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Documenti sulla religiosità degli antichi

by Giorgio Zangrandi

a cura della Redazione


Presentiamo qui documenti di religiosità antica che ci sembrano particolarmente significative, insieme col discorso pronunziato sull’Areopago da S. Paolo, che richiama il grande sentimento religioso degli Ateniesi. Una più ampia antologia di documenti sulla religiosità degli antichi, e in particolare una raccolta di preghiere pagane, si potrà trovare nel libro Al Dio ignoto, Preghiere degli antichi, a cura di Laura Cioni, Giulia Regoliosi Morani, Paola Tamburini, edito da Rizzoli (nella collana “i libri dello spirito cristiano”, diretta da don Luigi Giussani).

Simonide, fr. 38 P.

Danae è stata rinchiusa da suo padre in una cassa di legno gettata in mare insieme al figlioletto concepito da Zeus, per il timore che si avverasse un vaticinio funesto. La condizione in cui si trovano madre e figlio non lascia sperare in alcuna possibilità di salvezza. La tempesta infuria intorno a loro. Contemplando la serenità inconsapevole del sonno del bambino e temendo per la sua sorte, Danae rivolge a Zeus una preghiera.Chiede che il bambino continui a dormire e si addormentino anche il mare e il vento. Ma soprattutto invoca un mutamento nella volontà del dio, richiesta inconcepibile Per la cultura greca, che subisce it volere divino come un fato inesorabile. Infatti Danae, consapevole della sua audacia, subito dopo aggiunge, quasi a mitigarne 1’eccesso: “Se è troppo ardita la mia domanda, perdonami”.

ὅτε λάρνακι
ἐν δαιδαλέαι
ἄνεμός τε μην†πνέων
κινηθεῖσά τε λίμνα δείματι
ἔρειπεν, οὐκ ἀδιάντοισι παρειαῖς 5
ἀμφί τε Περσέι βάλλε φίλαν χέρα
εἶπέν τ’· ὦ τέκος οἷον ἔχω πόνον·
σὺ δ’ ἀωτεῖς, γαλαθηνῶι
δ’ ἤθεϊ κνοώσσεις
ἐν ἀτερπέι δούρατι χαλκεογόμφωι 10
‹τῶι›δε νυκτιλαμπεῖ,
κυανέωι δνόφωι ταθείς·
ἄχναν δ’ ὕπερθε τεᾶν κομᾶν
βαθεῖαν παριόντος
κύματος οὐκ ἀλέγεις, οὐδ’ ἀνέμου 15
φθόγγον, πορφυρέαι
κείμενος ἐν χλανίδι, πρόσωπον καλόν.
εἰ δέ τοι δεινὸν τό γε δεινὸν ἦν,
καί κεν ἐμῶν ῥημάτων
λεπτὸν ὑπεῖχες οὖας. 20
κέλομαι δ’, εὗδε βρέφος,
εὑδέτω δὲ πόντος, εὑδέτω δ’ ἄμετρον κακόν·
μεταβουλία δέ τις φανείη,
Ζεῦ πάτερ, ἐκ σέο·
ὅττι δὲ θαρσαλέον ἔπος εὔχομαι 25
ἢ νόσφι δίκας,
σύγγνωθί μοι

Quando nell’arca finemente lavorata il soffiare del vento e 1’agitarsi del mare la gettavano nel terrore, con le guance inondate di lacrime, ponendo la sua mano sopra Perseo in atto di protezione diceva: “O figlio, in quale difficoltà mi trovo; tu dormi il sonno tranquillo del bambino, adagiato in questa orribile cassa di legno dalle borchie di bronzo luccicanti nella nera notte, avvolto dall’oscurità violacea; non ti preoccupi dell’onda che si avventa spumeggiando sopra il tuo capo, né del fragore del vento, e il tuo bel viso è coperto da un drappo purpureo. Se però per te fosse terribile ciò che è terribile, tu presteresti ascolto alle mie parole. Dormi bambino, dorma il mare, dorma lo smisurato male; ma, se è possibile, un cambiamento venga da te, padre Zeus; se io ardisco pregare con una parola audace o che non conosce giustizia, tu perdonami.

