Home Uncategorized Il patrimonio greco, criticamente purificato, è una parte integrante della fede cristiana

Il patrimonio greco, criticamente purificato, è una parte integrante della fede cristiana

by Giorgio Zangrandi

di Francesco Ricci

(da Nuovo Areopago, 1982, 1, pp. 19 e ss.)

“Il vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa” (Benedetto XVI)

Il discorso del Santo Padre a Ratisbona (12 settembre 2006) si presta ad alcune riflessioni anche dal punto di vista specifico del nostro lavoro. Proponiamo qui alcuni primi spunti, e ringraziamo quanto vorranno offrire ulteriori contributi su queste parole così chiare e autorevoli che c’interpellano tanto da vicino in quanto docenti o studiosi del mondo classico.

Il discorso è incentrato sulla tematica del rapporto tra ragione e ricerca teologica, svolta attraverso una serie di affermazioni e di esempi che coprono praticamente tutta la storia della filosofia e della scienza occidentale (ma non solo).

Fin dall’esordio il Santo Padre richiama alla “comune responsabilità per il retto uso della ragione” che deve diventare “esperienza viva” anche nella quotidianità del lavoro accademico.
Tutto il discorso richiama poi all’intima coerenza che esiste nella religione cristiana tra fede e ragione: la sovrapposizione tra l’inizio del Vangelo di Giovanni (“in inizio era il λόγος”) e l’inizio della Genesi (“in principio creò Dio…”) mostra quanto sia totale questa identificazione tra Dio e ragione, tanto da identificare Dio con la ragione stessa (λόγος per l’appunto): “Giovanni con ciò ci ha donato la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio, la parola in cui tutte le vie spesso faticose e tortuose della fede biblica raggiungono la loro meta, trovano la loro sintesi”. Dio è ragione e agisce con la ragione: “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”. Passando ad analizzare in modo più approfondito la tesi che “agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio” il Papa insiste sul fatto come “in questo punto si manifesti la profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia”. In questa coincidenza tra Dio e ragione Benedetto XVI coglie anche una delle più importanti differenze del Cristianesimo rispetto all’Islam, dove la visione di Dio è totalmente trascendente, sottraendo così Allah anche alle esigenze della razionalità. Il Papa insiste con vigore sull’analogia che esiste tra la razionalità umana e il piano di Dio, cosicché, pur nell’infinita inconoscibilità del disegno divino, esiste comunque la possibilità di intravedere una coerenza, almeno analogica, tra il Creatore e la Sua creatura (fatta ad immagine e somiglianza di Dio secondo le parole della Bibbia): “Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore”.

