da Zetesis 1998-2
Il mare è stato a lungo uno spazio sconfinato. Anche il Mediterraneo, il mare nostrum, lo stagno a detta degli antichi, su cui si è affacciata ed è cresciuta la nostra civiltà, misurato col metro della navigazione a vela è stato percepito come una barriera, un limite, uno spazio inquietante attraversabile a prezzo di lunghe e perigliose spedizioni (due mesi da Gibilterra a Istanbul, una o due settimane da Marsiglia a Algeri). Oggi ovviamente la vertigine non è data più dalla percezione fisica dello spazio sconfinato visto che in cinque, sei ore attraversiamo a volo lʼOceano, ma ciononostante il mare non ha smesso di essere unʼimmensità ossessiva, enigmatica, affascinante e come tale entra con gran frequenza nella nostra letteratura molto spesso come il limite di fronte al quale lʼuomo si interroga, cerca il proprio destino, in bilico sullʼinfinito (cfr.: A. Baricco, Oceano mare).
Ho ristretto il campo della mia ricerca allʼimmagine più specifica della nave che si mette per mare e più genericamente della navigazione, immagine di cui ho tentato di seguire le tracce dalla letteratura antica greca e latina a quella italiana, dove è stato possibile anche europea.
La nave in balia della tempesta è metafora dello Stato
ALCEO (VI sec.).
Fr. 208a V
ἀσυννέτημμι τὼν ἀνέμων στάσιν,
τὸ μὲν γὰρ ἔνθεν κῦμα κυλίνδεται,
τὸ δʼ ἔνθεν, ἄμμες δʼὂν τὸ μέσσον
νᾶϊ φορήμμεθα σὺν μελαίνᾳ
χείμωνι μόχθεντες μεγάλῳ μάλα·
πὲρ μὲν γὰρ ἄντλος ἰστοπέδαν ἔχει,
λαῖφος δὲ πὰν ζάδηλον ἤδη,
καὶ λάκιδες μέγαλαι κὰτʼαὖτο,
χόλαισι δʼἄγκυρραι
[…]
-τοι πόδες ἀμφότεροι μενο[ισιν]
ἐν βιμβλίδεσσι· τοῦτό με καὶ σ[άοι]
μόνον· τὰ δʼἄχματʼἐκπεπ[.].άχμενα
..]μεν φ[ό]ρηντʼ ἔπερθα· τὼν[…].
Non comprendo la direzione dei venti: di qua unʼonda rotola, di là unʼaltra; e noi in mezzo siamo portati con la nera nave dal gran turbine duramente fiaccati; lʼacqua della sentina sormonta la base dellʼalbero, la vela è ormai tutta squarciata e larghi brandelli ne pendono giù; sʼallentano le sàrtie …
e ambedue le scotte restano salde nelle corde: questo soltanto può salvare anche me; il carico sbalzato fuori … è trascinato in alto …
Fr. 6 V
τόδʼ αὖ]τε κῦμα τὼ π[ρ]οτέρ[ω νέμω
στείχει,] παρέξει δʼ ἄ[μμι πόνον π]όλυν
ἄντλην ἐπ]εί κε νᾶ[ος ἔμβαι
[ ].όμεθʼ ἐ[
[ ]..[..]·[
[ ]
φαρξώμεθʼ ὠς ὤκιστα[
ἐς δʼ ἔχυρον λίμενα δρό[μωμεν,
καὶ μή τινʼὄκνος μόλθ[ακος
λάχῃ· πρόδηλον γάρ· μεγ[
μνάσθητε τὼ πάροιθα ν[
νῦν τις ἄνηρ δόκιμος γε[
καὶ μὴ καταισχύνωμεν[
ἔσλοις τόκηας γᾶς ὔπα κε[ιμένοις
. . . . . . . . . . .
Ecco, di nuovo, unʼonda del precedente vento avanza, sarà duro per noi vuotare la sentina se lʼacqua invade le nave. […] Al più presto sbarriamo le fiancate, corriamo in un porto sicuro, non (vi) colga la fiacca esitazione; è in vista un grande (rischio) innanzi a voi, siate memori delle passate (pene), ora ciascuno dia proa di coraggio e non disonoriamo (per viltà) i nostri nobili padri che giacciono nel grembo della terra. (…)
Fr. 73 V
πὰν φόρτι[ο]ν δ..[
δʼὄττι μάλιστα σάλ[
καὶ κύματι πλάγεισ[αν
ὄμβρῳ μάχεσθαι ..[
φαῖσʼοὐδὲν ἰμέρρη[ν, ἀσάμῳ
δʼἔρματι τυπτομ[έναν
κήνα μὲν ἐν τούτ[
τούτων λελάθων ὠ.[
σύν τʼ ὔμμι τέρπ[..]α[ ]άβαις
καὶ πεδὰ Βύκχιδος αὐ..[
Tutto il carico (è perduto?) e, percossa dallʼonda, dice di non volere combattere con la pioggia…, ma (si è fracassata) cozzando contro uno scoglio insidioso. Quella, se tale è il suo stato, (vada in malora), io del ritorno scordandomi … (voglio) con voi stare allegro e gioire e con Bicchide …
Nel fr. 208a V Alceo crea lʼarchetipo proiettando la profonda crisi politica che vive la sua città Mitilene minacciata da una cospirazione tirannica e la sua fazione politica nella rappresentazione simbolica della nave travolta dalla tempesta. Crea gli elementi fondamentali del naufragio metafora del disorientamento politico in una testo che contiene una fortissima funzione espressiva fondata senzʼaltro su basi psicologiche che rimandano, non ci sono dubbi, a reali esperienze della vita in mare:
i venti che soffiano senza direzione
le onde che rotolano da ogni parte
la nave nera
lʼacqua della sentina
la vela ridotta a cencio trasparente, solcata da squarci
le sartie e i timoni che cedono
il carico devastato
Ogni elemento è spiegabile fuori di metafora con i vari aspetti della lotta politica vissuta dalla fazione degli alceidi (onda è lʼirruenza dei guerrieri, i venti sono il disorientamento tipico delle lotte civili, lʼacqua che penetra è lʼirrompere dei nemici in città, il carico della nave devastato sono i beni degli alceidi in rovina etc.), ma lʼefficacia dellʼimmagine sta nel materializzarsi verso dopo verso dellʼangoscia propria di chi dispera completamente della salvezza: non cʼè differenza fra il pericolo che si corre per mare e il pericolo di tirannide; questo messaggio doveva ben materializzarsi nellʼanimo del pubblico di Alceo che ben conosceva le pene della navigazione.
