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I Persiani. La tragedia più antica del mondo, riportati sulle scene a Milano(ottobre 2023)

by Mariapina Dragonetti

di Mariapina Dragonetti


È arrivato in scena a ottobre a Milano al teatro Oscar, dopo spettacoli in varie sedi nel corso dell’anno, un monologo con/di Silvio Castiglioni incentrato su I Persiani di Eschilo, per la regia de I Sacchi di Sabbia, dal titolo I Persiani. La tragedia più antica del mondo.

Rispetto alle precedenti rappresentazioni, lo spettacolo milanese offre come novità la presenza di un gruppo di giovani studenti del Liceo Classico della Fondazione Sacro Cuore nel ruolo del coro – introduzione che ha comportato anche innovazioni nel testo e nella performance in generale.

Lo spettacolo, breve, ma godibile e immediatamente percepibile nel suo messaggio e nelle sue intenzioni comunicative, presenta, al di là del sempiterno valore del messaggio eschileo, alcuni motivi di particolare interesse per le sue scelte drammaturgiche.

1.  Non si tratta in realtà della sola riproposizione del testo de I Persiani, come il titolo dello spettacolo attualmente in circolazione farebbe pensare, ma di un racconto della rappresentazione che del testo di Eschilo fu messa in scena nel 472 a.C., a soli «otto anni dalla guerra persiana che aveva distrutta la città» nel teatro di Atene, di fronte a cittadini ancora scottati dall’esperienza della guerra contro i Persiani, anche se vittoriosa. E l’attore commenta: «Ma come gli [ad Eschilo] è venuto in mente…? Forse è diventato matto», facendo intuire l’azzardo di questa operazione.

In effetti Castiglioni nella conversazione con il pubblico al termine dello spettacolo, ricorda che il titolo originario era Discorso su I Persiani. In origine – racconta ancora – il discorso, il commento all’opera, era molto più corposo, ma poi è stato asciugato. Nella versione attualmente in circolazione, infatti, la maggior parte delle parole è tratta dall’opera di Eschilo, tradotta da Francesco Morosi e antologizzata dal traduttore e da Castiglioni. I versi che narrano dei Persiani di fronte alle vicende della guerra sono inseriti senza soluzione di continuità verbale e scenica nel monologo, ma via via commentati da osservazioni e sottolineature – che si distinguono per un diverso andamento del parlato, più colloquiale – in una intensa e interessante riflessione “metateatrale”.

Gli Ateniesi sono andati d’inverno (perché in questa stagione non si combatteva e non si lavorava la terra) all’alba nel teatro di Dioniso per assistere per tutta la giornata alla serie di rappresentazioni della trilogia e all’inizio vedono avanzare il coro con ritmo anapestico. Sono i funzionari di Serse… L’attore commenta che Eschilo, l’autore che ha deciso arditamente di intitolare la sua tragedia I Persiani, li rappresenta «in preda all’angoscia profonda per il re partito per la Grecia», addolorati, loro, di fronte ad un pubblico di Ateniesi, reduci, in una città che recava ancora i segni delle incursioni persiane, Ateniesi che avevano perso certamente ognuno qualche parente nella guerra; l’interprete immagina che, mentre il coro lamenta e piange la gioventù persiana che va in guerra, con un verso a suo avviso toccante («I genitori e le spose contano i giorni tremando per il tempo che si protrae»), il pubblico avrà pensato e detto imprecazioni. E queste imprecazioni appaiono, mentre scorrono i versi del coro, in cartelli che esprimono il pensiero degli Ateniesi: «Vaffaculo», «Persiani di merda», ecc.

Ancora una chiosa metateatrale, probabilmente dovuta all’inserimento nella performance dei giovani studenti per le rappresentazioni milanesi: «I vecchi si sono trasformati in guerrieri» e questi guerrieri vengono evocati uno per uno con il loro nome e salgono sul palco a corona del monologhista. E su questi giovani – destinati alla morte precoce – si incentra l’attenzione della rappresentazione, forse più che sui temi di ordine morale e teologico, che pur nell’opera di Eschilo sono così fortemente presenti.

Vengono poi descritti nella loro irresistibile marcia, al suono di tamburi metallici ad evocare i metri ionici che accompagnano il movimento delle truppe. Ma poi è Eschilo che commenta che anche di fronte a tale potenza «la rovina conduce il mortale nelle sue reti e da qui l’uomo non può più liberarsi…. per questo si lacera». Su questa nota si chiude il canto con la ben espressa accentuazione della solitudine in cui rimangono le donne persiane, preannunciando arrivo di Atossa.

Così il monologo prosegue riproducendo gli episodi di Atossa e del suo sogno, dell’arrivo del messo e del racconto della disfatta persiana a Salamina, dell’evocazione di Dario dal regno dei morti e del rientro di Serse. Il racconto eschileo, pur ridotto, appare riproposto in modo lineare sempre accompagnato da sottolineature metateatrali.

Quando appare Atossa, ad esempio, l’attore commenta riferendosi agli spettatori ateniesi: «E questa [Atossa] come l’avranno accolta?»; e dopo, sul finire del racconto del messo che ha rievocato la battaglia di Salamina – con efficacia e drammaticità, accompagnato da forti rumori che richiamano gli scontri delle navi – , questo conclude pensoso: «E quelli [gli Ateniesi] colpivano i nostri […] e pianto e lamento invadeva la distesa del mare finchè non li dissipò l’occhio nero della notte. […] Pianga la città dei Persiani la sua gioventù adorata». E l’attore, fattosi a sua volta pensieroso, commenta: «Accidenti… una mattanza… […] Non è che ci si faccia una gran bella figura; […] non è che i greci abbiano fatto una bella figura».

