Home Uncategorized Gli occhi nella tenebra: la Vigilia. Telifrone, Lucio e Trasillo

Gli occhi nella tenebra: la Vigilia. Telifrone, Lucio e Trasillo

by Mariapina Dragonetti

di Tiziano Lorenzo Vezzoli

IV capitolo de La tenebra e la luce nelle Metamorfosi di Apuleio


1. Veglia versus Accecamento

Abbiamo visto nel capitolo precedente cosa può accadere a chi si lasci ingannare da una luce falsa. La dimensione opposta e contraria a quella dell’accecamento è la veglia, ovverosia la vigilia, il momento in cui, anche se nell’oscurità e nelle tenebre, gli occhi devono restare ben aperti. A questo proposito crediamo sia possibile trovare interessanti spunti di analisi confrontando l’esperienza di Lucio e la vicenda narrata da Telifrone a casa di Birrena. La tenebra è il luogo comune dell’azione dei due personaggi: entrambi infatti devono evitare di cadere preda della goetìa, che trova nell’oscurità la propria dimensione.

2. Telifrone totus oculeus

Paesaggio del monte Eta, nei pressi di Ipata

Il nostro Lucio viene invitato da Birrena a un banchetto a cui prende parte il fior fiore della città di Ipata. È che questi ascolta la vicenda strana e paradossale di uno dei convitati, di nome Telifrone (1). Questi racconta che, in gioventù, gli era capitato di attraversare la Tessaglia per recarsi a vedere i giochi olimpici. Fermatosi nei pressi della città di Larissa, aveva accettato di vegliare un defunto dietro compenso di denaro. In verità il compito non si presentava dei più facili. Infatti Telifrone apprende da un passante che in quella regione le sagae mulieres ora mortium passim demorsicant, a motivo dei loro sortilegi stregoneschi: eaque sunt illis artis magicae supplementa (lII, 21). La stessa persona lo informa anche sulle caratteristiche della custodela feralis (II, 22): Iam primum – respondit ille – perpetem noctem eximie vigilandum est, exertis et inconivis oculis semper in cadaver intentis, nec acies usquam devertenda, immo ne obliquanda quidem, quippe cum deterrimae versipelles in quodvis animal ore converso latenter adrepant, ut ipsos etiam oculos Solis et Iustitiae (2) facile frustrentur; nam et aves et rursum canes et mures, immo vero etiam muscas induunt. E aggiunge: Tunc diris cantaminibus somnio custodes obruunt. La sola arma di cui dispone il custode sono dunque gli occhi che, ci si dice, devono restare bene fissi e aperti per evitare di essere ingannati dalla magia delle streghe (3). Occorre vigilare senza sosta sull’oggetto da sorvegliare, poiché tutto è possibile in una realtà dove gli aspetti esteriori degli oggetti tendono a confondersi mutuo nexu. Il rischio è quello di cadere in un sonno che nelle Metamorfosi immagine della morte (4). D’altra parte, l’importanza degli occhi e della loro funzione viene rafforzata anche dalle garanzie che Telifrone presenta all’anziano banditore che lo ingaggerà (II, 23): Ineptias mihi narras et nugas meras. Vides hominem ferreum et insomnem, certe perspicaciorem ipso Lynceo vel Argo, et oculeum totum (5). È a questo punto che si pone per noi un interessante e necessario confronto con le vicende di Lucio. Entrambi devono prestare attenzione, in un modo o nell’altro, alle malefiche arti delle versipelles e delle sagae mulieres. Se torniamo ora a un episodio avvenuto precedentemente ricorderemo che Birrena, dopo aver mostrato a Lucio il complesso scultoreo di Atteone e Diana posto nell’atrio del suo palazzo, si rivolge a Lucio con termini che attestano con forza il pericolo della magia (II, 5): Per hanc Deam, o Luci carissime, ut anxie tibi metuo et ut pote pignori meo longe provisum cupio, cave tibi, sed cave fortiter a malis artibus et facinorosis illecebris Panphiles illius…. Lucio purtroopo decide proprio in quel momento di ficcare i propri occhi nell’inganno della magia, usando la vigilia in senso opposto a quello suggeritogli dalla materna ospite (6). Così in (II, 6): At ego, curiosus alioquin, ut primum artis magicae semper optatum nomen audivi,  tantum a cautela Pamphiles afui, ut etiam ultro gestirem  prorsus in ipsum barathrum saltu concito praecipitare “Age – inquam – o Luci, evigila et tecum esto…“ Infatti constatiamo che, una volta tornato a casa, Lucio finisce con il concentrarsi totalmente sulla ancella Fotide (7):

 sed adsidue respiciens praeministrantem Photidem inibi recreabar animi, il che lo porterà alla trasformazione (8).

