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Marguerite Yourcenar, Mémoires d’Hadrien

by Mariapina Dragonetti

1951, tr. it. Memorie di Adriano, Einaudi 1953/81.

a cura della Redazione

Il libro della scrittrice belga è un’opera eminentemente letteraria che, come afferma l’autrice, «sotto certi aspetti sfiora il romanzo e certi altri la poesia». L’aderenza ai fatti potrebbe quindi essere del tutto occasionale e legittimamente la fantasia creativa potreppe sfogarsi con piena libertà. Ma per la Yourcenar opera storica e romanzo storico hanno in comune l’esigenza della esattezza e della documentazione, e se il primo genere ha per fine il «tentare onestamente di comprendere”» il secondo deve «sforzarsi di rendere a quei documenti irrigiditi che sono i documenti storici la duttilità e il calore delle cose viventi» (P. De Rosbo, Entretiens radiophoniques avec M. Yourcenar, Paris 1972, pagg. 51-52).

Ciò l’ha portata ad una puntigliosa ricerca e lettura di fonti scritte, archeologiche e artistiche, all’esame attento della letteratura critica pertinente, a inseguire il fantasma del1’imperatore nei tanti luoghi in cui da vivo aveva peregrinato, a dedicare un lungo periodo dell’esistenza (la prima stesura è del 1924-29, la pubblicazione 1951), pur tra abbandoni e riprese, al tentativo di ricreare la coscienza di quell’uomo del II sec. Una lunga nota in appendice al romanzo presenta la documentazione che è servita alla stesura e giustifica quei punti in cui la necessità artistica ha richiesto di modificare cautamente qualche fatto o di aggiungerne qualche altro: è una nota che, come dice la Yourcenar, segue l’esempio delle prefazioni erudite alle tragedie di Racine, ma che a noi ricorda anche il Manzoni delle Notizie Storiche premesse all’Adelchi; del resto la concezione di romanzo storico della Yourcenar ci pare molto vicina a quella dello scrittore lombardo e in entrambi troviamo la capacità di avvicinare talmente la fantasia alla realtà da rendere la prima del tutto verosimile.

Scritto in prima persona, il romanzo è il lungo resoconto che Adriano, inattivo e malato, nei suoi ultimi mesi ai vita, espone sotto forma di lettera al giovane Marco Aurelio.

Il titolo della prima delle sei parti, definite da espressioni latine, è Animula, vagula, blandula, primo verso di quel breve e languido componimento scritto dall’imperatore nel presentimento della morte e che è l’autentico motore della malinconica rievocazione. La memoria del sovrano ripercorre l’infanzia a Italica, l’arrivo a Roma, i primi soggiorni nell’amata Grecia, l’esperienza militare nelle campagne contro Daci e Parti, l’attività di magistrato, l’elevazione non semplice al rango di imperatore (II parte: Varius, multiplex, multiformis); quindi il consolidamento del proprio potere e 1’energica ed entusiasmante attuazione di un programma che ha nella pacificazione il suo obiettivo preminente e che spinge Adriano in ogni parte dell’impero («Già altri uomini prima di me avevano percorso la terra: Pitagora, Platone, una dozzina di saggi, e un buon numero di avventurieri. Per la prima volta, però, quel viaggiatore era al tempo stesso il padrone, libero al tempo stesso di vedere e di riformare, libero di creare») (III: Tellus stabilita). Ampio spazio ha 1’incontro e il rapporto con Antinoo (IV: Saeculum aureum); seguono la morte del favorito e la rivolta giudaica che segnano l’età delle disi1lusioni e delle amarezze affrontate con la consapevolezza di dover comunque servire lo stato per il meglio (V: Disciplina augusta) sino alla malattia e alla morte (VI: Patientia).