Proprio questa forte efficacia psicologica della metafora ne determinerà il successo.
Nel carme 6 V. Alceo riprende la metafora per alludere a una ripresa della lotta politica, il materiale si arricchisce di significati volutamente ambivalenti (il verbo φράσσειν significa sia sbarrare le fiancate sia innalzare ripari lungo le mura) e di nuove immagini (la presenza contrastante di un porto sicuro a cui ricorrere) che avranno una lunga storia.
Infine il fr. 73 V. è del periodo dellʼesilio; il poeta è ormai fuori dalla nave/città e ha perso lo spirito combattivo, dichiara di disinteressarsi delle sorti della nave, cʼè un ripiegamento su di sè. Lʼimmagine si è arricchita di elementi ostili: non più solo il vento e le onde, ma anche pioggia e scoglio insidioso.
TEOGNIDE (VI sec.), vv. 671 ss.,
οὕνεκα νῦν φερόμεσθα καθʼἱστία λευκὰ βαλόντες
Μηλίου ἐκ πόντου νύκτα διὰ δνοφερόν·
ἀντλεῖν δʼοὐκ ἐθέλουσιν· ὑπερβάλλει δὲ θάλασσα
ἀμφοτέρων τοίχων. ἦ μάλα τις χαλεπῶς
σῴζεται. οἱ δʼἔρδουσι· κυβερνήτην μὲν ἔπαυσαν
ἐσθλόν, ὅτις φυλακὴν εἶχεν ἐπισταμένως·
χρήματα δʼἁρπάζουσι βίῃ, κόσμος δʼἀπόλωλεν,
δασμὸς δʼοὐκέτʼἴσος γίνεται ἐς τὸ μέσον·
φορτηγοὶ δʼἄρχουσι, κακοὶ δʼἀγαθῶν καθύπερθεν.
δειμαίνω, μή πως ναῦν κατὰ κῦμα πίῃ.
ταῦτά μοι ᾐνίχθω κεκρυμμένα τοῖσʼἀγαθοῖσιν·
γινώσκοι δʼ ἄν τις καὶ κακόν, ἂν σοφὸς ᾖ.
Ora, ammainate le vele bianche, siamo trasportati via dal mare di Melo, attraverso la buia notte; e non vogliono vuotare la sentina; e il mare supera entrambe le murate: davvero è molto difficile che ci si salvi. Fanno loro: hanno eliminato un pilota eccellente, che stava in guardia da esperto, e arraffano il denaro con la forza; lʼordine è finito, le tasse non si raccolgono più in modo giusto; comandano gli addetti al carico, i peggiori al di sopra dei migliori: temo che lʼonda inghiotta la nave. Questo sia detto da me in forma di metafora ai migliori; ma anche uno dei peggiori, se è intelligente, potrebbe capire.
La metafora è impura, lʼallusione ai cattivi (nuovo ceto emergente) che tolgono il potere ai buoni, agli aristocratici, svela nel testo la metafora nave/città. Gli elementi portanti sono gli stessi di Alceo:
mare tempestoso
onde che si riversano sulla nave
acqua nella sentina e lʼequipaggio che si rifiuta di vuotarla
il carico saccheggiato
disperazione della salvezza
Teognide ci parla di una rivolta dei cattivi che sovvertono il potere dei buoni e introduce gli elementi nuovi: eliminazione del pilota/classe dirigente, sovvertimento dellʼordine che fa fallire qualsiasi impresa.
Lʼimmagine del capitano della nave individuato come comandante assoluto, personificazione dellʼordine e della salvezza per tutti, dotato di abilità individuali non comuni, capace di compiere imprese al limite dellʼumano costituisce unʼefficace analogia col buon governatore e avrà una notevole tradizione.
ESCHILO I sette contro Tebe vv. 1-3
Κάδμου πολῖται, χρὴ λέγειν τὰ καίρια
ὅστις φυλάσσει πρᾶγος ἐν πρύμνῃ πόλεως
οἴακα νωμῶν, βλέφαρα μὴ κοιμῶν ὕπνῳ.
