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Editoriale 1990-1

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Continua, in forme più o meno sfumate, la guerra contro i licei in generale e contro il liceo classico in particolare. In tutte le guerre vi sono battaglie combattute a viso aperto e vi sono manovre subdole volte a indebolire il nemico e condotte coi mezzi più disparati o perpetrate magari per mezzo di agenti infiltrati. In questa guerra (tutta particolare, dal momento che pochi hanno il coraggio di ammettere apertamente il fastidio per una scuola troppo lontana da un certo schema mentale) sembra prevalere nettamente la seconda possibilità. A quest’ultima categoria appartiene sicuramente il recente provvedimento che minaccia di cancellare da un momento all’altro l’esistenza di numerosi licei di provincia, taluni dei quali ricchi magari di tradizioni culturali prestigiose, illustrati dall’insegnamento di personalità famose che vi hanno fatto il loro tirocinio didattico prima di approdare a traguardi più elevati, forniti di biblioteche nelle quali si sono accumulati in vari decenni testi di prim’ordine. Notiamo che nessuna personalità politica o funzionario del ministero ha mai fatto dichiarazioni di aperta ostilità nei confronti dei licei: eppure non possiamo nascondere l’impressione che per qualcuno di loro il vero scopo dell’operare in senso riformista sia, al fondo di tutto, proprio questo. ln questo senso gravissima preoccupazione ci viene dalla lettura di una lettera pubblicata su “il Giornale” del 18 giugno, in cui un preside (pare, ahimè, di liceo classico) formula una serie di critiche nei confronti di questo tipo di scuola: si tratterebbe di una scuola di pura trasmissione (questa l’avevamo sentita già nel ‘68: mancava scrivesse di pura trasmissione della cultura dei padroni o della classe borghese), di una scuola in cui insegna un corpo docente tutto particolare (il che è molto spesso vero, ma nel senso del tutto positivo di una coscienza professionale assai più profonda di quanto avvenga in altre scuole), senza sperimentazioni o con sperimentazioni accettate obtorto collo e con molta nostalgia per I’ordinamento passato, senza materie importanti quali il diritto e l’economia. Tutte cose che, dette nel 1970, avrebbero meritato un sereno dibattito: dette nel 1990 sanno tanto di stantio, di déjà vu, e non si riesce a capire fino a quale punto arriva l’ingenuità e da quale punto comincia la mala fede: aggiungiamo anche che l’ingenuità non dovrebbe essere compresa tra le prerogative professionali di un preside. Detto questo, non stiamo a ribattere delle tesi che non meritano replica: ricordiamo solo che sono proprio i diplomati del liceo classico gli studenti che ottengono poi i voti migliori anche nelle facoltà di giurisprudenza e di economia, e che proprio tra i diplomati del vecchio e superato liceo classico si ha all’università il minimo di “morta|ità scolastica” anche nelle facoltà scientifiche: il che ci sembra constatazione definitiva.