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L’idea di libertà in Grecia e a Roma

by Mariapina Dragonetti

Incontro al XXVI Meeting per l’amicizia tra i popoli (2005)

a cura della Redazione

Anche quest’anno presentiamo un’iniziativa nell’ambito della XXVI edizione del Meeting, intitolata «La libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini».
Lunedì 21 agosto alle ore 11.15 si è svolto l’incontro sul tema L’idea di libertà in Grecia e a Roma (Sala Neri).
All’incontro, che ha visto la presenza di un pubblico folto e competente, sono intervenuti
Moreno Morani, Professore di Glottologia presso l’Università degli Studi di Genova e Presidente del Comitato Scientifico di Zetesis;
Marta Sordi, Docente Emerito di Storia Romana presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano;
Alfredo Valvo, Docente di Storia Romana presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano.

Al termine dei due cicli di relazioni svolti dai tre docenti, è seguito un vivace momento di dibattito, con numerosi interventi.


Dal comunicato Stampa diffuso dalla Direzione del Meeting

L’idea di libertà in Grecia e a Roma

[…] Il percorso svolto dai docenti si è presentato come una ricerca sulle radici antiche e classiche della parola e sui contenuti della libertas romana e della eleuteria greca. Anche se i due termini appaiono così diversi, ha precisato Morani, la radice indoeuropea è la medesima e si ritrova nella parola leud, termine che ha a che fare col popolo: quindi la qualità di liber o di eleuteros ha a che fare col popolo.
Appartenenza a un popolo e a una gente, ha aggiunto Marta Sordi che ha sottolineato la questione con un riferimento particolare alla storia greca. In Grecia l’idea di libertà, in particolare con le guerre persiane, si carica di una valenza politica.
La non libertà è tutto ciò che non appartiene al popolo. Ciò che differenzia il greco dal barbaro è proprio quest’appartenenza, che lo indica come cittadino della polis. È nel corso del IV secolo, comunque, che il concetto di libertà passa dall’ambito del popolo a quello dell’uomo, per cui si distingue una natura (physis) ed una legge (nomos): si è liberi o schiavi per natura, non per legge. In questo ambito si differenzia la concezione romana, per la quale uno non è libero o schiavo per natura, ma per legge.
Tanto che, ha esemplificato il professor Valvo, lo schiavo liberato, il liberto, diventa cittadino a tutti gli effetti. A Roma la connotazione prevalente del termine libertas è quella giuridica: il termine indica, infatti, il godimento in pienezza di alcuni diritti.
Questo è proprio del civis romano. La pienezza della libertas è nella respublica. Il concetto di libertà, dunque, implica quello di cittadinanza: i primi liberi sono i filii delle prime gentes, i patrizi, che hanno per l’appunto un pater. La libertà allora non si qualifica in termini di autonomia, ma di rapporti sociali.
Non solo. Non è un caso che il qualificativo liberi, le persone libere, coincide lessicalmente col sostantivo liberi, che significa figli.
Quindi l’idea di libertas si connette da un lato all’idea di appartenenza a un popolo e dall’altro a quella di dipendenza da una paternità, cioè da una identità. Tanto che il contrario di libertà, a Roma come in Grecia, implica concetti quali la licentia o l’autadia (presunzione): il disordine che mina alle radici la società, dal momento che non ne rispetta identità e tradizione; il mos maiorum direbbero i romani.
Non è stato difficile in epoca postclassica, se questi erano i concetti in gioco, arrivare all’idea che l’uomo è sacro all’uomo (Seneca e gli apologisti cristiani). Leggi non scritte cominciano ad emergere a livello di consapevolezza e la libertas, carica di connotazioni giuridiche, comincia a far spazio a valori come la dignitas, che precede qualsiasi legislazione statale.
È per questa strada che il politeismo classico perde la propria intolleranza e, dal 313, con l’editto di Milano, entra nell’idea di libertà anche quella di libertas culti. Libertà religiosa e diritti del singolo sono definitivamente collegati.
E. P. Rimini, 22 agosto 2005
 

Dall’articolo di Alessandro Giuli su “Il Foglio” di martedì 23 agosto 2005

Carron e la donchisciottesca libertà del Meeting di Cl

Fra le specialità del Meeting di CL c’è anche che si parla del mondo classico. Se ne parla, perché la donchisciottesca libertà che sovrintende al Meeting non rimanga sospesa come un vapore senza origine. Ieri mattina, prima che Carron radunasse CL, Marta Sordi (docente emerito di Storia romana alla Cattolica, molto amata dai ciellini) aveva spiegato l’idea di libertà in Grecia e a Roma insieme con il glottologo Moreno Morani e l’altro storico Alfredo Valvo. Dalla libertas latina, eleuthería in greco, hanno ritagliato nella nebbia della storia un insegnamento che si collega (rendendola completa) alla dotta e discussa prolusione che domenica aveva fatto Marcello Pera. Il presidente del Senato aveva intrecciato democrazia e libertà per un occidente corazzato. Dall’armatura ideale giudaico-cristiana solcata dal ricordo dell’acropoli. Diffidente del multiculturalismo, ma chiusa al meticciato. Gli storici hanno controbilanciato con la libertà dei maiores. Principio di appartenenza, identità e crescita, la libertà fu l’orgoglio vitale dei greci di Eschilo, che “di nessun mortale son chiamati sudditi”; e la sottomissione ciceroniana alla signoria della legge. Libertà come trascrizione di patti sacri (la pax deorum) in fondamenti di convivenza civile. A Roma la libertà fu in effetti identificata nel pieno godimento dei diritti politici, e il suo senso profondo è radicato nel confine tra cittadinanza e barbarie, tra il sorriso degli dèi e tracotanza popolare. Valvo ha trovato delle consonanze tra il contenimento degli eccessi democratici praticato a Roma e l’intuizione di Abramo Lincoln secondo il quale la libertà va sempre protetta dagli “eccessi della democrazia” (quando si fa dittatura della maggioranza). E ha citato Joseph Ratzinger (“Senza radici“), per rafforzare l’idea che libertà, eguaglianza e solidarietà sono principi immodificabili che non si esauriscono nella democrazia (“il popolo è sovrano entro il recinto stabilito dalla religione”).
Marta Sordi ha fatto qualcosa in più. Finita la conferenza, con quella sua aria veneranda e quieta ha detto che la fuoriuscita dal relativismo culturale non nega il meticciato. Semplicemente, lo rende virtuoso secondo la lezione di Roma, città nata dal mescolamento tra popoli (italici, etruschi, greci) ordinati in un’identità non etnica ma spirituale. “I romani – ci ha detto la professoressa Sordi – hanno esaltato attraverso il mito troiano la loro vocazione universale all’assimilazione. E hanno praticato l’inclusione a prescindere da lingue, costumi e sangue. Realizzandola, come insegna Sallustio, nella concordia di una civitas morale. (Una lezione seguita dagli americani di prima generazione quando si decisero ad accogliere altri migranti. Purché obbedissero alle regole di civiltà degli ospitanti). E’ una vocazione imperiale che il cristianesimo, religione universalista, ha fatto propria e che Dante ha modellato nel suo De Monarchia“. E appunto dalle origini classiche greco-romane, “elaborate con un salto di qualità nel cristianesimo”, dice Marta Sordi, “bisogna ripartire e superare l’attuale vuoto di radici storiche”. E’ un suggerimento per reinnamorarsi dell’Europa