diviso fra l’affetto per Pomponia, la lealtà verso Roma e il disgusto per gli inutili massacri di civili in tempo di guerra, Stazio inizia ad indagare sui soldati che avevano compiuto, diretto e ordinato l’attacco al piccolo villaggio: alcuni sono già morti, uno ha disertato ed è tuttora latitante, altri si sono variamente sistemati, uno, il più giovane, è stato l’unica vittima romana dell’incursione. Durante l’indagine avvengono alcuni omicidi, che riducono il numero dei superstiti e sembrano da attribuire alla vendicatrice. Intanto Castore e Paride, a cui Stazio non ha voluto rivelare nulla per paura di nuocere all’ostaggio, svolgono indagini e ricerche, ciascuno a suo modo, per aiutare il padrone che è chiaramente in difficoltà. La soluzione comporta diversi colpi di scena ed è ben congegnata, anche se l’idea fondamentale è presa a prestito da Chesterton e il topos del gruppo di antichi colpevoli via via ridotto è un classico.Evidenti i riferimenti polemici alle guerre del nostro tempo (in particolare l’attacco per trovare inesistenti armi nascoste). Qualche errore in mezzo alla quantità di notizie variamente fornite (Appio Claudio ha ucciso Virginia?).
Dura lex, 2009
Anche il quindicesimo romanzo si svolge nel 47, data, come già si ricordava, che prelude alla drammatica svolta nelle vicende imperiali (processo di Messalina, nozze di Claudio con Agrippina, introduzione a corte di Domizio Nerone, richiamo di Seneca dall’esilio, ecc.), svolta che inevitabilmente modificherebbe l’atmosfera pigra e festosa in cui Stazio e i suoi amici vivono. Ma un anno deve pur finire. Il romanzo è comunque piacevole. Stazio si trova a doversi occupare della morte in culla di tre neonati: per una di queste è incolpata la presunta balia, difesa da una giovane esperta di legge, Statilia, cui è però è proibito perorare la causa in tribunale. Stazio decide quindi di aiutarla nella preparazione della causa e sostituirla nell’arringa. Riuscirà a salvare l’imputata e nel contempo a risolvere gli altri due infanticidi, con soluzioni ben congegnate. Costanti i personaggi di contorno: Pomponia sempre straripante e pronta ad assumersi ogni genere di derelitti; Castore e gli schiavi viziati ma a modo loro fedeli; senatori burberi o accomodanti, amanti vecchie e nuove. Qualche piccola civetteria: il cuoco di Pomponia si chiama Anatolio come il più famoso cuoco di Wodehouse, l’ex amante è congedata con la frase finale di Rhett Butler (nella classica traduzione italiana). Qualche errore nel testo o negli indici: ad esempio Iro è il mendicante vinto da Odisseo, non Odisseo stesso travestito; e la contesa per le armi di Achille si svolge nel corso della guerra, non dopo la conquista di Troia (quindi le benemerenze di Odisseo nell’ideazione del cavallo non c’entrano).
Tabula rasa, 2011
ed. Mondadori come i seguenti fino al 2017
Pubblicato negli Omnibus Mondadori, il libro che segna il ritorno della Comastri Montanari è ambientato ad Alessandria d’Egitto (luogo che condivide con Pompei la frequenza di presenze nella giallistica antica). L’epoca è imprecisata, giacché manca l’usuale indicazione della data: l’accenno a Messalina e una sorta di riepilogo più volte ripreso delle vicende precedenti indicano che siamo ancora nel 47. Stazio è inviato da Claudio in Egitto per effettuare controlli su possibili fughe di notizie relative sia ai convogli di grano sia alle macchine da guerra; inoltre è incaricato di colloqui diplomatici con l’inviato segreto dei Parti, che si cela dietro l’ambasceria ufficiale.
Aiutato da un segretario ebreo, che lo pone a contatto con la travagliata comunità ebraica di Alessandria (ma l’ambasceria di Filone, più volte citata, è precedente, non presso Claudio ma presso Caligola), Stazio si muove nel mondo dei culti più strani, dei conflitti fra bande giovanili (tipo: fascisti contro peace and love), dei bordelli (dove ha luogo un’improbabile agnitio), del Museo, dei giochi politici; naturalmente non manca un’avventura amorosa, bizzarra e drammatica. Il libro si fa leggere, abbastanza piacevolmente.
Dobbiamo rilevare che il riferimento al greco è meglio evitarlo. Prostituta in greco è πόρνη (pòrne), non πορνή (porné); plurale, se proprio si vuole, πόρναι. Καλὸς κἀγαθός non significa “il bello è buono” (come da testo e da lessico finale), ma “bello e buono”, cioè le due metà e i due aspetti della perfezione.