Cittadini di Cadmo, bisogna che dica parole adatte alle circostanze chi guida lo Stato reggendo il timone, senza chiudere gli occhi al sonno.
PLATONE Politico 297 a
ὥσπερ ὁ κυβερνήτης τὸ τῆς νεὼς καὶ ναυτῶν ἀεὶ συμφέρον παραφυλάττων, οὐ γράμματα τιθεὶς ἀλλὰ τὴν τέχνην νόμον παρεχόμενος, σῴζει τοὺς συνναύτας, οὕτω καὶ κατὰ τὸν αὐτὸν τρόπον τοῦτον παρὰ τῶν οὕτως ἄρχειν δυναμένων ὀρθὴ γίγνοιτʼἂν πολιτεία ἄρχειν δυναμένων ὀρθὴ γίγνοιτʼ ἂν πολιτεία, τὴν τῆς τέχνης ῥώμην τῶν νόμων παρεχομένων κρείττω καὶ πάντα ποιοῦσι;
Come il pilota, badando a ciò che di volta in volta giova alla nave e ai marinai, non facendo leggi scritte ma ponendo come legge la sua abilità salva i compagni, così in questo stesso modo non si avrebbe un retto governo per opera di coloro che sono in grado di comandare, ponendo la forza della loro abilità al di sopra delle leggi
POLIBIO VI, 44, 3-7
ἀεὶ γάρ ποτε τὸν τῶν Ἀθηναίων δῆμον παραπλήσιον εἶναι συμβαίνει τοῖς ἀδεσπότοις σκάφεσι. καὶ γὰρ ἐπʼἐκείνων, ὅταν μὲν ἢ διὰ πελαγῶν φόβον ἢ διὰ περίστασιν χειμῶνος ὁρμὴ παραστῇ τοῖς ἐπιβάταις συμφρονεῖν καὶ προσέχειν τὸν νοῦν τῷ κυβερνήτῃ, γίνεται τὸ δέον ἐξ αὐτῶν διαφερόντως· ὅταν δὲ θαρρήσαντες ἄρξωνται καταφρονεῖν τῶν προεστώτων καὶ στασιάζειν πρὸς ἀλλήλους διὰ τὸ μηκέτι δοκεῖν πᾶσι ταὐτά, τότε δὴ τῶν μὲν ἔτι πλεῖν προαιρουμένων, τῶν δὲ κατεπειγόντων ὁρμίζειν τὸν κυβερνήτην, καὶ τῶν μὲν ἐκσειόντων τοὺς κάλους, τῶν δʼἐπιλαμβανομένων καὶ στέλλεσθαι παρακελευομένων, αἰσχρὰ μὲν πρόσοψις γίνεται τοῖς ἔξωθεν θεωμένοις διὰ τὴν ἐν ἀλληλοις διαφορὰν καὶ στάσιν, ἐπισφαλὴς δʼἡ διάθεσις τοῖς μετασχοῦσι καὶ κοινωνήσασι τοῦ πλοῦ· διὸ καὶ πολλάκις διαφυγόντες τὰ μέγιστα πελάγη καὶ τοὺς ἐπιφανεστάτους χειμῶνας ἐν τοῖς λιμέσι καὶ πρὸς τῇ γῇ ναυαγοῦσιν.
Il popolo di Atene infatti suole comportarsi ogni volta come ciurma senza nocchiero: finché il timore dei nemici o lʼincombere di una tempesta inducono i marinai ad essere concordi e ad obbedire al nocchiero, ogni cosa procede sulla nave nel migliore dei modi; quando, ripreso animo, essi cominciano a disprezzare i comandanti e a discutere fra loro animati da opinioni diverse, desiderosi gli uni di continuare la navigazione, gli altri di convincere il timoniere a gettare le ancore, allora cʼè chi strappa le funi, chi si oppone e ammaina le vele; a chi li vede dallʼesterno con la loro discordia marinai siffatti presentano ben triste spettacolo e per di più la loro situazione è pericolosa: spesso accade che, dopo essere scampati ai pericoli di mari lontani e di gravi tempeste essi vadano a naufragare nei porti e vicino a terra.
(trad. Carla Schick)
Lʼelemento nuovo è il comportamento della ciurma senza nocchiero o senza lʼincombere del pericolo.
DIONE CASSIO LII, 16, 3-4 (discorso di Mecenate a Augusto):
καὶ διὰ ταῦθʼἡ πόλις ἡμῶν, ὥσπερ ὁλκὰς μεγάλη καὶ πλήρης ὄχλου παντοδαποῦ χωρὶς κυβερνήτου, πολλὰς ἤδη γενεὰς ἐν κλύδωνι πολλῷ φερομένη σαλεύει τε καὶ ᾄττει δεῦρο κἀκεῖσε, καθάπερ ἀνερμάτιστος οὖσα. μητʼοὖν χειμαζομένην ἔτʼαὐτὴν περιίδῃς, ὁρᾷς γὰρ ὡς ὑπέραντλός ἐστι, μήτε περὶ ἕρμα περιρραγῆναι ἐάσῃς, σαθρὰ γάρ ἐστι καὶ οὐδένα ἔτι χρόνον ἀντισχεῖν δυνήσεται· ἀλλʼἐπειδηπερ οἱ θεοὶ ἐλεήσαντες αὐτὴν καὶ ἐπιγνώμονά σε καὶ ἐπιστάτην αὐτῆς ἐπέστησαν, μὴ προδῷς τὴν πατρίδα, ἵνʼ ὥσπερ νῦν διὰ σὲ μικρὸν ἀναπέπνευκεν, οὕτω καὶ τὸν λοιπὸν αἰῶνα μετʼ ἀσφαλείας διαγάγῃ.