Nell’immagine: Danae col figlioletto Perseo stanno per essere collocati nella “cassa di legno dalle borchie di bronzo”, per ordine di Acrisio, che con espressione inflessibile ordina di mettere in mare i due. Particolare da un vaso attico (lékythos) a figure rosse (circa 470-450 a.c.) conservato al Museum of Arts di Toledo (Ohio, Stati Uniti).


Eschilo, Agamennone vv. 160-183

Questa preghiera è inserita nel primo brano corale dell’Agamennone, un ampio angosciato racconto di colpe passate e di presagi funesti. II coro interrompe bruscamente la sua narrazione per pregare Zeus, che non è qui solo il primo fra gli dèi, ma, con una visione che sfiora il monoteismo, un essere unico e incommensurabile, a cui viene dato per ossequio il nome tradizionaleNon la grandezza e la potenza gli vengono chieste, e neppure laliberazione dal dolore, ma dall’inutilità del dolore. Solo Zeus sa far capire che il dolore redime e dona saggezza, dando così un senso non disperante pure al peccato e alla punizioneÈ un dono (chárisla parola cristiana per ‘grazia’), anche se gravoso.

Χορός

Ζεύς, ὅστις ποτ᾽ ἐστίν, εἰ τόδ᾽ αὐ- 160
τῷ φίλον κεκλημένῳ,
τοῦτό νιν προσεννέπω.
οὐκ ἔχω προσεικάσαι
πάντ᾽ ἐπισταθμώμενος
πλὴν Διός, εἰ τὸ μάταν ἀπὸ φροντίδος ἄχθος 165
χρὴ βαλεῖν ἐτητύμως.
οὐδ᾽ ὅστις πάροιθεν ἦν μέγας,
παμμάχῳ θράσει βρύων,
οὐδὲ λέξεται πρὶν ὤν: 170
ὃς δ᾽ ἔπειτ᾽ ἔφυ, τρια-
κτῆρος οἴχεται τυχών.
Ζῆνα δέ τις προφρόνως ἐπινίκια κλάζων
τεύξεται φρενῶν τὸ πᾶν: 175
τὸν φρονεῖν βροτοὺς ὁδώ-
σαντα, τὸν πάθει μάθος
θέντα κυρίως ἔχειν.
στάζει δ᾽ ἔν θ᾽ ὕπνῳ πρὸ καρδίας
μνησιπήμων πόνος: καὶ παρ᾽ ἄ- 180
κοντας ἦλθε σωφρονεῖν.

CORO

Zeus, chiunque mai sia, se con questo nome a lui è caro essere invocato, con questo lo invoco. Non ho nulla da paragonargli, pur ponderando ogni cosa, al di fuori di Zeus, se veramente il vano peso dell’angoscia voglio gettare.
Neppure chi prima era stato grande, traboccante d’ardire gagliardo, neppure più si dirà che è esistito; e chi venne poi, se ne va dopo essersi imbattuto in uno più forte di lui. Ma chi volentieri intona epinici a Zeus otterrà 1’interezza del senno, lui che ha condotto 1’uomo a essere saggio, stabilendo che avesse valore 1’apprendere attraverso la sofferenza.
Stilla nel sonno dinanzi al cuore 1’angoscia memore del suo male: e anche presso quelli che non vogliono giunge il momento di capire: dono violento degli dèi che seggono sul trono maestoso.


