Mondadori, Milano, 2016
Ordinario di lingua e letteratura latina all’Università di Bologna, di cui è stato Rettore dal 2009 al 2015, Ivano Dionigi si è dedicato sia all’approfondimento di autori latini quali Lucrezio e Seneca, sia alla questione sempre viva del rapporto col passato. Questo libro riprende appunto tale tema, in un momento in cui è risorta la polemica, a diversi livelli fra cui quello ministeriale, sia sullo studio linguistico e le prove di traduzione, sia sul liceo classico in generale. Dionigi parte da tre domande: sulla massima incomprensione proprio nell’era del web, sul maggior numero di lettori di classici latini rispetto agli adulti con interessi politici e sul rapporto presente/novità e novità/ verità. Ma dopo un breve excursus sui pregiudizi e sui segni di presenza attuale, il cuore dell’opera è essenzialmente una autobiografia, che cos’è stato il latino per lui, che cosa gli ha insegnato: un approccio non teorico, ma vivo e accattivante. Attraverso esempi e citazioni Dionigi ripercorre “ciò che ha imparato” dal latino: il primato della parola, la centralità del tempo, la nobiltà della politica.
Interessanti comunque anche i capitoli successivi, sul latino storicamente come lingua d’Europa e sulla brevitas delle sententiae in rapporto, o in analogia, coi limiti imposti da Twitter. Chiude il libro, inevitabilmente, il capitolo sulla scuola, in cui si suggerisce una doppia norma (aristotelicamente per un pubblico esoterico e exoterico): una scuola per studiosi di latino, in cui fornire una base culturale non solo agli specialisti, ma a professionisti seri, e una scuola in cui diffondere la cultura latina in traduzione, come canone di generi letterari.