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L’uomo romano e l’impero senza fine

by Mariapina Dragonetti

Incontro al XXV Meeting per l’amicizia tra i popoli del 23 agosto 2004

Relatori:
prof. Alfredo Valvo (Università Cattolica del Sacro Cuore, Brescia)
prof.ssa Marta Sordi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano).
Coordinatore: prof. Moreno Morani

Il testo completo delle relazioni e degli interventi è riportato nel numero 2-2004 della rivista.

Riportiamo qui il Comunicato Stampa n. 23, col quale l’Ufficio Stampa del Meeting ha dato notizia dell’incontro, e il testo curato da Arcangelo Berra e apparso su Quotidiano Meeting di martedì 24 agosto 2004, sotto il titolo Contadini alla conquista del mondo.

COMUNICATO STAMPA N. 23: L’UOMO ROMANO E L’IMPERO SENZA FINE


Il tema dell’ incontro è collegato alla mostra “Di ogni cosa buon giudice è il tempo” promossa dalla rivista Zetesis di Milano, specializzata nell’analisi delle problematiche legate al mondo romano e alla sua continuità nella cultura europea. Sono intervenuti Marta Sordi, già docente di Storia Romana presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano, e Alfredo Valvo, docente di Storia Romana presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano. Ha coordinato Moreno Morani, docente di Glottologia presso l’Università degli Studi di Genova e presidente dd Comitato Scientifico Zetesis.

Il professor Morani ha spiegato il collegamento tra l’incontro e il tema del Meeting, la cui parola chiave è “progresso”. È possibile verificare come molte delle idee che costituiscono il patrimonio originario della cultura contemporanea siano state oggetto di dibattito nei mondo romano, che si è posto domande precise suite ragioni del proprio esistere e del proprio agire. La discussione ha riguardato principalmente il concetto di Storia, una delle idee più caratterizzanti della tradizione occidentale, nata in Grecia, mediata da Roma e trasmessa a tutta la cultura europea. L’idea di Storia ha origine in Grecia, con Erodoto che ha composto la sua opera con lo scopo di non perdere il ricordo delle imprese operate tanto dai Greci quanto dai Persiani, il loro nemico naturale, e insieme di riflettere sulle cause dei fatti storici.

Il professor Valvo ha iniziato il suo intervento descrivendo cos’era l’Uomo Romano: essenzialmente un contadino, legato indissolubilmente alla terra. Da qui il pragmatismo e il realismo che hanno caratterizzato ogni azione di questo popolo. L’Uomo Romano descritto dal professore è quello della Media Repubblica (III-II secolo a.C.), caratterizzato da una religiosità semplice e concreta e da un forte senso del dovere e del sacrificio. La religiosità romana è un atteggiamento serio e responsabile nei confronti della divinità che si concretizza nel concetto di “pietas”, dipendenza dalla divinità e attesa della benevolenza degli dèi come contraccambio. Solo grazie a questo si realizza la “pax deorum”, un vero e proprio patto tra uomo e divinità, fondamento essenziale del progresso di Roma. Agli dèi veniva chiesto il parere prima di intraprendere qualunque azione e il potere di farlo, ovvero l’azione di trarre gli auspici, era una prerogativa esclusiva dei magistrati: senza questo rapporto con la divinità lo Stato non poteva esistere. C’è un’idea di appartenenza alla stirpe divina, la divinità principale del pantheon romano è “Iupiter” e nel suo nome è contenuta la stessa radice di “pater”, padre. Inoltre, il nucleo principale del popolo romano, i “patricii”, è identificato proprio dal concetto di discendenza, di “avere un padre”. L’idea di paternità è legata a quella di “libertas”, che ha la stessa etimologia di “liberi”, figli. Cicerone identificava la “libertas” con la “civitas”: lo Stato era visto come padre dei cittadini. Per indicare la corrispondenza uomo-Dio, lo stesso autore usava il termine “ratio”, ovvero l’impronta divina nel cuore dell’uomo, ciò che consente di discernere il Bene dal Male. San Paolo nell’Areopago di Atene ricorderà il passo di un poeta greco, Arato, “di Dio noi siamo la stirpe” (cfr. Atti degli Apostoli 17, 32-34): uomo e Dio appartengono allo stesso genere. In queste parole si trova il punto di contatto tra Cristianesimo e Mondo Classico.