 Se proseguiamo nel racconto di Telifrone, noteremo altre interessanti analogie. Innanzitutto, Telifrone ci descrive la casa dove dovrà vigilare: (II, 23) Vix finieram, et ilico me perduxit ad domum quampiam, cuius ipsis foribus obseptis per quamdam brevem posticulam intro vocat me, et, conclave quoddam obseratis luminibus unbrosum intrans, demonstrat matronam flebilem fusca veste contectam… È l’oscurità a dominare in questo ambiente dove i portoni di ingresso sono sbarrati – foribus obseptis – e dove si occorre passare per quamdam brevem posticulam fino ad arrivare a un conclave umbrosum, che ha anch’esso le finestre sbarrate: obseratis luminibus. Una tenebra così totale rappresenta una buona sfida per il nostro ferreus Telifrone (9). Ma l’atmosfera che Lucio incontra al suo arrivo presso la casa di Milone, non è dissimile da quella della vicenda di Telifrone (I, 22): ostium accedo et ianuam firmiter oppessulam pulsare vocaliter incipio. Gli risponde la servetta Fotide: Heus tu qui tam fortiter fores verberasti… la quale, una volta informatasi sul nuovo venuto, torna a richiudere i battenti delle porte foribus oppessolatis. Solo alla fine, e con fatica, a Lucio viene dato il permesso di entrare : patefactis foribus  intuli me.
 Come unica “compagna” Telifrone avrà la lucerna, una lucerna praegrandis con oleum ad lucem luci sufficiens; massaggiatisi gli occhi per prepararli al lungo lavoro che li attende –perfrictis oculis et obarmatis ad vigiliam – la sentinella canta per risollevarsi l’animo – animum meum (10) permulcebam cantationibus (11). Ma ecco che, nel cuore più profondo della notte, irrompe l’imprevisto:… cum ecce crepusculum et nox provecta et nox altior et deinde concubia altiora et iam nox intempesta. Mihique oppido formido cumulatior quidem…; al culmine di un crescendo che accomuna il calare delle tenebre al crescere della paura di Telifrone una mustela (12) entra, non si sa come, nella camera chiusa a chiave (13). Fissato Telifrone con uno sguardo penetrante – cum repente introrepens mustela contra me constituit obtutumque acerrimum in me destituit (14) – l’animale fa cadere il malcapitato in profundam quietem sepulto (15), a tal punto che non si sarebbe potuto distinguere fra l’uno e l’altro corpo: ut ne Deus quidem Delphicus facile discerneret, duobus nobis iacentibus, quis magis esset magis mortuus. Sic inanimis et indigens alio custode paene ibi non eram.