Non interessa in questa sede valutare lo stile suadente e ricco di evocazione della Yourcenar, né prospettare la sua visione umana che si rispecchia nell’ humanitas piena di curiosità e azione di Adriano (cfr. L. Furois, Pour une lecture des mémoires d’Hadrien, roman de M. Yourcenar, Università degli Studi di Trieste, Scuola superiore di lingue moderne per interpreti e traduttori, Monografie 2, Trieste 1983); la coraggiosa scelta di una donna del XX sec. che ha voluto penetrare l’intimità di un uomo come Adriano e rivivere attraverso il suo animo e le sue sensazioni il mondo del II sec. è indubbiamente l’aspetto più affascinante e vitale del romanzo. E’ nella coscienza di Adriano che ritroviamo i caratteri della mentalità romana dei primi secoli dell’impero: il senso del dovere verso lo stato, l’amore per la civilitas che si concreta nelle grandi opere pubbliche che i Romani realizzano e in primo luogo nella fondazione di città. In un mondo ancor dominato, più che per metà, dalle selve, dal deserto, dalla terra incolta, è nello lo spettacolo di una via lastricata, di un tempio dedicato a un dio qualsiasi, di bagni e latrine pubblici, della bottega dove i1 barbiere commenta con i suoi clienti le notizie di Roma, il banco del pasticciere o del sandalaio, fors’anche una libreria, un’insegna di medico, un teatro nel quale di tanto in tanto si recita una commedia ai Terenzio. Vi sono raffinati, tra noi, cne si lamentano dell’uniformità delle nostre città: soffrono di trovar dappertutto le stesse statue di imperatori, lo stesso acquedotto. Hanno torto: la bellezza di Nîmes è diversa da quella di Arles. Ma questa stessa uniformità, su tre continenti, appaga i viaggiatori come quella d’una pietra miliare; persino le più insignificanti tra le nostre città godono del prestigio rassicurante d’essere un luogo di ristoro, una guarnigione o un rifugio, la religiosità naturale che fa percepire il divino in sé stessi e nel mondo, l’interesse e la tolleranza per costumi e abitudini diverse, l’intolleranza verso chi, come Cristiani ed Ebrei, pretende con caparbietà di essere fedele al la propria tradizione e non si adegua alla pax Romana.

E’ attraverso Adriano che conosciamo i personaggi famosi e oscuri del suo tempo: Traiano, Plotina, Cabria, Arriano, medici, intellettuali, servi, soldati ci sono presentati nei loro incontri coll’imperatore e nelle riflessioni di questo; è con Adriano che viaggiamo per le vie consolari, visitiamo le città dell’impero, è questi che giudica e descrive monumenti e paesaggi, ci presenta i rigidi inverni in Pannonia e una gita al colosso di Memnone, considera l’arte e la poesia del suo tempo e dei tempi che lo hanno preceduto, spiega le sue realizzazioni artistiche e politiche, motiva il culto tributato ad Antinoo…

Certo, la saggezza dell’imperatore e la lucidità con cui tante volte legge nel futuro paiono talora eccessive e inficiate del senno di poi della scrittrice, come quando, meditando sul futuro del1’impero, afferma: Non tutti i nostri libri periranno; si restaureranno le nostre statue infrante; altre cupole, altri frontoni sorgeranno dai nostri frontoni, dalle nostre cupole; vi saranno uomini che penseranno, lavoreranno, sentiranno come noi: oso contare su questi continuatori che seguiranno, a intervalli regolari lungo i secoli, su questa immortalità intermittente. Se i barbari si impadroniranno mai dell’impero del mondo, saranno costretti ad adottare molti dei nostri metodi, e finiranno per rassomigliarci. Cabria si preoccupa di vedere un giorno il pastoforo di Mitra o il vescovo di Cristo prendere dimora a Roma, e rimpiazzarvi il Pontefice Massimo. Se per disgrazia questo giorno venisse, il mio successore lungo i crinali vaticani avrà cessato di essere il capo d’una cerchia di affiliati o d’una banda di settari per divenire a sua volta una delle espressioni universali dell’autorità. Erediterà i nostri palazzi, i nostri archivi; differirà da noi meno di quel che si potrebbe credere. Accetto con calma le vicissitudini di Roma eterna.

Tuttavia anche questo non stona del tutto: passato e presente nel libro gettano vicendevolmente collegamenti continui: quel poco di passato che le testimonianze storiche ci conservano, unito a quel fondo umano uguale in ogni tempo, fornisce all’autrice la possibilità di ricreare le età trascorse, ma questi fantasmi non possono trascurare chi li na evocati, guardano continuamente al futuro, ne indagano i1 mistero, cercano in tutti i modi di superare morte e oblio.