testo latino a fronte, Marietti 1820, Bologna, 2020.
Tra le commedie plautine la Gomena ha un posto speciale. Ha un’impostazione di fondo e un modo di trattare l’intreccio che la caratterizzano in modo netto: è impregnata di humanitas e ricca di spunti riflessivi più di altre commedie di Plauto. Vi sono naturalmente passaggi in cui troviamo momenti di funambolismo linguistico o situazioni di forte comicità quali siamo abituati a vedere nelle sue commedie, ma vi sono anche numerosi brani con impostazione severa, in cui diversi personaggi esprimono considerazioni sul destino e sulla vita umana e forniscono consigli morali sul comportamento e sui doveri umani. Vero che, come dice uno dei personaggi, Gripo (vv. 1249 e ss.), quando gli spettatori sentono a teatro queste sagge esortazioni all’onestà applaudono, ma poi appena usciti riprendono i loro piccoli traffici e le loro piccole ruberie: ma questa considerazione, un breve momento di metateatro all’interno della commedia, ha soprattutto lo scopo di stemperare il clima e di evitare che si scivoli nel moralismo: pur sempre di un’opera comica si tratta. Rivela il carattere particolare della commedia anche il fatto che il prologo sia affidato a una divinità, la stella Arturo, che fin dall’inizio ricorda agli spettatori come Giove mandi i suoi collaboratori nel mondo a scrutare caratteri e azioni degli uomini per prendere poi i provvedimenti opportuni e fare in modo che il bene prevalga. Vi sono momenti di grande drammaticità, ad esempio nella descrizione della tempesta marina che ha fatto naufragare la barca in cui erano il lenone, l’amico e le sue schiave. Alla fine la vicenda si dipana verso la vittoria finale del bene. Tutti questi caratteri fanno della Gomena un documento di grande rilievo artistico e teatrale, in cui comico, serio e drammatico si alternano o piuttosto si fondono. Non mancano alcuni dei personaggi favoriti della commedia plautina, il lenone che cerca di imbrogliare il cliente, il giovane innamorato, lo schiavo che mira ad acquisire meriti da parte del padrone, e tanto meglio se il suo apprezzamento si traduce in denaro contante o promessa di libertà: ma il modo con cui questi personaggi sono portati in scena e rappresentati rivela una partecipazione sincera da parte del poeta, col risultato di una grande intensità artistica. Ha notevole e inusuale forza drammatica ad esempio il modo con cui sono rappresentate le due donne protagoniste della commedia, Palestra e Ampelisca: Palestra è di origine libera ma rapita da piccola e fatta schiave illegalmente; le due sonne, sbattute sulla costa dopo il naufragio, restano prive di ogni mezzo e alla mercé di un padrone privo di scrupoli: per loro non è sicuro nemmeno il rifugio nel tempio di una divinità, Venere, perché il malvagio lenone, senza scrupoli e contro ogni regola, le strappa via da questo rifugio e le tiene poi assediate sull’ara antistante il tempio. E’ però vero che alla fine esse trovano persone disposte a dare loro aiuto e protezione, e questo fa sì che in conclusione la commedia trasmetta un’immagine positiva dell’umanità, al di là di tutti gli imbrogli e sotterfugi che alcuni dei protagonisti cercano di mettere in atto. Alla cena finale bandita dall’anziano Demone, colmo di gioia per avere ritrovato la figlia che gli era stata rapita da piccola e che ha riconosciuto grazie al ritrovamento dei segni di riconoscimento che il lenone aveva sottratti, viene invitato anche il lenone stesso che fino all’ultimo aveva cercato di approfittare fraudolentemente della situazione: una cena che segna dunque un momento di riconciliazione inaspettato che aggiunge un ulteriore tratto di umanità.