E per questo la nostra città, come una nave grande e piena di gente dʼogni genere, senza nocchiero, già da molte generazioni trascinata tra molti flutti ondeggia e sobbalza di qua e di là come priva di zavorra. Or dunque non restare indifferenti alla vista di questa nave trascinata dalla tempesta (vedi infatti come fa acqua da tutte le parti) e non permettere che essa vada ad infrangersi contro gli scogli (ché è in cattivo stato e non potrà resistere più a lungo). Ma dal momento che gli dei, avendone pietà, ti hanno elevato a suo arbitro e guida, non tradire la patria, affinché come ora per opera tua ha ripreso un poʼ fiato, così possa in avvenire vivere nella sicurezza.
(trad. Andrea Favuzzi)
Roma è una nave senza nocchiero, di cui però gli dei hanno avuto pietà destinandola al governo augusteo.
ORAZIO, Odi I, 14
O navis, referent in mare te novi
fluctus. O quid agis? Fortiter occupa
portum. Nonne vides, ut
nudum remigio latus
et malus celeri saucius Africo
antemnaeque gemant ac sine funibus
vix durare carinae
possint imperiosius
aequor? Non tibi sunt integra linrea,
non di, quos iterum pressa voce malo.
Quamvis Pontica pinus,
silvae filia nobilis,
iactes et genus et nomen inutile,
nil pictis timidus navita puppibus
fidit. Tu nisi ventis
debes ludibrium, cave.
Nuper sollicitum quae mihi taedium,
nunc desiderium curaque non levis,
interfusa nitentis
vites aequora Cycladas.
È chiara la ripresa di Alceo, non solo però nellʼutilizzo di un materiale metaforico che ormai risulta consolidato (la minaccia del vento e delle onde, la descrizione dello sconquasso provocato dalla tempesta sugli elementi della nave: vele, carena, albero), ma proprio per la stessa efficace materializzazione attraverso il simbolo della angoscia psicologica vissuta dal poeta in un momento di grande incertezza politica. A quale momento di preciso qui il poeta alluda (novi fluctus) la critica risponde in modo discorde (guerra contro Sesto Pompeo? guerra Ottaviano/Antonio?), ma mi pare importante il coinvolgimento emotivo del poeta che pur non essendo sulla nave (Orazio non partecipa alla vita politica) soffre nel guardare dalla riva la nave dello stato che non riesce a entrare in un porto sicuro. Qualsiasi accusa di atarassico disinteresse qui sembra cadere.
DANTE, Purg. VI, 76-7
Ahi, serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiero in gran tempesta…
Conv. IV iv 5-6; IV v 8
Sì come vedemo in una nave, che diversi offici e diversi fini di quella a uno solo fine sono ordinati, cioè a prendere loro desiderato porto per salutevole via: dove, sì come ciascuno officiale ordina la propria operazione nel proprio fine, così è uno che tutti questi fini considera, e ordina quelli ne lʼultimo di tutti; e questo è lo nocchiero, a la cui voce tutti obedire deono…
Né ʼl mondo mai non fu né sarà sì perfettamente disposto come allora che a la voce di un solo, principe del roman popolo e comandatore, fu ordinato, sì come testimonia Luca evangelista. E però che pace universale era per tutto, che mai, più, non fu né fia, la nave de lʼumana compagnia dirittamente per dolce cammino a debito porto correa.
Cʼè poi il motto della città di Parigi che porta sullo stemma una nave sballottata dalle onde: fluctuat nec mergitur. Allude bene alla forza dello stato come istituzione; alcuni lo applicano volentieri alla chiesa cattolica che, pur in mezzo a flutti, non sarà sommersa secondo la divina promessa.
Infine sono finita per caso su questo passo di Montale, Elzeviri, Dal mare, “Corriere della Sera” 10 Agosto 1968, che sembrerebbe decretare la fine del filone politico della metafora nella nostra epoca:
In altri tempi i comandanti di navi da guerra andavano a picco con la nave dopo aver salvato lʼequipaggio. Essi erano i depositari di una responsabilità e per questo rispettati. Ma si potrebbe anche immaginare una civiltà che affonda dopo che i suoi capi hanno già fatto le valigie. (Ogni riferimento ai nostri tempi è ovviamente da escludersi).
Non è più solo questione per la nostra epoca di scarsa abitudine alla vita di mare, sono le analogie che sono venute meno insieme alla fine del senso di responsabilità dellʼuomo politico.