Il discorso di Paolo agli Ateniesi

NT, Atti, 17, 22-31

Σταθεὶς δὲ [ὁ] Παῦλος ἐν μέσῳ τοῦ Ἀρείου Πάγου ἔφη, Ἄνδρες Ἀθηναῖοι, κατὰ πάντα ὡς δεισιδαιμονεστέρους ὑμᾶς θεωρῶ·  διερχόμενος γὰρ καὶ ἀναθεωρῶν τὰ σεβάσματα ὑμῶν εὗρον καὶ βωμὸν ἐν ᾧ ἐπεγέγραπτο, Ἀγνώστῳ θεῷ. ὃ οὖν ἀγνοοῦντες εὐσεβεῖτε, τοῦτο ἐγὼ καταγγέλλω ὑμῖν. ὁ θεὸς ὁ ποιήσας τὸν κόσμον καὶ πάντα τὰ ἐν αὐτῷ, οὗτος οὐρανοῦ καὶ γῆς ὑπάρχων κύριος οὐκ ἐν χειροποιήτοις ναοῖς κατοικεῖ  οὐδὲ ὑπὸ χειρῶν ἀνθρωπίνων θεραπεύεται προσδεόμενός τινος, αὐτὸς διδοὺς πᾶσι ζωὴν καὶ πνοὴν καὶ τὰ πάντα· ἐποίησέν τε ἐξ ἑνὸς πᾶν ἔθνος ἀνθρώπων κατοικεῖν ἐπὶ παντὸς προσώπου τῆς γῆς, ὁρίσας προστεταγμένους καιροὺς καὶ τὰς ὁροθεσίας τῆς κατοικίας αὐτῶν, ζητεῖν τὸν θεὸν εἰ ἄρα γε ψηλαφήσειαν αὐτὸν καὶ εὕροιεν, καί γε οὐ μακρὰν ἀπὸ ἑνὸς ἑκάστου ἡμῶν ὑπάρχοντα. Ἐν αὐτῷ γὰρ ζῶμεν καὶ κινούμεθα καὶ ἐσμέν, ὡς καί τινες τῶν καθ’ ὑμᾶς ποιητῶν εἰρήκασιν, “Τοῦ γὰρ καὶ γένος ἐσμέν.  γένος οὖν ὑπάρχοντες τοῦ θεοῦ οὐκ ὀφείλομεν νομίζειν χρυσῷ ἢ ἀργύρῳ ἢ λίθῳ, χαράγματι τέχνης καὶ ἐνθυμήσεως ἀνθρώπου, τὸ θεῖον εἶναι ὅμοιον. τοὺς μὲν οὖν χρόνους τῆς ἀγνοίας ὑπεριδὼν ὁ θεὸς τὰ νῦν παραγγέλλει τοῖς ἀνθρώποις πάντας πανταχοῦ μετανοεῖν, καθότι ἔστησεν ἡμέραν ἐν ᾗ μέλλει κρίνειν τὴν οἰκουμένην ἐν δικαιοσύνῃ ἐν ἀνδρὶ ᾧ ὥρισεν, πίστιν παρασχὼν πᾶσιν ἀναστήσας αὐτὸν ἐκ νεκρῶν.

Traduzione latina Vulgata

Viri athenienses per omnia quasi superstitiosiores vos video: praeteriens enim et videns simulacra vestra inveni et aram in qua scriptum erat Ignoto deo.Quod ergo ignorantes colitis hoc ego adnuntio vobis. Deus qui fecit mundum et omnia quae in eo sunt hic caeli et terrae, cum sit Dominus non in manufactis templis inhabitat nec manibus humanis colitur indigens aliquo, cum ipse det omnibus vitam et inspirationem et omnia. Fecitque ex uno omne genus hominum inhabitare super universam faciem terrae definiens statuta tempora et terminos habitationis eorum, quaerere Deum si forte adtractent eum aut inveniant quamvis non longe sit ab unoquoque nostrum: in ipso enim vivimus et movemur et sumus, sicut et quidam vestrum poetarum dixerunt: ipsius enim et genus sumus. Genus ergo cum simus Dei, non debemus aestimare auro aut argento aut lapidi sculpturae artis et cogitationis hominis divinum esse simile. Et tempora quidem huius ignorantiae despiciens Deus nunc adnuntiat hominibus ut omnes ubique paenitentiam agant, eo quod statuit diem in qua iudicaturus est orbem in aequitate in viro in quo statuit, fidem praebens omnibus suscitans eum a mortuis.

Allora Paolo, alzatosi in mezzo all’Areòpago, disse: “Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio. Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dá  a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo. Essendo noi dunque stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana. Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi, poiché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare la terra con giustizia per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti”.