3 .Telifrone addormentato

Per scoprire cosa accade a Telifrone addormentato (16) dobbiamo riferirci alle parole che Zatchlas propheta primarius fa pronunciare al defunto da lui custodito, tornato temporaneamente in vita. Scopriamo grazie a questo intervento magico che un’imprevedibile omonimia (17) accomunava il vigilante e il vigilato. Ridotto a un’ombra dall’incantesimo della strega trasformatasi in mustela, Telifrone risponde istintivamente al richiamo delle streghe che, oltre la porta, chiamano il defunto; Telifrone si alza e, morto anch’egli (in exanimis umbrae modum), va ad accostarsi alla fessura da cui, come rivela il vero Telifrone, gli vengono tagliati naso e orecchie: (II, 30) ad suum nomem ignarus exsurgit et  per quoddam foramen prosectis naso prius ac mox auribus vicariam pro me lanienam sustinuit. Assistiamo così alla sostituzione e alla dissolvenza del vivo nel morto, dal momento che ormai anche il primo Telifrone è di fatto un’ombra (18). La confusione dell’uno nell’altro, di T1 in T2, riassume narrativamente lo sconvolgimento e il sovvertimento delle regole del reale che ci era stato indicata come la caratteristica delle Metamorfosi. Questo episodio ci appare anche come l’anticipazione dell’incontro di Lucio con la magia (III, 21), quando il protagonista viene condotto da Fotide sulla soffitta, e lì per rimam ostiorum quampiam spia i rituali di Panfile che sta per trasformarsi. In questo modo Lucio stabilisce anch’egli un contatto diretto con la realtà della goetìa e per causa di essa perde l’integrità dell’essere umano, assumendo l’aspetto asinino così come Telifrone aveva perso l’integrità del suo volto. Ci sembra utile richiamare le parole di V. Ciaffi che, fra gli altri studiosi, ha messo bene a fuoco questo particolare momento (19): “Telifrone … in exanimis umbrae modum si accosta alle fores cubiculi fino ad assumere lì dietro l’atteggiamento tipico del curioso, di colui che spia per un foramen e ci perde naso e orecchie, al modo stesso dell’altro che suspenso et insono vestigio sale con Fotide ad illud superius cubiculum, per applicare l’occhio anche lui ad una rima ostiorum e perdere, a quella vista o in seguito a ciò, la sua figura tutta quanta”.

Immagine del sito archeologico di Madaura, città natale di Apuleio

4. Lucio e Telifrone

A questo punto è opportuno sviluppare alcune considerazioni. Abbiamo visto lo stretto rapporto che intercorre tra la vicenda di Telifrone e quella di Lucio, sulla base del concetto di vigilia. Partendo da questa acquisizione possiamo notare che il racconto di Telifrone, commensale di Byrrena, pone Lucio di fronte alla drammatizzazione di quell’esortazione che gli era stata rivolta, nell’occasione precedente, proprio dalla “madre” Birrena (20) (II, 5): Cave tibi, sed cave fortiter a malis artibus Pamphiles illius… Lucio e Telifrone erano stati avvisati chiaramente sulle conseguenze dell’impresa a cui si accingevano. Entrambe le metamorfosi avvengono di notte e l’e­lemento dell’oscurità, in opposizione a quello della luce, era stato già ribadito dalle parole di Birrena che riguardo a Panfile aveva detto (II, 5): omnem istam lucem mundi sideralis imis tartaris et in vetustum Chaos submergere novit. Abbiamo visto che in Lucio era già iniziato, nel momento in cui osservava Atteone, il processo di caduta e di trasformazione. La stessa cosa si ripete ora per Telifrone: al canto del gallo egli si sveglia e controlla il corpo del defunto (21) per accertarsi che tutto sia andato bene, come appunto gli appare, tanto che viene congedato con il desiderato compenso. Come Telifrone guarda se stesso senza avvertire quanto egli sia stato stravolto nell’immagine dalle streghe, così Lucio non riesce a scorgere nella statua di Atteone una rappresentazione plastica del suo destino (22). Telifrone viene però ridotto a mal partito dai parenti del morto quando si offe di fornire presto i suoi servigi di custode di morti: la sua condizione di sicurezza, che noi sappiamo falsa e infondata (23), cede il passo a uno stato (24) di lacerazione (laceratus atque discerptus) (25) che anticipa con chiari e dolorosi segni la sua vera e radicale metamorfosi (26).

 Un altro elemento da rilevare nella analogia tra Lucio e Telifrone è l’accenno alla curiositas (27), componente fondamentale del carattere di Lucio. All’inizio del racconto Telifrone ricorda che era stato il desiderio di vedere i giochi olimpici a spingerlo a Larissa: profectus ad spectaculum Olympicum, cum haec etiam loca provinciae famigerabilis adire cuperem, peregrinata cuncta Thessalia fuscis avibus Larissam acessi. Tratti pressoché identici troviamo anche nel racconto di Socrate ad Aristomene (I, 7), dove di nuovo la curiosità appare come principio di sventura: Me miserum qui dum voluptatem gladiatorii spectaculi satis famigerabilis consector in has aerumnas incidi modo priua quam Larissam accederem, per transitum, spectaculum obiturus,a vastissimis latronobus obsessus atque privatus... La notte di Socrate e quella di Telifrone troveranno pieno compimento in quella di Lucio, che si prolunga per tutti i primi dieci libri delle Metamorfosi.