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Editoriale 2005-2

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Dalla speranza infatti fummo salvati (Ps. 122, 2-3)

Non è un caso che in questo numero abbiamo deciso di pubblicare una raccolta di passi biblici e patristici sulla speranza, scelti trentacinque anni fa per desiderio di d. Giussani. Senza la speranza nessuna opera – come nessuna vita – può vivere e crescere. Così il fatto di festeggiare un anniversario, di continuare ad esserci come rivista, e prima ancora come amicizia e ὁμόνοια fra molti che vi hanno partecipato e collaborato, è un segno importante di una vita fondata sulla speranza.
Questo il mondo antico, a cui pure tanto dobbiamo, non ce l’ha insegnato. È pur vero che la speranza è l’unica cosa che resta nel vaso dopo il gesto con cui Pandora obbedisce agli ordini pesanti di Zeus: ma a che serve quest’unico effimero bene dopo che tutti gli altri sono stati gettati, e il male è penetrato nel mondo come privazione del bene? Anche Prometeo si vanta del dono fatto agli uomini, cieche speranze: ma i vivi di un giorno possono fruirne solo come di illusioni, per credere in una vita aperta ad un futuro che non c’è. Con esplicita consapevolezza dirà Orazio: spatio brevi / spem longam reseces; e Seneca affermerà che noi possediamo solo il nostro passato, se non lo smarriamo per un eccesso di attivismo o non vi rinunciamo per vergogna: sul presente e sul futuro non possiamo contare.
 Solo una promessa già provata può garantire la speranza: ma nel mondo pagano l’unica voce in tal senso è quella di Virgilio:       

O socii (neque enim ignari sumus ante malorum)  
 o passi graviora, dabit deus his quoque finem.      
  . . . . . . . . . . . . . .      
  Per varios casus, per tot discrimina rerum,     
  tendimus in Latium, sedes ubi fata quietas      
ostendunt: illic fas regna resurgere Troiae.       
Durate et vosmet rebus servate secundis.

Dabit deus: è la straordinaria certezza di un pagano di cui i secoli successivi hanno indagato con stupore la misteriosa preveggenza. Con stupore, perché unica.
Noi viviamo di una speranza che non viene meno, fondata su una promessa già compiuta, che è già visibile. Per questo vale ancora la pena di operare: non per l’attesa della riforma (o del suo capovolgimento) e neppure per la pensione (che per i più vecchi di noi non è lontana).

Grazie a tutti.