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Editoriale 2010-1

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Quest’anno sono successe molte cose nella scuola superiore, e molte se ne prevedono per il futuro prossimo. La riforma è sul punto di avviarsi, con mutamenti non del tutto condivisibili. L’aver inserito un po’ all’ultimo momento scienze al biennio del classico ha troppo l’aria di un escamotage per essere credibile: bisognava riportare a tre le ore d’inglese nel triennio senza violare il tabu orario, per cui si è dovuto appesantire il biennio con una materia in più, una materia alla cui urgenza crede solo l’Invalsi (e i suoi accoliti ministeriali). Temiamo due conseguenze: un appesantimento eccessivo per i ragazzini che approdano al liceo oppure un approccio ludico alla materia, con depauperamento delle conoscenze quinquennali. Grave ci sembra il fatto che in ogni anno del triennio il blocco scientifico sia passato da sette ore a sei: poco importa che circa le stesse ore siano state spalmate su più anni, ciò che viene meno è la logica della piramide rovesciata che da sempre caratterizza un tipo di scuola aperta ad ogni opzione universitaria: poche materie all’inizio, molte e ben affrontate salendo verso la conclusione. Va da sé che la riduzione dell’italiano e della geografia è stato un pesante scotto da pagare alla scienza, o più probabilmente all’inglese.

Anche un esame dei programmi suscita perplessità. Il disperato tentativo (che risale ancora al Brocca: 20 anni!) di far coincidere programma di letteratura e letture in lingua comporta il suggerimento, che speriamo resti tale, di anticipare al primo anno del triennio tutta l’età di Cesare, con letture da Catullo e Lucrezio: entrambi autori da rimandare (attualmente, non a caso, Lucrezio è proposto da moltissimi docenti nell’anno terminale), perché richiedono conoscenze impossibili da possedere in una fase così iniziale: la lirica greca per Catullo (letta in lingua al secondo anno) e la filosofia ellenistica per Lucrezio (al più insegnata alla fine dell’anno). Per contro sembra ci sia una prevenzione per l’età arcaica, in realtà molto importante dal punto di vista storico e linguistico. Lasciata al secondo anno la sola età augustea, il terzo si carica di proposte amplissime quanto disordinate: ad esempio Lucano inserito dopo Quintiliano, in pieno classicismo, è un po’ sconcertante, apre strani orizzonti sulle conoscenze degli estensori. Leggere in lingua un po’ di tutto (secondo la logica delle letterature cosiddette “integrate”, con cui l’editoria ha cavalcato o anticipato una serie di riforme diverse) rischia di trasformare il momento privilegiato di “autori” in una sorta di versionario, o di scelta di assaggini tipo happy hour.

In greco è stato molto più ostico tentare di mettere d’accordo letteratura e autori: l’unico tentativo è stato il bizzarro spostamento all’anno finale (già amplissimo) di tutto il IV secolo a.C., per poter inserire letture da Platone, Isocrate (estrapolato dagli altri oratori attici) e Aristotele. Ottima l’idea di leggere questi autori (da anni anch’io avevo scelto di posticipare Platone all’anno finale), ma del tutto inutile quella sorta di predatazione dell’Ellenismo che viene forzatamente proposta. Del resto con tutta la buona volontà non si è riusciti a eliminare la lettura della tragedia, o a spostare in blocco l’intero genere tragico all’anno finale.

Un discorso a parte va fatto per il liceo scientifico. Lasciando stare l’opzione senza latino, su cui non intendiamo soffermarci qui, è evidente che la riduzione non solo del latino ma in genere del settore umanistico ha spinto questo liceo in una direzione diversa da quella tradizionale: al di là del nome, lo scientifico è sempre stato considerato, fin dalla sua creazione e nell’opinione di famiglie e docenti della secondaria di primo grado, un liceo un po’ più facile del classico ma in fondo non molto diverso. L’impressione è quella di una scuola che ha annaspato in cerca d’identità: c’è da chiedersi se le modifiche le daranno un volto più definito. Resta per noi l’impegno a reinventare un programma di latino che non perda l’essenziale: un impegno importante, pena la scomparsa della materia coi futuri ritocchi.

Ma c’è una positività che non viene meno. Quest’anno ho avuto occasione di lavorare con un gruppo di docenti di lettere giovani, anche molto giovani: è stata un’esperienza di grande bellezza, nonostante la fatica di mettere insieme preparazioni diverse, teorie mutuate dai vari corsi abilitanti (in genere più fuorvianti che utili), metodi mutuati dai diversi professori universitari e non ancora messi alla prova, i primi impatti con la realtà scolastica non sempre gratificante. Il lavoro che ho richiesto a vecchi e nuovi, uno sforzo di riconsiderare le materie nei diversi livelli e nei diversi licei (la nostra scuola comprende classico e scientifico), una riflessione sui libri in uso, l’individuazione dei saperi per fasce di livelli a partire non da obiettivi astratti o sognati ma dalla concretezza delle classi, il confronto sui metodi e sui contenuti, fino alla riflessione sulle singole verifiche, ha messo in luce non solo ovvie difficoltà non sempre superabili, ma soprattutto disponibilità a giocarsi, umiltà di chiedere, individuazione di differenze come valore e non come obiezione, una grande passione per il latino e il greco, l’italiano, la storia, la geografia, e per i ragazzi che avevamo davanti.