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Editoriale 2016-1

by Mariapina Dragonetti

a cura della Redazione


Quest’anno ho tenuto un corso di dieci ore su Erodoto in una Università della terza età, dove tengo questi brevi corsi ormai da otto anni. È stata un’occasione importante per rivisitare un autore sempre insegnato e amato  nella programmazione scolastica ma inevitabilmente legato a poche scelte di brani, quelli presenti nelle antologie e ripetuti con un po’ di pigrizia. È stata anche una scommessa: far interessare il mio pubblico a lontane vicende storiche, oltre che a idee, usanze, credenze inusuali, espresse non in forma poetica come i testi letti negli anni passati ma nella prosa del narratore.

Che personaggio straordinario, inesauribile: creatore della storiografia, di cui propone gli scopi e, con la ricerca delle cause, il metodo; interessato a tutto l’umano, tanto che il primo scopo proposto è salvarlo dall’oblio del tempo, indagatore curioso dei nomoi  e tenacemente rispettoso della loro diversità, tanto da considerare folle Cambise che se ne beffava, ammiratore della capacità dei Greci di unirsi nel momento delle difficoltà, di combattere in modo ordinato anche quando colti di sorpresa, eppure acuto e realista nel rilevarne divisioni, opportunismi, motivi poco limpidi, capace di elogio verso gli Spartani per la loro obbedienza alla legge e al posto assegnato, anche se l’elogio è attribuito ad un esule traditore, ma ammiratore anche di Atene che definisce, come decisa opinione personale, salvatrice dell’Ellade, pessimista sugli dèi e sulle vicende umane ma capace di ammettere, per bocca di Creso, che la colpa è dell’uomo e non del dio, osservatore attento di pregi e difetti dei diversi ordinamenti politici così da aprire la via a tutta la riflessione politico/filosofica successiva, narratore affascinante, creatore di una modalità del raccontare che tuttora attrae.

Ma è soprattutto l’equanimità fra Greci e Barbari che colpisce: nel proemio dice di scrivere perché le imprese straordinarie degli uni e degli altri non restino prive di fama; e di fronte ai prodromi delle guerre persiane con tutto il loro carico di devastazioni e di morti commenta:  furono l’origine di gravi sciagure e per i Greci e per i Barbari. Amici e nemici sono accomunati nell’apprezzamento e nella pietà.

Non è solo per la rivisitazione di Erodoto che scrivo questo: negli ultimi anni mi è capitato, per gusto personale o per diverse occasioni, di leggere o rileggere opere intere, o le opere di uno stesso  autore: molto si scopre che le letterature non dicono, che le antologie sempre più ristrette non riportano; molto si mette in crisi di giudizi riduttivi, schematici, limitati a una visione parziale, dei critici, dei commentatori o anche propria; molto si mette in discussione in termini di apprezzamenti,  migliorandoli se si scoprono pieghe inaspettate o peggiorandoli se l’opera intera risulta inferiore ai “pezzi scelti”. 

Ai ragazzi in classe, ad ogni pubblico che ci si trova davanti bisogna insegnare a leggere: in originale, se è possibile, in traduzione (sempre controllata!) se l’ambito non lo consente o il tempo scolastico stringe. Leggere vuol dire essere e rendere liberi: da sovrastrutture e ideologie, da schemi propri e altrui, dal già saputo e scontato, dal timore di un nuovo incontro che scompagini i piani e le idee. Vuol dire confrontare la propria umanità, il proprio vissuto, con quelli dell’autore, per noi dell’autore antico, cogliendone la distanza ma anche la somiglianza di desideri ed esigenze, rilevandone contraddizioni e ambiguità ma scoprendone il valore di segni di quell’andare come a tentoni che s. Paolo notava nell’antica Atene.

Come ho già più volte osservato, noi e i nostri allievi siamo in fondo dei privilegiati: abbiamo la possibilità di incontrare e far incontrare un mondo che non ci ha solo preceduto, né è soltanto alle radici del nostro, ma ha individuato ed espresso tutta la complessità dell’umano, l’importanza dell’appartenenza come l’accoglienza dell’altro, l’autosufficienza e il valore dell’amicizia e della solidarietà, il nemico e il supplice magari nella stessa persona, il senso del limite e la divina follia, l’aspirazione a divinità incontrabili e il desiderio inesausto delle perfezione divina, il mito e il logos. Dove questo incontro avviene in lingua c’è tutta la ricchezza formale e semantica, strutturale e concettuale: la libertà si amplia, non si rischia di essere alla mercé di traduttori erronei o fuorvianti. Diventa risibile allora ogni obiezione sulla difficoltà del liceo classico avanzata in un recente convegno molto pubblicizzato: la proposta di censurare due declinazioni latine, semplificare in qualche modo l’aoristo greco, eliminare la versione e quant’altro poggia su un’idea perversa di lingua come inutile sovrastruttura, faticosa e maligna, e al fondo sulla svalutazione di uno studio serio ed educativo, una scuola appunto di libertà.