a cura della Redazione
«Bisogna avere un caos dentro di sé per generare una stella danzante».
La frase di Nietzsche, così affascinante e suggestiva (utilizzata anche per una diffusa Tshirt), ci sembra adatta per definire le attese che la scuola in questi mesi (anni?) ha espresso nei confronti di studenti e insegnanti. La trasformazione dei saperi in percorsi, già perseguita con insistenza nella scuola dell’obbligo (in particolare in occasione degli esami di quinta elementare e terza media, ma sovente anche nella normale programmazione), insinuata attraverso operazioni editoriali rozze o scaltrite, imposta con modificazioni forzate di programmi negli istituti professionali, diventa la parola d’ordine in ogni scuola superiore grazie agli esami di maturità, la cui onda lunga lambisce tutta la realtà scolastica. Il ‘percorso’ in sé è entusiasmante: supera la distinzione fra materie, i limiti cronologici, l’analiticità eccessiva; fa scoprire nessi, somiglianze, imitazioni e opposizioni, archetipi e rielaborazioni creative, corrispondenze nella diversità. E’, insomma, una “stella danzante”.Ma bisogna “avere il caos dentro di sé”? Perché questa sembra essere la pretesa. Banalmente si potrebbe alludere alle indicazioni che per tutto l’anno si sono accavallate sotto forma di circolari e siti Internet, raccomandazioni orali e dichiarazioni ai massmedia, videocassette e pubblicazioni di ogni genere e dimensione: un martellamento continuo e appunto caotico, pochissimo adatto ad un lavoro minimamente creativo. Ma la questione è più di fondo: noi sappiamo che lux facta est perché Dio ha voluto crearla dal caos. E’ frutto dell’amore trinitario, dello Spirito creatore. Non sembri un discorso estraneo alla circostanza: la scoperta dei nessi, il riordino del disordine esige un principio unificatore dentro di sé, la percezione e il tentativo di vivere un’unità che permette di scoprire -con stupore e commozione- l’armonia fra i frammenti del reale. Senza di ciò qualunque percorso resta estrinseco, forzato, un collage di fatti privi di autentici legami: un collage, ripetiamo, e non un disegno dove, per dirla con Victor Hugo, tout se tient.
L’età dei nostri ragazzi difficilmente implica la presenza di un principio unificatore dentro di sé: è l’età del caos e del frammento. La scuola nella sua programmazione tradizionale imbriglia questo caos con sequenze per lo più cronologiche (almeno per le materie umanistiche e per le scienze umane) che si sviluppano su binari paralleli anche se sovente percorsi in momenti diversi. L’eccesso di analiticità che caratterizza soprattutto i licei nasce dall’ansia di non saltare passaggi, di far comprendere il prima e il dopo, e possibilmente il perché e il perciò. Il grosso rischio è l’assenza della sinossi (anche quando vengono svolti fatti assolutamente contemporanei), dovuta alla presenza di insegnanti diversi, alla non coincidenza dei tempi di insegnamento ma anche alla refrattarietà degli studenti a ‘guardare a destra e a sinistra’, ad accorgersi, per limitarci alle nostre materie, che Taranto del terzo secolo a.C., Taranto studiata nel biennio in quanto conquistata da Roma, è patria di Livio Andronico studiato in letteratura al terzo anno ma anche di Leonida epigrammista studiato nell’anno finale. Il rischio c’è ed è reale. Molta parte del nostro lavoro consiste nel richiamare i rapporti cronologici – il che significa individuare gli archetipi, i modelli, la creatività e la libertà degli epigoni, ma anche contestualizzare gli autori, collocarli nel loro tempo, vederli interagire con la civiltà che li genera. Significa anche studiare la storia delle idee, lo sviluppo delle problematiche, l’affermarsi e l’entrare in crisi di valori. Esiste tuttora nei programmi di greco (in quelli di latino è scomparsa casualmente) l’indicazione di una ‘sintesi organica’ a cui destinare una parte dell’anno terminale per rielaborare e porre in giusto ordine la cultura antica. Abbiamo spesso discusso questa indicazione, espressa in modo oscuro: ma in effetti se ne vede la logica, soprattutto per quanto riguarda l’inizio della formulazione: “L’insegnante curerà…”. Quale ragazzo sarebbe in grado di fare anche semplicemente una sistemazione cronologica? Quale dei nostri giovani che hanno in sé il caos e il frammento?
Ma questa ‘sintesi organica’ non è neppure il tanto conclamato ‘percorso’. Quest’ultimo, nella sua realizzazione più autentica, richiede non solo un’età e un’intelligenza capaci di passare dall’analisi alla sintesi, ma una capacità culturale che, come si diceva, è solo di chi ha maturato la consapevolezza dell’organicità del reale. Non è facile nei ragazzi per la loro immaturità; ma anche negli adulti esiste una competenza frammentaria, una cultura che fonda le sue certezze sulla critica più accreditata, tali da precludere la percezione e l’individuazione dei nessi più profondi e affascinanti.
E dunque? Solo chi ha un senso dentro di sé può generare; solo il principio unificante permette di cogliere l’unità. Anche un ragazzo può cominciare ad intuirlo, se esperimenta questa unità nella sua vita: più di molti adulti, forse, perché è un’esperienza che vince i limiti e fa diventare più grandi di sé. Se questo avviene in lui e in noi possiamo aiutarlo a capire meglio, a mettere a fuoco con più limpidità.
Ma se questo non avviene, allora i legami che si possono individuare per i ‘percorsi’ sono estrinseci fino al risibile, forzati, strumentali. Non culturali né educativi.