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Editoriale 2008-1

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Proponiamo alcune riflessioni sull’anno appena trascorso.

Anzitutto sulla questione “debiti”, come sono continuamente chiamati dai testi ministeriali, o sospensione del giudizio o rinvii a settembre o come d’altro si chiamano. Osserviamo infatti come persino il linguaggio comune si sia alterato: non si sa come definire il fatto che un ragazzo, o un figlio, non è stato promosso né bocciato; e se questo può sembrare un puro nominalismo, in realtà c’è sotto molto di più, un disorientamento diffuso cui partecipa anche molta parte degli addetti ai lavori. Quanti docenti sono arrivati allo scrutinio ignorando che sul tabellone non ci sarebbero stati i voti? e che lo studente con un 5 in matematica avrebbe ignorato fino alla promozione/bocciatura finale i voti delle altre materie? Due casi a me personalmente noti: una madre si rivolge direttamente al Ministero (non so attraverso quale tramite) protestando perché la scuola del figlio non comunica i voti delle materie sufficienti, e infine giunge trionfante a scuola con la risposta: i docenti possono ufficiosamente comunicare i voti che propongono in scrutinio. Che bella novità! A sua volta un consiglio di classe ritiene di dover riportare a verbale e nelle comunicazioni alle famiglie anche i voti negativi “sanati”, ignorando cioè che le materie non soggette a ulteriore verifica non risultano ancora oggetto di scrutinio, e che scrivere in testi ufficiali dei voti negativi dovrebbe ipso facto comportare il rinvio a verifica successiva. 

Nel precedente editoriale si ricordava il polverone suscitato dal ministro d’Onofrio nel 94/95 e ci si proponeva di vivere quest’anno con meno preoccupazione e più attenzione agli studenti. Ci sembra non sia stato possibile: anzi, ci sembra sia andata ancora peggio. Bene o male siamo stati capaci di organizzare le diverse tornate di recuperi, anche se la questione delle 15 ore (in assoluta mancanza di spiegazioni da parte di non uno ma due successivi ministri) è stata risolta in modo avventuroso e autarchico: a seconda delle scuole 15 ore per tornata, per materia, per classe, per ragazzo, a volte con tagli assurdi che eliminavano i corsi delle materie d’indirizzo. Ma il clima in cui il tutto si è svolto è stato avvelenato da un bombardamento continuo di notizie contrastanti (se ricordiamo bene, questo non era avvenuto nel 94/95): sull’esistenza o meno dei soldi per i recuperi, sull’utilizzabilità di personale esterno, sulla legalità del decreto (la risposta a tale quesito, posto dai COBAS, è giunta all’epoca degli scrutini), sulla liceità di utilizzare i primi giorni di settembre per le verifiche, sulla compatibilità del decreto Fioroni con le sue decisioni precedenti che prorogavano di un anno la verifica dei debiti, fino ai casi particolari quali il destino degli studenti già in partenza per l’anno all’estero e le sospensive eventualmente decise dal TAR in caso di ricorsi.

Siamo arrivati allo scrutinio frastornati e seccati, lasciati soli da due ministri, con la confusa idea che ci veniva chiesto di essere severi e nello stesso tempo di ridurre (per motivi organizzativi ed economici) le sospensioni di giudizio. Temiamo che la logica del bocciare subito o promuovere subito abbia fatto molte vittime e molti privilegiati.  

In secondo luogo qualche osservazione sugli esami di Stato. Il brano di Luciano assegnato come seconda prova scritta al liceo classico non ha avuto l’esito pesantemente negativo del testo di Seneca dello scorso anno, cosa sicuramente confortante. Si può obiettare che si tratta di un passo notissimo del Come si deve scrivere la storia, presente nei versionari e nelle antologie: ma il rischio che uno studente o una classe l’avesse letto in traduzione o anche affrontato come esercizio non è poi così rilevante. Altrettanto irrilevante la questione delle varianti, su cui i media hanno montato assurdamente un caso: piuttosto preoccupa il fatto che dei docenti abbiano considerato errore una varia lectio o, peggio, una differenza di punteggiatura; quanto alla comprensibilità da parte degli studenti, è discutibile se un τῷδε da intendere più o meno come pronome indefinito fosse meno comprensibile di un τῷδε ἢ τῷδε da intendere “a questo o a quello”. Piuttosto l’aspetto interessante della scelta ministeriale è il fatto che il brano verificava non solo competenze linguistiche ma anche conoscenze: la difficile seconda parte risultava decisamente più perspicua a chi ricordava le vicende dell’opera di Erodoto e soprattutto le dichiarazioni metodologiche di Tucidide, che Luciano riporta quasi alla lettera; inoltre l’affermazione dell’importanza dell’obiettività per lo storico richiamava autori dell’anno terminale, quali Polibio (la polemica contro Filino e Fabio) e soprattutto Tacito: qualche studente ha notato la somiglianza della coppia μίσει-φιλίᾳ con le coppie tacitiane amore-odio e ira-studio delle due opere principali. 

Maggiore perplessità ha suscitato la scelta dei brani di argomento o autore classico proposti per la prima prova. In realtà la perplessità è di fondo: sarebbe davvero auspicabile un ripensamento sulle diverse modalità di prima prova, di anno in anno più discutibili (e non solo per lo scambio uomo/donna nella lirica di Montale). Insegnamo agli studenti a parlare e scrivere di ciò che sanno, suggeriamo che ricerca significa approfondimento di un tema e indagine mirata delle fonti: che senso ha la finzione di un articolo/saggio su un’accozzaglia casuale di passi estrapolati da testi ignoti? con gaffes quali il passo della Morante, che dovrebbe dimostrare l’errore razzistico di chi si basa sulla prima impressione, ma in realtà prosegue con una violenza carnale?

Ma lasciamo il problema agli italianisti. Qui ci limitiamo a contestare la scelta del brano di Lucrezio per un tema su scienza e tecnologia (certo l’attacco alla religione suonava bene!) e della citazione di C. Mosse in cui l’espressione ciceroniana otium cum dignitate veniva a indicare il nobile rifiuto del lavoro manuale. Naturalmente è apprezzabile la scelta del passo dal sesto libro dell’Odissea: però ci sembra che ben altra ricchezza di spunti offrisse il nostro programma sul rapporto con lo straniero, mentre il ministero costringeva ad appiattirsi sull’unico testo dato. Certo, si può pensare all’intenzione di facilitare le cose per chi ha una preparazione modesta, o per le scuole di livello più basso: ma in questo modo si penalizza chi sarebbe in grado di affrontare lavori di ampio respiro, senza aiutare sostanzialmente chi neppure sa chi sia Omero, o Lucrezio, o, per tanto così, la Morante.

Sicuramente ci sono studenti a cui si potrebbe chiedere qualcosa di più, e a cui si potrebbe offrire una soddisfazione maggiore. Nel nostro liceo abbiamo da anni un corso si traduzione dal greco al latino: ricordiamo anzi con affetto e commozione il prof. Mario Zambarbieri, anima di questo corso, che è mancato a metà dell’anno. Ma un suo allievo è riuscito ugualmente vincitore del Certamen Florentinum. Siamo inoltre lieti di comunicare che in questo numero della rivista diamo spazio a un contributo di una giovane studentessa, vincitrice di un importante concorso nazionale. Proseguiremo con questa iniziativa anche nei prossimi fascicoli, pubblicando altri contributi di giovani, così da mostrare quanto interesse e creatività ancora può generare lo studio del mondo classico.