E mentre prosegue il testo eschileo che ha annunciato che Serse si è salvato, appare più volte come intercalare la domanda «E Serse?», che si immagina risponda alla curiosità e all’attesa del pubblico ateniese che si aspetta che prima o poi compaia. Così pure il commentatore si chiede come avrà reagito il pubblico al prolungato lamento sulla perdita della gioventu persiana.

E alla fine – commenta il monologhista – Eschilo fa entrare in scena Serse, interpretato quel giorno dallo stesso autore; «compare quando non c’è più nulla da dire…, quando non è più atteso».

E gli spettatori? «Forse se ne sono andati tutti, qualcuno c’è ancora. In teatro adesso è sceso il silenzio»,

ad indicare lo sgomento che deve essersi creato nel teatro, soprattutto quando «Eschilo scopre le sue carte e invita gli spettatori a piangere con Serse i nemici persiani caduti».

E su questo il racconto dell’autore e la riflessione del commentatore cedono il passo ad una lunga evocazione dei giovani caduti nella guerra che, uno ad uno, risalgono sul palco, e ad un canto intenso che coinvolge i giovani studenti, Castiglioni e il pubblico tutto del teatro Oscar nella meditazione sulla morte della “migliore gioventù persiana”, anche se nemica: «Cosa non abbiamo perduto?»

Nella riproposizione del testo di Eschilo ad opera di Castiglioni il pubblico ateniese – protagonista insieme ai personaggi persiani – sembra passare dal pregiudizio e dalla maldisposizione iniziali nei confronti dei “nemici” ad una “com-passione” del loro dolore sgomento. Sembra che l’opera del drammaturgo abbia raggiunto lo scopo che all’inizio del monologo aveva fatto dire al monologhista, incredulo e scettico: «Ma come gli è venuto in mente?… forse è diventato matto».

2. Sulla scena Silvio Castiglioni è per la maggior parte del tempo – tranne i minuti in cui è coadiuvato dai giovani studenti – solo; di fronte ad un tavolo muove parallelepipedi di vari colori e dimensioni – bianchi i soldati prima verticali, poi tagliati quando si rompono le righe, verde il messo, dorato Atossa, azzurre le navi di Salamina, che si macchiano di rosso sangue per la “mattanza” –, parallelepipedi che rappresentano via via i diversi personaggi della tragedia.

Castiglioni e i “guerrieri persiani”

Egli afferma in un’intervista al Corriere Romagna (https://www.corriereromagna.it/archivio/silvio-castiglioni-a-cattolica-con-i-persiani-di-eschilo-FTCR466524): «Come un burattinaio muovo una serie di oggetti in un ambiente che ricorda molto De Chirico. Ma nulla è in primo piano, nemmeno l’attore. I versi di Eschilo si posano su volumi metafisici, mute pedine mosse su un tavolo-palcoscenico, unico elemento scenografico».

Il monologo si inserisce quindi nel cosiddetto “teatro d’oggetti”, usualmente rivolto ad un pubblico infantile, ma qui utilizzato perché, nella sua essenzialità, «ci restituisce un Eschilo in purezza in cui riecheggiano più forte che mai i suoi antichi inviti: primo tra tutti considerare l’altro, anche quando è il nemico, come una parte di noi stessi».

L’accompagnamento musicale – i canti di Marina Mulopulos e le musiche di Gianmaria Gamberini –spesso sostituisce il ruolo del rumorista a riprodurre realisticamente alcuni passaggi quali la marcia dei soldati ed il cozzare delle navi nello scontro navale, mentre altrove sottolinea, come alla fine, la situazione emotiva di protagonisti e spettatori.

Solo qualche caduta di stile e qualche scelta “immotivata” o non facilmente comprensibile.

Nel momento dell’evocazione di Dario in cui il coro, nel testo di Eschilo, gli si rivolge con devozione religiosa, viene scoperta una radiolina vintage rossa e da essa esce la voce che fa la parodia di un canto liturgico cristiano – ben fatta, ben imitata, ma evidentemente “dissacrante”. Ugualmente dissacrante appare, sempre nell’episodio di Dario, la conclusione della sua apparizione: sta già per ritirarsi nell’oltretomba, quando sembra ricordarsi all’improvviso che, per il suo ruolo terreno e per la sua condizione di morto, avrebbe dovuto concludere la sua apparizione con una nota moraleggiante e quindi sentenzia d’ufficio: «Ai morti la ricchezza non serve più a niente».


Atossa e Dario, evocato dall’aldilà

A parte queste note, certamente marginali, rimane l’interesse dello spettacolo che nelle sue scelte ci riconferma la capacità sempre viva del testo di Eschilo e dell’esperienza teatrale ateniese in toto di parlare al mondo di oggi ancora dilaniato dall’esperienza della guerra, oggi più “scandalosamente” ingiustificata.

Immagini tratte dai seguenti siti: https://teatrodellaregina.it/event/la-tragedia-piu-antica-del-mondo/; https://www.mentelocale.it/milano/eventi/260317-733-4656-i-persiani.htm