La nave in balia della tempesta è metafora dello Stato
Navigare necesse est; vivere non necesse. Secondo le fonti (Cic., de domo 24, 25; Ad Atticum IV 1, 8; Appiano B.C. II 18, 67; Dione Cassio XXXIX 9e, 24; Plut., Pomp. 49 e 50) fu la frase pronunciata da Pompeo allʼindomani dellʼassunzione dellʼincarico di prefetto dellʼannona per cinque anni, quando, per sorvegliare i convogli attesi dalla Sardegna, si imbarca anche se imperversa la tempesta. Pompeo è in questo momento amareggiato, si è allontanato da Cesare (Giulia è già morta) e vive a Roma una situazione di stallo minacciato dalle bande di Clodio. Il navigare, il mettersi per mare sembra essere qui metafora del compiere fino in fondo il proprio dovere per il bene dello stato anche a rischio della vita; lʼeroicità sta nel sacrificio di sè per il bene della res publica; cʼè dietro lʼesempio contrario di Cesare.
Molto nota è la ripresa dannunziana privata ovviamente della sfumatura doveristica e molto concentrata sul tema eroico. Si tratta del primo libro delle Laudi, Maia, che racconta un viaggio in Grecia per nave tutto pervaso dalla trasfigurazione mitica che vive il poeta novello Ulisse. Nel primo componimento, Alle Pleiadi e ai Fati, Ulisse è lʼeroe del “navigare è necessario, non è necessario vivere”, lo sprezzo della vita di fronte allʼimpresa eroica; qui la necessità della navigazione è un motivo tipicamente dannunziano che ritorna anche nel canto IV sempre insieme alla figura di Ulisse. Ulisse qui è solo, intento alla navigazione presentata quasi come un rito più importante della vita stessa, sdegnoso e muto è lʼessenza del navigatore che distilla eroicità attraverso lo sguardo che concede solo al poeta che acquisisce coscienza della suo destino eroico. Lʼultimo componimento di Maia si chiude simmetricamente con le parole “è necessario navigare, vivere non è necessario”.
Incontrammo colui
che i Latini chiamano Ulisse,
nelle acque di Leucade, sotto
le rogge e bianche rupi
che incombono al gorgo vorace,
presso lʼisola macra
come corpo di rudi
ossa incrollabili estrutto
e sol dʼargentea cintura
precinto. Lui vedemmo
su la nave incavata. E reggeva
ei nel pugno la scotta
spiando i volubili vènti,
silenzioso; e il pìleo
tèstile dei marinai
coprìvagli il capo canuto,
la tunica breve il ginocchio
ferreo, la palpebra alquanto
lʼocchio aguzzo; e vigile in ogni
muscolo era lʼinfaticata
possa del magnanimo cuore.
E non i tripodi massicci,
non i lebeti rotondi
sotto i banchi del legno
luceano, i bei doni
dʼAlcinoo re dei Feaci,
né la veste né il manto
distesi ove colcarsi
e dormir potesse lʼEroe;
ma solo ei tolto sʼavea lʼarco
dellʼallegra vendetta, lʼarco
di vaste corna e di nervo
duro che teso stridette
come la rondine nunzia
del dì, quando ei scelse il quadrello
a fieder la strozza del proco.
Sol con quellʼarco e con la nera
sua nave, lungi dalla casa
dʼalto colmigno sonora
dʼindustri telai, proseguiva
il suo necessario travaglio
contra lʼimplacabile Mare.
«O Laertiade» gridammo,
e il cuor ci balzava nel petto
come ai Coribanti dellʼIda
per una virtù furibonda
e il fegato acerrimo ardeva
«o Re degli uomini, eversore
di mura, piloto di tutte
le sirti, ove navighi? A quali
meravigliosi perigli
conduci il legno tuo nero?
Liberi uomini siamo
e come tu la tua scotta
noi la vita nostra nel pugno
tegnamo, pronti a lasciarla
in bando o a tenderla ancóra.
Ma, se un re volessimo avere,
te solo vorremmo
per re, te che sai mille vie.
Prendici nella tua nave
tuoi fedeli insino alla morte!»
Non pur degnò volgere il capo.Di diverso segno lʼeroicità del naufrago ungarettiano, ma in filigrana si percepisce il tema della navigazione necessaria.
Allegria di naufragi
E subito riprende
il viaggio
come dopo un naufragio
un superstite
lupo di mare
Lʼeroicità sta qui nel quotidiano superare ogni fallimento ricominciando da capo con fermezza e determinazione simboleggiato dal necessario rimettersi in mare anche dopo un naufragio del vecchio lupo di mare, anche il mito dellʼ Ulisse dantesco affiora in questo inesorabile riprendere il largo.
Viaggio per nave è il viaggio della vita
Gli elementi tipici della metafora nave/stato sono riutilizzati nel ʼ300 dal Petrarca, ma il tema non è più politico. Nel Canzoniere il poeta canta un unico oggetto, se stesso con o senza Laura, da qui lʼunità dell’ʼopera. La nave in preda alla tempesta, le pene della navigazione diventano metafore della vita dell’ʼuomo e dei suoi travagli interiori.
Passa la nave mia…
Passa la nave mia colma dʼoblio
per aspro mare, a mezza notte il verno,
enfra Scilla et Caribdi; et al governo
siede ʼ1 signore, anzi ʼ1 nimico mio.
A ciascun remo un penser pronto et rio
che la tempesta e ʼ1 fin par chʼabbi a scherno;
la vela rompe un vento humido eterno
di sospirʼ, di speranze et di desio.
Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni
bagna et rallenta le già stanche sarte,
che son dʼerror con ignorantia attorto.
