a cura della Redazione
“L’episodio di Ulisse e Polifemo ha somiglianze con racconti di altri popoli: ad esempio nella Bibbia il piccolo Golia ha vinto il gigante Davide”: così, o press’a poco, una collega ha trovato scritto in un compito di letteratura greca. Raccontandolo, ha suscitato risate (non sempre, non da tutti) e una sostanziale minimizzazione dell’errore. L’impressione è che non sia stato colto l’essenziale della questione: nessuno studente di liceo, probabilmente pochissimi anche di altri livelli di scuola confonderebbero Ulisse con Polifemo: in particolare uno studente liceale di livello medio sarebbe in grado non solo di parlare dell’origine folklorica dei libri del viaggio nell’Odissea, ma anche dell’evoluzione del personaggio di Ulisse negli autori successivi, e (almeno in terza) del personaggio del Ciclope innamorato in Teocrito. È sconcertante che invece un episodio biblico così famoso provochi un simile equivoco, denotando un’ignoranza pressoché assoluta delle storie dell’Antico Testamento. La questione ci preoccupa da tempo. È esperienza comune l’imbarazzo dei ragazzi di fronte a opere d’arte di soggetto biblico: ricordo di aver dovuto raccontare, ad esempio, durante una gita d’istruzione, la vicenda della distruzione di Sodoma, della fuga di Lot e della trasformazione della moglie in statua di sale: nessuno dei ragazzi sapeva spiegarsi il senso di quella figuretta bianca con una città in fiamme sullo sfondo. Così, introducendo il tema del sacrificio d’Ifigenia, parlo abitualmente del sacrificio di Abramo e dell’episodio della figlia di Iefte: una studentessa, che faceva parte di un coro, mi chiese una volta di spiegarle meglio la vicenda di Iefte, perché finalmente riusciva a capire il senso di un testo che stava imparando a cantare; d’altra parte anche l’episodio ben più rilevante di Abramo non è sempre noto: uno studente a cui avevo proposto di leggere il primo capitolo di Mimesis di Auerbach, che utilizza questo passo per effettuare un interessante confronto fra lo stile di Omero e quello dell’autore biblico, confessò la sua ignoranza in proposito e volle che gli raccontassi prima la storia.
Il vivo interesse che tutti condividiamo per il mito grecoromano non può farci dimenticare che i personaggi biblici sono presenti nell’arte, nella musica, nella letteratura di ogni paese, e in particolare popolano la Divina Commedia almeno quanto i personaggi mitici e storici. Eppure non sembra esserci uno spazio nella scuola per conoscerli. L’insegnante di religione ha un orario troppo limitato per poter effettuare ampie letture bibliche, e comunque si rivolge solo a una parte dei ragazzi; l’insegnante di greco avrebbe teoricamente nel suo programma sia la traduzione dei Settanta sia il Nuovo Testamento, ma il momento per affrontare questi argomenti è troppo a ridosso della fine della terza perché siano anche solo accennati: e inoltre nel poco tempo a disposizione altri sono gli aspetti di fondo da preferire; l’insegnante del biennio, che ha nel programma di storia anche la storia ebraica e i suoi documenti, si è visto ampliare enormemente il programma, così da ridurre inevitabilmente lo spazio dedicato ai popoli “storicamente meno rilevanti”.
Che fare? Non ci pare solo un problema d’erudizione, anche se l’ignoranza delle vicende è scandalosa: ci pare in gioco la sottolineatura dell’importanza della Bibbia come testo-base della nostra cultura, se non altro alla pari con i poemi omerici: come non è richiesto a nessuno studente di credere in Zeus per conoscere la mitologia greca, e d’altro canto gli si richiede invece di accostarvisi col rispetto e l’attenzione di chi incontra fatti e figure esemplari, con cui tutto un popolo si è misurato e in cui si è riconosciuto, così dovrebbe essere possibile far incontrare con libertà e rispetto anche le figure bibliche, espressione del popolo ebraico e del popolo cristiano. Anche l’insegnamento della storiografia greco-romana potrebbe trovare utilità in un raffronto (sul senso della storia e della storiografia, sugli scopi e i metodi) con i libri storici della Bibbia, vale a dire con l’unica altra testimonianza di un interesse per la conservazione della memoria degli eventi; senza dire che gli eventi sono in gran parte intrecciati con quelli tramandati in occidente: tutta la storia ebraica è storia di rapporti con gli stessi popoli che costituiscono la materia delle Storie di Erodoto, della Ciropedia di Senofonte, nonché fonte essenziale per le vicende dei diadochi nei testi più recenti.
Non ci sembra di avere per ora molte risposte da dare. Un’ipotesi potrebbe essere quella di organizzare un progetto, magari utilizzando il 15%, che coinvolga più insegnamenti, ad esempio lettere al ginnasio, italiano, latino e greco, religione, arte, anche storia e filosofia, o musica dove c’è un ampliamento in tal senso: l’obiettivo è la conoscenza del testo biblico e della sua presenza nella nostra cultura. Certo, è necessario un gruppo di docenti non solo preparati e motivati, ma anche rispettosi: ci accorgiamo che l’idea è impegnativa e rischiosa. Ma forse si potrebbe tentare. Naturalmente chi avesse già esperienze in tal senso è pregato di farcene partecipi.