Nella prospettiva richiamata da Benedetto XVI, la sintesi tra cultura greca e annuncio biblico-cristiano diventa una fusione indissolubile per cui l’accoglimento da parte del Cristianesimo primitivo di quanto di positivo aveva elaborato il pensiero greco diventa parte integrante e costitutiva del Cristianesimo stesso, tanto che pensare di eliminare l’elemento di derivazione greca, quasi azzerando due millenni di elaborazione del Cristianesimo fino a riportarlo al suo momento originario, comporterebbe una perdita non leggera. Anche se “nel tardo Medioevo si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano” (il Papa accenna soprattutto a Duns Scoto e a linee di pensiero che seguono una impostazione volontaristica oppure accentuano l’aspetto del “credo quia absurdum“, trovando anche analogie tra queste linee interpretative e linee di pensiero che si colgono in alcuni teologi o mistici dell’Islamismo), la richiesta della “dis-ellenizzazione” del cristianesimo emerge in modo prepotente nella ricerca teologica degli ultimi secoli, e ad essa il Papa dedica una parte rilevante del suo discorso. Nel processo di dis-ellenizzazione il Papa coglie tre momenti: i primi due sono la Riforma del XVI secolo e la teologia liberale del XIX secolo (Harnack) sul cui sfondo si intuisce la spinta a identificare “scientificità” con le certezze derivanti dalla sinergia di scienze matematiche e osservazione sperimentale della realtà: questa spinta a “riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio” comporta in ultima analisi una riduzione e una perdita anche per gli studi teologici, perché il tentativo di “riportare il cristianesimo in armonia con la ragione moderna, liberandolo, appunto, da elementi apparentemente filosofici e teologici, come per esempio la fede nella divinità di Cristo e nella trinità di Dio” esclude dalla ricerca scientifica una quantità di elementi importanti e impoverisce lo stesso messaggio cristiano facendone un manifesto umanitario e moralistico, e soprattutto perché “è l’uomo stesso che con ciò subisce una riduzione. Poiché allora gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del ‘da dove’ e del ‘verso dove’, gli interrogativi della religione e dell’ethos, non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla ‘scienza’ e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo”, e, come ulteriore conclusione, “il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la “coscienza” soggettiva diventa in definitiva l’unica istanza etica”. Aggiungiamo incidentalmente che gli interrogativi “del ‘da dove’ e del ‘verso dove'” sono quelli che più appassionano l’uomo greco e lo rendono attento nei confronti di sé stesso e del mondo che lo circonda. Nella parte finale del suo discorso il Papa insisterà nuovamente sul fatto che “l’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così può subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente”. A questa conclusione il Papa arriva richiamandosi anche a un passo del Fedone platonico, in cui Socrate ribatte ad alcune considerazioni sbagliate del suo interlocutore con queste parole: “Sarebbe ben comprensibile se uno, a motivo dell’irritazione per tante cose sbagliate, per il resto della sua vita prendesse in odio ogni discorso sull’essere e lo denigrasse. Ma in questo modo perderebbe la verità dell’essere e subirebbe un grande danno”.
Ma di rilevantissimo interesse è anche la riflessione del Papa a proposito del terzo momento di dis-ellenizzazione, quello attuale, che, vedendo nell’inculturazione del Cristianesimo nel mondo greco solamente un modello di inculturazione (qualcosa di contingente e casuale dunque), afferma la necessità di depurare il Cristianesimo dei suoi tratti ellenistici per permettere ad altre tradizioni culturali di far proprio il messaggio cristiano. La risposta di Benedetto XVI non lascia spazio a dubbi: “Il Nuovo Testamento è stato scritto in lingua greca e porta in sé stesso il contatto con lo spirito greco – un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della Chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.” E in modo altrettanto esplicito il Papa esprime il suo pensiero su questo tema in un altro punto del discorso: “Il qui accennato vicendevole avvicinamento interiore, che si è avuto tra la fede biblica e l’interrogarsi sul piano filosofico del pensiero greco, è un dato di importanza decisiva non solo dal punto di vista della storia delle religioni, ma anche da quello della storia universale – un dato che ci obbliga anche oggi. Considerato questo incontro, non è sorprendente che il cristianesimo, nonostante la sua origine e qualche suo sviluppo importante nell’Oriente, abbia infine trovato la sua impronta storicamente decisiva in Europa”. In un altro punto il Papa aveva anche affermato che la traduzione in greco dei libri ebraici e aramaici dell’Antico Testamento (la cosiddetta versione dei Settanta) non è semplicemente un “accidente” della tradizione testuale di questi libri, ma è un momento in cui prende forma l’incontro fra tradizione biblica e pensiero ellenistico che maturerà e darà frutto nel Nuovo Testamento: “Oggi noi sappiamo che la traduzione greca dell’Antico Testamento, realizzata in Alessandria – la “Settanta” –, è più di una semplice (da valutare forse in modo poco positivo) traduzione del testo ebraico: è infatti una testimonianza testuale a sé stante e uno specifico importante passo della storia della Rivelazione, nel quale si è realizzato questo incontro in un modo che per la nascita del cristianesimo e la sua divulgazione ha avuto un significato decisivo”. Rileviamo incidentalmente che anche da un punto di vista meramente linguistico il greco della Settanta ha un’importanza decisiva nella formazione del greco del Nuovo Testamento, il cui richiamo alla Settanta è continuo e palese: la Settanta diventa dunque un nodo cruciale, un passaggio decisivo in vista della formazione del greco neotestamentario, in quanto il legame fra tradizione ebraica e tradizione ellenistica si fa organico, toccando anche le categorie linguistiche (e quindi il modo stesso di esprimersi e di pensare).
Il discorso del Santo Padre contiene altri numerosissimi spunti che meriterebbero ampia riflessione: ad esempio vi sono accenni al metodo di indagine scientifica (“le scienze “interrogandosi sulla ragionevolezza della fede, svolgono un lavoro che necessariamente fa parte del “tutto” dell’universitas scientiarum … È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori. Ritrovarla noi stessi sempre di nuovo, è il grande compito dell’università.”) la cui pregnanza meriterebbe di essere valutata attentamente da parte di chi opera quotidianamente nell’università e nella scuola. Tutta la parte Iniziale in cui afferma che la conversione religiosa non deve essere mai imposta con la violenza dovrebbe essere letta attentamente, anche alla luce di quanto di positivo in questo senso ha elaborato il pensiero occidentale moderno e in una prospettiva di reale ecumenismo. Infine richiamiamo tutta la sezione del discorso in cui il Papa, fedele agli ideali di rispetto della persona ampiamente elaborati e radicati nella cultura moderna, insiste con vigore sul fatto che nessuna conversione religiosa può essere imposta con la forza, traendo lo spunto per alcune argomentazioni da una rilettura critica di un testo appartenente alla letteratura bizantina, la VII controversia (in forma di dialogo tra un greco e un orientale, διάλεξις – controversia) dell’imperatore Manuele II Paleologo.

Per leggere il discorso nella sua integralità:

http://www.vatican.va/…/regensburg_it.html

per accedere al testo originale in tedesco:

http://www.vatican.va/…/-regensburg_ge.html

Appendice su Manuele II Paleologo

Rechiamo qui qualche breve riferimento sulla figura di questo imperatore bizantino colto e appassionato.