Celansi i duo mei dolci usati segni;
morta fra lʼonde è la ragion et lʼarte,
tal chʼincomincio a desperar del porto.
O cameretta…
O cameretta che già fosti un porto
a le gravi tempeste mie dïurne,
fonte seʼ or di lagrime notturne,
che ʼl dì celate per vergogna porto.
O letticciuol che requie eri et conforto
in tanti affanni, di che dogliose urne
ti bagna Amor, con quelle mani eburne,
solo verʼ me crudeli a sì gran torto!
Né pur il mio segreto e ʼ1 mio riposo
fuggo, ma più me stesso e ʼl mio pensero,
che, seguendol, talor levommi a volo;
e ʼl vulgo a me nemico et odïoso
(chi ʼ1 pensò mai?) per mio refugio chero:
tal paura ho di ritrovarmi solo.
Il mare agitato e tempestoso metafora della condizione di affanno e angoscia del poeta era sempre stato fuori dal luogo della solitudine e del raccoglimento, ora invece entra anche lì e rende ancor più disperata la condizione del poeta
La vita fugge…
La vita fugge, et non sʼarresta una hora,
et la morte vien dietro a gran giornate,
et le cose presenti et le passate
mi dànno guerra, et le future anchora;
e ʼl rimembrare et lʼaspettar mʼaccora,
or quinci or quindi, sí che ʼn veritate,
se non chʼiʼ ò di me stesso pietate,
iʼ sarei già di questi pensierʼ fora.
Tornami avanti, sʼalcun dolce mai
ebbe ʼl cor tristo; et poi da lʼaltra parte
veggio al mio navigar turbati i vènti;
veggio fortuna in porto, et stanco omai
il mio nocchier, et rotte arbore et sarte,
e i lumi bei che mirar soglio, spenti.
Stanchezza mortale per la vita rappresentata dalla navigazione nella tempesta senza più punti di riferimento, la situazione è anche qui ancor più disperata in quanto la tempesta imperversa anche nel porto prima luogo di quiete e di serenità.
Carducci, “scudiero” dei classici, riprende il celebre sonetto petrarchesco.
Passa la nave mia sola tra il pianto (da Juvenilia 1851)
Passa la nave mia, sola, tra il pianto
De gli alcïon, per lʼacqua procellosa.
E la involge e la batte, e mai non posa,
De lʼonde il tuon, de i folgori lo schianto.
Volgono al lido, ormai perduto, in tanto
Le memorie la faccia lacrimosa,
E vinte le speranze in faticosa
Vista sʼabbatton sovra il remo infranto.
Ma dritto su la poppa il genio mio
Guarda il cielo ed il mare, e canta forte
Deʼ venti e de le antenne al cigolio:
– Voghiam, voghiamo, o disperate scorte,
Al nubiloso porto de lʼoblio,
A la scogliera bianca de la morte.
La descrizione della tempesta riprende la metafora classica di derivazione alceiana. Il forte valore avversativo del primo verso della prima terzina rende ancor più lʼopposizione fra i turbamenti interiori e la forza dellʼio che alfierianamente si erge contro vento e tempesta verso lʼoblio e la morte
In modo meno esplicito, probabilmente si può spiegare con questa traccia anche lʼabbondante e suggestiva produzione di ambiente soprattutto anglosassone maturata attorno alla leggenda del vascello fantasma. Qui la nave è nera, popolata di fantasmi, mostri, spesso cadaveri, intrapprende una navigazione in solitudine ai limiti dellʼignoto. Lʼimmagine ricorre in:
E.A. Poe, Manoscritto trovato in una bottiglia
id. Gordon Pym, cap. X
Coleridge, Ballata del vecchio marinaio (1798)
R. Wagner, Olandese volante (1843)
Melville, Benito Cereno (1856)
Stevenson, Lʼisola del tesoro, cap. xxiv (1883)
La leggenda nasce nel Seicento allʼepoca degli avventurosi viaggi attorno al globo e allude allʼeterno errare di un olandese che volle contro il volere divino doppiare il capo di Buona Speranza. Le riprese sembrano costituire una inquietante metafora della vita dellʼuomo che si perde in unʼesistenza senza senso cioè senza significato e senza direzione, in preda a forze occulte che lo trascinano in un destino tragico, orrendo e mortale.
Viaggio per nave è il viaggio della vita
Il tema non è classico, bensì di derivazione occitanica.
Nel racconto arturiano il mago Merlino dona alla dama di Avalon, forse Morgana, la “nave di gioia e di svago” che inventa apposta per lʼamata. Lʼimmagine diventa un archetipo molto diffuso nel duecento: cfr. poemetto cortese Mare amoroso vv. 212-216: “E se potesse avere una barchetta/tal com fu quella che donò Merlino/ a la valente dama dʼAvalona/chʼandossi sanza remi e sanza vela/altresì per terra come per acqua…”. Eʼ un sogno di vita felice presentato nella forma e nel gusto del plazer provenzale (elenco di cose e fatti piacevoli) che è ripreso chiaramente nellʼ “ideal vasel” del sonetto stilnovista di Dante “Guido, iʼvorrei che tu e Lapo ed io”
Lʼincanto prodotto dallʼunità di intenti prelude al tema stilnovista dellʼamicizia ideale fra i fedeli dʼamore qui allargata alle loro donne-muse, fondata sul “ragionar sempre dʼamore”.
