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Editoriale 1989-2

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Il nostro lavoro di questo periodo è sollecitato da alcune circostanze, che possono offrire occasioni positive di ripensamento e di confronto. Anzitutto l’annuncio del concorso riservato ha fatto fiorire una quantità di corsi preparatori: molti di noi hanno la possibilità di parteciparvi come docenti o discenti. Dato il taglio didattico delle prove concorsuali, i corsi sono generalmente impostati sul significato dei nostri studi e sulla metodologia d’affronto di diversi aspetti del programma (lingua, letteratura, lettura dei classici): ne dovrebbe derivare una concretezza priva di accademismi, di proposte suggestive ma lontane dalla realtà della scuola, di “unità didattiche” che nessun insegnante riuscirà mai a trasferire nel suo lavoro di classe. Occorre vigilare in tale senso: ma anche impedire che la concretezza divenga efficientismo e banalizzazione, sia sganciata cioè da un chiaro e preciso valore.
Un discorso analogo va fatto a proposito dei corsi d’aggiornamento organizzati dalle singole scuole (gli IRRSAE non sono generalmente molto propensi a moltiplicare corsi di latino e greco: si veda la recensione al testo di B. Mariano nella rubrica Letti per voi). La recente distribuzione dei fondi d’incentivazione (peraltro di entità assai poco incentivante) ha spinto molte scuole a chiamare esperti e a progettare corsi più o meno lunghi. Spesso, per una sorta di complesso d’inferiorità, si ritiene che gli unici esperti possibili siano i docenti universitari: in realtà, salvo rare eccezioni costituite da docenti provenienti dall’insegnamento medio o particolarmente interessati all’aspetto didattico delle loro discipline, il docente universitario può solo fare una conferenza su un piccolo settore specialistico; difficilmente conosce i problemi dell’insegnamento e talvolta non sa neppure quali autori siano presenti nei programmi. E’ assai meglio ricorrere, oltre che alle eccezioni di cui si parlava prima, a insegnanti medi impegnati nella problematica didattica. Purtroppo un’altra forma di complesso d’inferiorità si va diffondendo in particolare nei licei classici: in molte scuole si introducono forme di sperimentazione che aggiungono materie ed ore al curriculum di base. Le più diffuse sono quella dell’informatica nel biennio (due ore; quattro se si aggiunge anche la sperimentazione di fisica) e il prolungamento della lingua straniera nel triennio (tre ore nei primi due anni, due nel terzo). Altre possibili aggiunte sono meno comuni, per lo meno nella scuola pubblica. Si parlava di complesso d’inferiorità: spesso sono proprio gli insegnanti di latino e greco che si vergognano, più o meno consciamente e apertamente, di avere “tanto tempo” a disposizione per materie in fondo socialmente improduttive e accettano senza protestare qualunque aggiunta al curriculum che ridimensioni i loro “privilegi”: e ci sono anche quelli che sollecitano una riduzione dell’orario di latino e greco, cioè delle proprie materie, per poter far spazio a nuovi insegnamenti.
Noi riteniamo che il liceo classico sia una scuola che regge e funziona, che garantisce cultura di base, capacità di studiare e organizzare le conoscenze, arricchimento umano; riteniamo che molti lo scelgano perché è cosi, superando anche notevoli difficoltà di adattamento e rischi di bocciature. Non siamo contrari aprioristicamente alle sperimentazioni, per quanto sia evidente che un appesantimento dell’orario rende assai più faticoso il lavoro dello studente: siamo contrari all’idea, che vi è sottesa, che il liceo classico abbia fatto il suo tempo; tanto più se ad avere questa idea sono gli insegnanti di latino e di greco.