Premessa
Durante l’ultima cena, fra le parole che Gesù rivolge agli apostoli e che l’evangelista Giovanni riferisce distesamente, troviamo anche le seguenti (Ioh. 14, 27):
Εἰρήνην ἀφίημι ὑμῖν, εἰρήνην τὴν ἐμὴν δίδωμι ὑμῖν· οὐ καθὼς ὁ κόσμος δίδωσιν ἐγὼ δίδωμι ὑμῖν. μὴ ταρασσέσθω ὑμῶν ἡ καρδία μηδὲ δειλιάτω.
Nella Vulgata latina:
Pacem relinquo vobis, pacem meam do vobis: non quomodo mundus dat ego do vobis. Non turbetur cor vestrum neque formidetVi lascio la pace, vi do la mia pace: non come il mondo la do a voi. Non si turbi il vostro cuore e non abbia paura.
Quello della pace è un dono che Gesù fa ai suoi discepoli, ed è anzi l’unico dono: in precedenza aveva dato ai suoi discepoli, come testamento nel momento in cui stava per lasciarli, dei comandamenti o delle disposizioni da osservare, e sulla necessità di osservare i suoi comandamenti aveva particolarmente insistito (Ioh. 14, 15. 21):
Ἐὰν ἀγαπᾶτέ με, τὰς ἐντολὰς τὰς ἐμὰς τηρήσετε· […] ὁ ἔχων τὰς ἐντολάς μου καὶ τηρῶν αὐτὰς ἐκεῖνός ἐστιν ὁ ἀγαπῶν με· ὁ δὲ ἀγαπῶν με ἀγαπηθήσεται ὑπὸ τοῦ πατρός μου, κἀγὼ ἀγαπήσω αὐτὸν καὶ ἐμφανίσω αὐτῷ ἐμαυτόν.
si diligitis me mandata mea servate … qui habet mandata mea et servat ea, ille est qui diligit me: qui autem diligit me diligetur a Patre meo et ego diligam eum, et manifestabo ei me ipsum.
Se mi amate, osservate i miei comandamenti … chi ha i miei comandamenti e li osserva, è colui che mi ama, e chi mi ama sarà amato dal Padre mio e io lo amerò e mi rivelerò a lui.
La singolarità del dono fa della pace di Gesù qualcosa di unico e prezioso: Gesù stesso nelle sue parole insiste sia sul carattere peculiare della pace che dona, con una precisazione che a sottolinea fortemente la diversità della “sua” pace rispetto alla pace del mondo (Pacem … pacem meam), sia sul carattere di dono che la sua pace ha, rilevando questo concetto con un cambio di verbo che rende anche tutto il periodo molto intenso stilisticamente e semanticamente (non è semplicemente il lasciare, quasi il trasmettere o l’abbandonare in altrui mani di ἀφίημι relinquo, bensì il gesto consapevole e gratuito del donare didídwmi do). Ancora più avanti, quasi alla fine delle sue parole, Gesù riprende con un accenno questo tema della pace, e di nuovo asserisce il carattere particolare di una pace che è innanzitutto confidente abbandono in lui (Ioh. 16, 33):
ταῦτα λελάληκα ὑμῖν ἵνα ἐν ἐμοὶ εἰρήνην ἔχητε· ἐν τῷ κόσμῳ θλῖψιν ἔχετε, ἀλλὰ θαρσεῖτε, ἐγὼ νενίκηκα τὸν κόσμον.
haec locutus sum vobis ut in me pacem habeatis: in mundo pressuram habetis, sed confidite, ego vici mundum
Queste cose vi ho detto perché abbiate pace in me: nel mondo avete tribolazione, ma abbiate coraggio,io ho vinto il mondo.
In un altro punto dei Vangeli sembra palesarsi una stridente contraddizione rispetto a questo passo di Giovanni: Gesù afferma, con parole molto crude, di non essere venuto a donare la pace, bensì il dissidio: si tratta di Mt. 10, 34
Μὴ νομίσητε ὅτι ἦλθον βαλεῖν εἰρήνην ἐπὶ τὴν γῆν· οὐκ ἦλθον βαλεῖν εἰρήνην ἀλλὰ μάχαιραν.
Nolite arbitrari quia venerim mittere pacem in terram: non veni pacem mittere sed gladium
Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra: non sono venuto per portare la pace, ma la spada
che ha un equivalente quasi letterale in Lc. 12, 51
δοκεῖτε ὅτι εἰρήνην παρεγενόμην δοῦναι ἐν τῇ γῇ; οὐχί, λέγω ὑμῖν, ἀλλ’ ἢ διαμερισμόν.
putatis quia pacem veni dare in terram? non, dico vobis, sed separationem.