Questʼidea di amicizia corale che accamuna poeti e loro muse in un vagare senza meta, sembra ripresa, ma lo si legge in filigrana, da una poesia tarda di Montale Quartetto 1979. Sullʼideal vasel di Montale cʼè Clizia, Sbarbaro e Elena Vivante i due poeti e le due muse.
Lʼerrare per nave verso luoghi remoti e fantastici, diventa nella poesia simbolista fuggire dalla vita materiale verso un mondo lontano e favoloso attraverso il mare simbolo della sognata liberazione dalla noia, ma forse anche di una rovina definitiva.
Mallarmé
Come è triste la carne… E ho letto tutti i libri!
Fuggire! laggiù fuggire! Ho udito il canto di uccelli
Ebbri tra lʼignota schiuma e i cieli. Nulla,
Neppure gli antichi giardini riflessi negli occhi,
Potrà trattenere il mio cuore che sʼimmerge nel mare.
O notti! neppure il deserto chiarore della mia lampada
Sul foglio ancora intatto, difeso dal suo candore
E neppure la giovane donna che nutre il suo bambino.
Partirò! Nave che culli le tue vele
Leva lʼancora verso unʼesotica natura!
Una Noia crede ancora, desolata da speranze crudeli,
Ai fazzoletti agitati nellʼultimo addio.
E forse gli alberi che attirano la tempesta
Il vento farà inclinare sui naufragi
Perduti, senzʼalberi, lontani da fertili isole…
Ma ascolta, mio cuore, il canto dei marinai!
Brise Marine
La chair est triste, hélas ! et j’ai lu tous les livres.
Fuir ! là-bas fuir ! Je sens que des oiseaux sont ivres
D’être parmi l’écume inconnue et les cieux !
Rien, ni les vieux jardins reflétés par les yeux,
Ne retiendra ce cœur qui dans la mer se trempe,
Ô Nuits ! ni la clarté déserte de ma lampe
Sur le vide papier que la blancheur défend,
Et ni la jeune femme allaitant son enfant.
Je partirai ! Steamer balançant ta mâture,
Lève l’ancre pour une exotique nature !
Un Ennui, désolé par les cruels espoirs,
Croit encore à l’adieu suprême des mouchoirs !
Et, peut-être, les mâts, invitant les orages,
Sont-ils de ceux qu’un vent penche sur les naufrages
Perdus, sans mâts, sans mâts, ni fertiles ilôts…
Mais, o mon cœur, entends le chant des matelots !
Baudelaire
È vero, Agata, dimmi, ti fugge a volte il cuore
lungi dal nero oceano dellʼimmonda città,
a un altro oceano, dove rifulge lo splendore
profondo, chiaro, blu della verginità?
È vero, Agata, dimmi, ti fugge a volte il cuore ?
Il mare, il vasto mare consola i nostri affanni!
Qual dèmone ha donato al mare questa rauca
voce, che canta una sublime ninna-nanna,
accompagnata allʼorgano dei venti che sʼaggrondano?
Il mare, il vasto mare consola i nostri affanni!
Portami via, vagone! con te levami, nave!
Lungi da questo fango fatto coi nostri pianti!,
– È vero che talvolta ad Agata lʼamaro
cuore bisbiglia: Via delitti, rimorsi, pianti,
portami via, vagone, con te levami, nave?
Come lontano sei, paradiso odorato,
dove azzurro è il sereno solo alle gioie dʼamore,
e tutto ciò che sʼama è degno che sia amato,
e in una voluttà pura sʼannega il cuore!
Come lontano sei, paradiso odorato! (…)
Trad. di C. Muscetta
MOESTA ET ERRABUNDA
Dis-moi, ton coeur parfois s’envole-t-il, Agathe,
Loin du noir océan de l’immonde cité,
Vers un autre océan où la splendeur éclate,
Bleu, clair, profond, ainsi que la virginité ?
Dis-moi, ton coeur parfois s’envole-t-il, Agathe!
La mer, la vaste mer, console nos labeurs!
Quel démon a doté la mer, rauque chanteuse
Qu’accompagne l’immense orgue des vents grondeurs,
De cette fonction sublime de berceuse?
La mer, la vaste mer, console nos labeurs!
Emporte-moi, wagon! enlève-moi, frégate!
Loin! loin! ici la boue est faite de nos pleurs!
– Est-il vrai que parfois le triste coeur d’Agathe
Dise : Loin des remords, des crimes, des douleurs,
Emporte-moi, wagon, enlève-moi, frégate?
Comme vous êtes loin, paradis parfumé,
Où sous un clair azur tout n’est qu’amour et joie,
Où tout ce que l’on aime est digne d’être aimé,
Où dans la volupté pure le coeur se noie!
Comme vous êtes loin, paradis parfumé!
Mais le vert paradis des amours enfantines,
Les courses, les chansons, les baisers, les bouquets,
Les violons vibrant, derrière les collines,
Avec les brocs (le vins, le soir, dans les bosquets,
Mais le vert paradis des Amours enfantines,
L’innocent paradis, plein de plaisirs furtifs,
Est-il déjà plus loin que l’Inde et que la Chine?