Trattandosi di un’opera significativa, giunge gradita e utile la nuova traduzione di Silvia Stucchi, edita dalla casa editrice Marietti 1820. Il libro presenta, oltre alla traduzione, il testo della commedia corredato da note che focalizzano problemi linguistici e interpretativi che si aprono nel testo aiutando il lettore poco esperto a sciogliere problemi di interpretazione sintattica o lessicale che s’incontrano non di rado nei testi plautini. L’introduzione mette in luce in modo puntuale i tratti essenziali della commedia, e in particolare discute le questioni di natura giuridica che alcune parti della commedia sollevano (ad esempio, la liceità di tenere per sé un oggetto pescato in mare senza restituirlo a chi pretende di avere diritti di proprietà su di esso): anche questo interesse per problemi di natura legale infatti è un altro tratto peculiare della commedia.
Tradurre Plauto non è impresa facile. Innanzitutto è problematica la scelta del registro da usare. La lingua di Plauto si rifà alla lingua parlata a Roma nella sua epoca: se la lingua di Terenzio ha come modello la parlata delle élites. Plauto riprende una lingua più variamente e vastamente praticata nella parlata corrente, e questo spiega anche perché il nome di Plauto sia evocato con tanta frequenza in manuali come quello di Hofmann sulla lingua dell’uso latina. Tuttavia la lingua di Plauto non scade mai nel triviale e mantiene sempre una sua dignità, ed è anzi una lingua a suo modo colta, coi suoi giochi di parole spesso inattesi e pieni di vis comica, coi doppi sensi (non sempre di immediata evidenza e traducibilità per il lettore italiano), con le sue innovazioni, con parco uso di grecismi ma senza nessuna forzatura puristica. Il traduttore italiano deve necessariamente tenere conto di tutti questi elementi, e sforzarsi di rendere in una lingua non aulica, ma neppure sciatta. Ci sembra che questa versione raggiunga questo difficile compito e che sia fedele sia nella puntuale resa del testo sia nel timbro linguistico prescelto.
A chi è rivolto il libro? Chi ha nelle mani questo testo dovrebbe possedere già informazioni su Plauto e sul suo teatro, informazioni che potrà ottenere facilmente da una qualunque storia letteraria. Il commento al testo aiuta il lettore a sciogliere alcuni nodi di un testo in qualche frangente problematico, ma per una piena penetrazione del resto il lettore dovrà contare o sulle sue sole forze o sulla guida di un docente che lo aiuti a superare le difficoltà dello stile e della lingua plautina. Con queste caratteristiche il libro sembra adattarsi sia alle esigenze del lettore poco esperto e con poche e superficiali cognizioni di lingua e letteratura latina, che potrà essere affascinato dal testo semplicemente affidandosi alla lettura della traduzione, sia a quelle del lettore esperto che, pur aiutandosi con la traduzione, intende conoscere più da vicino e approfondire il testo originale. Il testo ci sembra pienamente adatto a un uso fruttuoso nelle aule liceali o universitarie. La bibliografia finale è molto ampia e aggiornata e contiene riferimento a tutti i principali studi disponibili sull’autore e la sua problematica. Non ci sarebbe dispiaciuto però avere qualche notizia, magari anche succinta, sulla metrica, e soprattutto sul testo della commedia e sulla sua tradizione, dal momento che esso presenta in più punti incertezze e lacune che sono state variamente integrate dai filologi: si tratterebbe di piccole integrazioni che renderebbero ancora più completo e prezioso questo strumento, e siccome riteniamo che esso avrà fortuna e andrà incontro a ristampe, ce li attendiamo per le edizioni successive.
Un’ultima considerazione. La traduzione dà sempre il titolo della commedia al maschile (il Rudens), ma spesso in altri testi ci si riferisce ad essa come la Rudens. Plauto usa tre volte questa parola in questa commedia: solo dal v. 938 si evince con certezza il genere femminile del sostantivo. Negli autori successivi (da Lucrezio in poi) si trova generalmente rudens maschile. C’è da aggiungere che Plauto usa rūdens con la prima sillaba lunga, mentre successivamente (p.es. in Lucrezio e Virgilio) abbiamo rŭdens con la prima sillaba breve. Questo dà l’idea di una fluttuazione prosodica e grammaticale della parola, utilizzata evidentemente in contesti tecnici particolari che hanno consentito incertezze e alterazioni.
a cura di Silvia Stucchi