Pallida mors, , 2013
Con una citazione da Orazio la Comastri riprende le fila della storia di Aurelio Stazio dalla fine del libro precedente: ormai è inutile aspettarci una data, è sempre il 47, o per lo meno la coppia imperiale Claudio-Messalina è inamovibile. Un riepilogo delle avventure precedenti in ordine sparso e un lungo elenco di donne note o ignote serve da connessione. Per il resto non cambia niente: un vago accenno a Paride che si è recato da Giunone Lucina fa supporre che la love story dell’intendente esista ancora; Castore è naturalmente sempre uguale, eccessivo e strabordante, le ancelle sempre sexy e disponibili. Solo Pomponia, le cui vicende pregresse non lasciano tracce, è in una situazione di cambiamento: soffre di crisi depressiva e la necessità di curarla è pretesto per introdurre fattucchiere, indovini e guaritori, nonché per decidere di creare a Roma un ospedale stabile, con tanto di lifting. La detection parte dal casuale ritrovamento di una cadavere trafitto da chiodi nel colombario di un’antica famiglia etrusca. Stazio viene subito a sapere che la matriarca della famiglia è appena morta, e sospetta una connessione. Tollerato dal capofamiglia, nipote ed erede della defunta, che spera un appoggio in senato per il figlio adolescente, Stazio si introduce nella complessa vicenda familiare: due fratelli o forse fratellastri, una donna fidanzata col primo e sposata al secondo, una cugina povera e bizzarra, due ragazzi inquieti, un patrimonio di origine oscure, un prozio forse eroe o forse truffatore. La soluzione si compie in una rocambolesca lotta ai bordi di una cascata e si completa con Stazio nel ruolo di pronubo e di saggio mentore. La vicenda conclusiva vanifica il legame iniziale e lascia un po’ sconcertati.
Qualche appunto linguistico: ad esempio l’uso di tale a nel senso di simile a, almeno inusuale.
Saxa rubra, 2015
Va bene, rinunciamo a che gli anni passino!
Siamo sempre in un “quinquennium Claudianum” in cui succede di tutto. In compenso qui la storia penetra a ritroso, con un riferimento ai seguaci di Agrippina Maggiore perseguitati o fatti sparire al tempo di Tiberio: in particolare un’intera famiglia, genitori, figlio maggiore e neonato, scomparsi durante una fuga sui monti. La vicenda, coi suoi traditori e i suoi lontani segreti, fa da sfondo ad un assassino seriale che sembra prendere di mira le donne amate da Stazio, lasciando sul cadavere citazioni omeriche legate alle occasioni degli incontri amorosi. Stazio finisce per essere cacciato dal senato e a rischio di arresto: d’accordo con Castore si traveste e inizia indagini in incognito. Riesce a distinguere fra diversi colpevoli (una vicenda slegata da quella principale dà origine al titolo) e, in base ad un indizio piuttosto fragile, a scoprire l’omicida seriale rivelandone la vera identità.
Un buon romanzo, con qualche saccenteria perdonabile.
Ludus in fabula, 2017
La Comastri Montanari esce col suo diciannovesimo libro, sempre ambientato (questa volta esplicitamente) nel 47, anno evidentemente di assassinii a ripetizione! Benché il protagonista ostenti di sentirsi invecchiato, e si accenni al fatto che l’intendente Paride è sposato, l’insieme di personaggi è statico, tanto che neppure risulta chiaro che il segretario Castore non è schiavo ma liberto: vedi diverse minacce da parte del padrone del tutto assurde per un dipendente libero, ma tipiche del servus callidus della commedia plautina. E’ sempre più evidente cioè che ogni libro è una commedia a sé, non parte di una storia con un contesto ed un’evoluzione. Può essere una scelta, certo, e può anche piacere: però i gialli anglosassoni con le grandi famiglie e gli intrighi politici…
Lo spunto del romanzo è attraente: una sorta di caccia al tesoro con indizi sparsi per Roma, il ludus del titolo. Però questo avrebbe potuto trasformare il romanzo in una storia corale, con molti protagonisti sguinzagliati per la città a cercare i nuovi indizi; in realtà la diffusione del ludus è solo accennata, e i contendenti si riducono a Pomponia e alla sua rivale Domitilla, connessa con la famiglia dei Suri su cui s’incentra la storia.
Storia che ha uno sviluppo molto lento, allungata da elementi di colore (usi e costumi, miti, leggende varie, ecc.) più numerosi degli ultimi libri. Dopo varie morti e qualche approccio amoroso Stazio arriva all’individuazione del colpevole e alla scoperta dell’identità di un simillimus la cui comparsa l’ha turbato: come nel libro precedente si tratta di un tentativo di dare spessore al personaggio, cercando di evitare la staticità di cui si è detto, ma la mancanza di evoluzione cronologica rende un po’ artificioso l’espediente.