Peut-on le rappeler avec des cris plaintifs,
Et l’animer encor d’une voix argentine,
L’innocent paradis plein de plaisirs furtifs?
(da Les Fleurs du Mal)
Nella storia di Tristano e Isotta raccontata sia dagli autori italiani sia francesi è sulla nave che riporta Tristano e Isotta dallʼIrlanda in Cornovaglia che per errore viene bevuto dai due il filtro magico che li farà innamorare di quellʼamore folle che li trascinerà alla morte. La nave è il luogo della magia e della follia.
La nave metafora della ragione e delle sue indagini metafisiche
PLATONE, Fedone, 99 d
ἐπειδὴ δὲ ταύτης ἐστερήθην καὶ οὔτʼαὐτὸς εὑρεῖν οὔτε παρʼ ἄλλου μαθεῖν οἷός τε ἐγενόμην, τὸν δεύτερον πλοῦν ἐπὶ τὴν τῆς αἰτίας ζήτησιν ᾗ πεπραγμάτευμαι βούλει σοι, ἔφη, ἐπίδειξιν ποιήσωμαι, ὦ Κέβης
Ma, poiché me ne vidi privo, e non potei né trovarla da me né impararla da altri; vuoi tu, Cebete, chʼio ti esponga, aggiunse, come alla ricerca della vera causa io, come suol dirsi, non potendo a vela, mi sia messo a forza di remi?
Fedone, 85, c,d
δεῖν γὰρ περὶ αὐτὰ ἕν γέ τι τούτων διαπράξασθαι, ἢ μαθεῖν ὅπῃ ἔχει ἢ εὑρεῖν ἤ, εἰ ταῦτα ἀδύνατον, τὸν γοῦν βέλτιστον τῶν ἀνθρωπίνων λόγων λαβόντα καὶ δυσεξελεγκτότατον, ἐπὶ τούτου ὀχούμενον ὥσπερ ἐπὶ σχεδίας κινδυνεύοντα διαπλεῦσαι τὸν βίον, εἰ μή τις δύναιτο ἀσφαλέστερον καὶ ἀκινδυνότερον ἐπὶ βεβαιοτέρου ὀχήματος, [ἢ] λόγου θείου τινός, διαπορευθῆναι.
Giacché credo che in simili argomenti si debba conseguire uno di questi scopi: o apprendere da altri come stiano, o trovarlo da sé; oppure, se non altro, al migliore e al più inoppugnabile dei ragionamenti umani, e affidandosi ad esso, come ad una zattera, navigare a proprio rischio attraverso la vita, quando non si possa con più sicurezza e minor pericolo compiere questo viaggio su una più salda nave, voglio dire su una parola divina.
Platone prova lʼesistenza di un mondo intelligibile, il mondo delle idee nelle pagine centrali di questʼopera e per indicare il viaggio da lui compiuto verso questa scoperta usa la metafora della “seconda navigazione” cioè quella navigazione che si compie a forza di remi con la bonaccia impegnando tutte le energie umane. La “prima navigazione” era stata compiuta da Platone leggendo i filosofi naturalisti, ma da ciò Platone dice di non aver tratto nessun vantaggio perché ciò che è sensibile non è in grado di giustificare e spiegare se stesso. Le cause vere dei fenomeni sono metempiriche, dunque per scoprirle occorre abbandonare il sensibile e rifugiarsi nel logos. Con gli occhi fisici vediamo le cose fisiche (“prima navigazione”), con gli occhi dellʼanima ossia lʼintelligenza noi vediamo le cose intellegibili; su questa “seconda navigazione” si fonderà il pensiero metafisico occidentale.
AGOSTINO, Commento al Vangelo di S. Giovanni, 49.
Si ipsa fides intus, ibi est Christus fremens; si fides in nobis, Christus in nobis. Quid enim aliud ait apostolus: habitare Christum per fidem in cordibus uestris? Ergo fides tua de Christo, Christus est in corde tuo. Hinc est illud quod dormiebat in navi; et cum periclitarentur discipuli, iam imminente naufragio accesserunt ad eum, et excitaverunt eum; surrexit Christus, imperavit ventis et fluctibus, et facta est tranquillitas magna. Sic et tu; intrant venti cor tuum, utique ubi navigas, ubi hanc vitam tamquam procellosum et periculosum pelagus transis; intrant venti, movent fluctus, turbant navim. Qui sunt uenti? Audisti convicium, irasceris; convicium ventus est, iracundia fluctus est; periclitaris, disponis respondere, disponis maledictum maledicto reddere, iam navis propinquat naufragio; excita Christum dormientem. Ideo enim fluctuas, et mala pro malis reddere praeparas, quia Christus dormit in navi. in corde enim tuo somnus Christi, oblivio fidei.(…) Quomodo ergo hoc est excitare Christum in navi, excitare fidem, sic in corde hominis quem premit magna moles et consuetudo peccati, in corde hominis transgressoris etiam sancti evangelii, contemtoris poenarum aeternarum, fremat Christus, increpet se homo.
La ragione umana da sola non poteva offrire anche il mezzo per giungere nellʼaldilà. Fra noi e lʼaldilà si frappone il burrascoso mare di questo secolo che con le sole forze umane non si può attraversare. Dio ha preparato il legno, la croce con cui compiere la traversata. Il mezzo è sicuro, ma tuttʼaltro che comodo.