La professoressa Sordi ha ricordato un discorso di Valentiniano I, imperatore di Roma e cristiano, sottolineando il fatto che il Cristianesimo non ha rinnegato nulla della cultura romana tranne il paganesimo: la “pax deorum” diventa la “pax Dei” o “pax Christi”, la lealtà verso la patria è assimilata alla lealtà verso la famiglia. Le virtù che hanno fatto grande Roma (fidesfortitudodisciplina) sono fatte proprie dalla nuova religione. Roma non ha miti, il suo mito è la storia nazionale. E proprio nella figura del suo padre fondatore, Enea, che è possibile ritrovare alcune caratteristiche sorprendentemente vicine all’Abramo biblico: la fede è l’obbedienza alla divinità, per cui l’eroe accetterà di abbandonare la patria in fiamme e vagabondare in direzione di una terra misteriosa e sfuggente, che al suo arrivo gli prometterà solo guerra e morte; tutto in nome di una promessa che egli non vedrà mai realizzata nella sua vita. Nell’Eneide di Virgilio il Fato non è un cieco destino, ma si rivolge alla consapevolezza e libertà dell’uomo. Enea è l’uomo che soffre, incarnazione dell’idea del dolore come fattore costruttivo della Storia: nulla nasce senza sacrificio. In una religione senza miti la leggenda di Enea diventa il mito di fondazione in cui si esprime il senso religioso del popolo romano, a cui Giove concede un “imperium” senza fine proprio per la sua “pietas”. I Cristiani non rinnegano il concetto di “Roma eterna” e interpretano l’Impero come l’unica forza capace di trattenere l’Anticristo. Questa concezione rimarrà anche dopo il sacco di Roma del 410: sia un autore cristiano, Orosio, che un autore pagano, Rutìlio Numanziano, esprimeranno lo stesso concetto, che Roma risorgerà proprio perché potenza civilizzatrice e patria del diritto. Un destino forse identificabile nella successiva fondazione del Sacro Romano Impero che, con alterne vicende, sopravviverà fino alla Prima Guerra Mondiale.

Marta Sordi spiega chi erano i romani: contadini alla conquista del mondo

“I pretoriani non erano quella specie di SS che spesso il cinema ci fa vedere: Augusto si era scelto come guardie di fiducia uomini dotati di fortitudo pietas, cioè di due virtù romane tradizionali”, così racconta Marta Sordi, docente emerita di Storia greca e romana all’Università cattolica di Milano. Ma chi era quest’uomo romano, che ha fondato un impero senza fine, o quasi, quale fascino aveva, se persone di tutte le regioni del mondo appena potevano si dichiaravano romani ed erano pronti a dare la vita per questo?
“L’uomo romano era un contadino, il latino è una lingua essenziale e senza sinonimi, una lingua del diritto e le etimologie riportano alla terra”, precisa Alfredo Valvo, docente di Storia romana all’Università cattolica di Milano. “Anche le conquiste partono da un’idea di difesa della propria terra e il dominio comprende sempre l’estensione del diritto”. E quali sono le doti di quest’uomo? Pragmatismo, realismo, ma soprattutto pietas che è dipendenza e appartenenza alla divinità, con la quale entra in rapporto con un patto e il risultato è la pax deorum, la condizione essenziale per la salvezza dello stato. Per essere certi di non sbagliare, i romani chiedevano sempre il parere degli dei tramite gli auspicia. Li potevano fare solo pochi, i magistrati eletti dal popolo (anche la carica di pontefice massimo era elettiva), unica fonte dell’imperium, il potere supremo. Le divinità romane, diversamente da quelle greche, erano stabili e avevano con gli uomini un rapporto di paternità: la divinità suprema era Juppiter (nome che contiene la parola padre). E all’idea di paternità era legato il concetto di patrizi (come dire, i padri del popolo) e di libertas, che era la condizione dei liberi, cioè dei figli (liberi significa figli). Perciò per il bene della Res publica (la “cosa di tutti”, lo stato) il romano è pronto al sacrificio come Decio Mure.
Con il Cristianesimo nessuna di queste doti umane viene rinnegata e per questo la professoressa Marta Sordi afferma che il Cristianesimo non è tra le cause di decadenza dell’impero romano