Pensate che sono venuto a dare la pace sulla terra? no, vi dico, non la pace, ma la divisione
Eppure nello stesso Vangelo di Luca (1, 79) nelle parole profetiche di Zaccaria la venuta del futuro profeta del Messia era preannunziata come una promessa di pace.
ἐπιφᾶναι τοῖς ἐν σκότει καὶ σκιᾷ θανάτου καθημένοις, τοῦ κατευθῦναι τοὺς πόδας ἡμῶν εἰς ὁδὸν εἰρήνης.
inluminare his qui in tenebris et in umbra mortis sedent, ad dirigendos pedes nostros in viam pacis).
illuminare coloro che siedono nelle tenebre e nell’ombra di morte, per dirigere i nostri passi nella via della pace
E i cori angelici avevano salutato la nascita di Gesù e l’avevano proclamata ai pastori con un festante annunzio di pace (Lc. 2, 14):
Δόξα ἐν ὑψίστοις θεῷ καὶ ἐπὶ γῆς εἰρήνη ἐν ἀνθρώποις εὐδοκίας.
Gloria in altissimis Deo et in terra pax in hominibus bonae voluntatis
Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama
Che cos’è dunque la pace che Gesù ha affidato ai suoi apostoli e alla Chiesa? C’è una pace che Gesù è venuto a donare come bene prezioso, ed è la pace in lui, e c’è la pace del mondo, che Gesù non è venuto a donare. Emerge già da questo primo approccio la radicale novità della pace di Cristo, e già solo quest’aspetto è tale da sollecitare un desiderio di capire meglio quali sono i valori che questo nuovo e diverso uso di eirēnē contiene. Tenteremo qui di precisare il contenuto semantico della parola, rifacendoci agli usi precedenti di essa e dei suoi equivalenti nel mondo culturale pagano ed ebraico, osservando altresì il cambiamento di valore che le parole eirēnē e pax hanno nella primitiva letteratura cristiana. Vorremmo assumere come spunto di partenza un passo di L. Spitzer, studioso e linguista ingiustamente dimenticato o sottovalutato da gran parte della scienza moderna, che ha saputo esprimere in modo particolarmente penetrante l’importanza del Cristianesimo nella formazione dell’identità culturale europea e l’importanza del filone ebraico da una parte, greco-romano dall’altra nella formazione del pensiero cristiano:
Quella che qui potrei chiamare “semantica europea” è il comune denominatore di quattro stili storici – o espressioni semantiche di forme di civiltà, – che nel corso dei secoli si sono sovrapposti gli uni agli altri, per costruire l’edificio di quella koiné semantica, che fa sì che una persona che parli una qualsiasi lingua europea possa dominare “semanticamente” qualsiasi altra; queste quattro forme di civiltà sono l’ebraica, la greca, la romana e la cristiana, le prime tre delle quali sono state assorbite ed al pari conservate dall’ultima. Meglio di tutto esprime questo fatto la frase di Novalis Christenheit oder Europa, “Cristianità ossia Europa”. E anche se oggi dobbiamo ascoltare il muggito “mesto, da lungi risonante” del mare della fede in riflusso, tuttavia i contorni che restano allo scoperto delineano il continente “cristiano ed europeo”. Il nostro materiale lessicale concettuale … risale principalmente a quel periodo di formazione del cristianesimo, nei primi secoli della nostra èra, che possiamo chiamare “antichità cristiana”, e che assorbito gli insegnamenti dell’antichità pagana e dell’ebraismo. Questo dato di fatto fondamentale è stato sovente ignorato da certi linguisti di professione, probabilmente perché, secondo la meccanica del pensiero preconcetto, il loro desiderio di dimenticare tutti i precedenti teologici del pensiero moderno li ha portati a postulare che questo effettivamente abbia rotto ogni suo legame con il cristianesimo. (L. Spitzer, Critica stilistica e semantica storica, Bari 1954 (e successive ristampe), p. 223 e seg.: l’articolo da cui è tratta questa citazione fu pubblicato nella raccolta Essays in Historical Semantics, New York 1948).
Per comprendere dunque quanto il cristianesimo abbia recuperato del valore primitivo di eirēnē/pax e quanto abbia risignificato il termine, sarà necessario innanzi tutto ripercorrere brevemente la storia della parola nell’ambito greco-latino e poi nell’ambito semitico.